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Black friday, un venerdì nero… anche per la sostenibilità

Uno dei significati della parola “consumare” è “distruggere, deteriorare”. Qualcosa su cui dovremmo tutti riflettere. Il consumo eccessivo, ben lontano dal soddisfare i nostri bisogni primari, risulta essere non a caso un fattore determinante dell’emergenza climatica ed ecologica che stiamo vivendo a livello globale. E il Black Friday è probabilmente il momento in cui la cultura del sovra-consumismo trova la sua espressione più estrema.?Anche in una settimana di acquisti pre-natalizi come questa, il WWF ricorda che si può cercare di approfittare degli sconti senza abusare inutilmente delle risorse del Pianeta.

Dalle sue origini americane, il Black Friday ha guadagnato popolarità in tutto il mondo. Il 70% degli italiani dichiara che anche quest’anno effettuerà almeno un acquisto – principalmente prodotti di elettronica, scarpe, moda e cosmetici – e lo farà attraverso piattaforme online. Ma, sebbene i prezzi siano vantaggiosi per i consumatori, il Black Friday è caratterizzato anche da un costo ambientale significativo. Durante la settimana di sconti il trasporto su gomma delle merci verso magazzini e negozi di tutta Europa rilascia nell’atmosfera oltre 1 milione di tonnellate di CO2, il 94% in più di una settimana media. Questa stima manca, peraltro, delle emissioni per le consegne degli acquisti online che, come abbiamo detto, in Italia rappresentano la maggior parte degli acquisti. Ammonterebbero a circa 500.000 le tonnellate di CO2eq rilasciate nell’atmosfera in Italia durante la settimana del Black Friday. La CO2 equivalente è una misura utilizzata per confrontare l’impatto ambientale di diversi gas serra, traducendoli in un’unica unità di misura basata sul loro potenziale di riscaldamento globale (GWP, Global Warming Potential). In pratica, indica quanta CO2 avrebbe lo stesso effetto sul riscaldamento globale di una determinata quantità di un altro gas serra.

Con un budget medio di 230 euro per italiano, che arriva fino 300 euro nei Millennial, è evidente l’esistenza di meccanismi che hanno reso cool il consumo e il conseguente ricambio frequente degli oggetti. C’è invece scarsissima consapevolezza dell’impatto ambientale che porta con sé ogni acquisto: soltanto 1 italiano su 10, infatti, ha contezza dell’alto costo ambientale che si nasconde dietro il prezzo basso dei prodotti. I più attenti al tema sono risultati essere i ragazzi della GenZ, fanalino di coda invece i Boomers dai 59 anni in su.

Gli impatti del sovra-consumo di prodotti elettronici

Un solo smartphone può emettere oltre 70 kg di CO2, di cui l’80% in fase di produzione. E non solo: dentro ciascun dispositivo elettronico che utilizziamo c’è una piccola miniera di risorse rare e preziose. Basti dire che la maggior parte degli smartphone può contenere l’80% degli elementi stabili della tavola periodica! Il mix di metalli presente in uno smartphone spazia da quelli comuni, come rame e zinco, a metalli preziosi come oro e platino, fino a metalli esotici come terre rare e germanio. Date le dimensioni ridotte degli attuali telefonini, la quantità di uno qualsiasi di questi metalli è bassa. Se si considera, però, che quasi 3 miliardi di persone, ovvero circa il 40% di tutti gli individui sulla Terra, ne possiede almeno uno, le piccole quantità si sommano. Inoltre, la gran parte degli elementi in questione ha la caratteristica di essere distribuita in modo disuguale nei vari continenti e di trovarsi spesso in piccole quantità nei minerali dai quali viene estratta, il che richiede processi molto impattanti che causano la devastazione di territori e l’uso di sostanze chimiche estremamente tossiche con conseguenze gravi quali perdita di biodiversità, inquinamento idrico ed erosione del suolo.

Ne consegue che le nostre miniere del futuro non sono solo in Cina e in Africa, le aree più ricche di molti di questi elementi, ma sono nella spazzatura! In Italia si producono circa 1,1 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici all’anno, 19 kg a testa, di cui sono correttamente raccolti solo 6 kg, lasciando senza traccia tonnellate di risorse naturali potenzialmente recuperabili e aumentando i rischi di inquinamento per le comunità di tutto il mondo. Da questi rifiuti, infatti, possono essere recuperate circa 70 diverse Materie Prime Seconde (come rame, ferro, alluminio, ma anche indio, silicio, tantalio e terre rare) da reintrodurre in nuovi cicli produttivi senza generare impatti negativi sulle risorse vergini del Pianeta.

Un Pianeta alla moda, ma sempre meno sano

Il Black Friday è anche il fascino della moda, che attrae gli acquirenti con promesse di capi a prezzi imbattibili. Tuttavia, sotto la superficie di questo settore spesso frenetico e guidato dalle tendenze, si nasconde un lato oscuro che merita una riflessione. Negli ultimi 15 anni, si è ridotto del 36% il tempo di utilizzo dei?vestiti, che sono diventati spesso articoli usa e getta, con gravi problemi di uso insostenibile di materie prime e produzione di rifiuti. In Italia, per abbigliamento, calzature e tessuti, vengono immessi sul mercato 23 kg di prodotti l’anno per abitante. In questo siamo primi in Europa, a fronte però di una raccolta di rifiuti di soli 2,7 kg pro-capite, che corrispondono a circa 160mila tonnellate di rifiuti tessili prodotti in Italia. Una delle maggiori criticità del settore, infatti, è la gestione del fine vita dei vestiti e delle fibre tessili non riutilizzabili.

A livello globale meno dell’1% dei rifiuti tessili viene riciclato per fare nuovi vestiti. Gran parte di questi rifiuti viene esportato e finisce in grandi discariche in Asia, Africa e Sud America. L’industria tessile è tra le più impattanti per l’ambiente e tra quelle che maggiormente incidono sul cambiamento climatico. L’industria tessile è la seconda a livello mondiale per inquinamento delle acque, secondo le Nazioni Unite. Per produrre una semplice T-shirt di cotone sono necessari circa 2.700 litri d’acqua, l’equivalente della quantità d’acqua che una persona beve in circa due anni e mezzo. I tessuti sono una delle principali fonti di inquinamento da microplastiche, che hanno in genere una forma di fibra. I nostri abiti sintetici, invece, possono rilasciare nelle acque di superficie 13mila tonnellate di microfibre tessili, pari a 25 grammi per persona.?Questa enorme diffusione ambientale fa sì che quantità di micro e nanoplastiche siano poi presenti in molti organi del corpo umano, anche nel cervello. In alcuni casi è stata anche dimostrata l’incidenza di queste sostanze nelle cardiopatie, nell’ictus e persino nell’Alzheimer.

La frenesia degli acquisti determina un ulteriore impatto imprevisto: i resi.?Quando si acquista da negozi fisici, i resi rappresentano meno del 10% dei prodotti venduti, quando lo shopping è online i resi aumentano fino a 4 volte. I resi hanno un peso sulle emissioni che può essere del 30% maggiore rispetto alla consegna iniziale, dovuto alla logistica ad alta intensità energetica. Ad aggravare il peso ambientale è che oltre il 25% dei resi viene buttato via dai rivenditori.?

“Il consumismo si scontra con i limiti della capacità del nostro pianeta di sostenere la vita. Quest’anno, invitiamo i consumatori a pensare oltre gli sconti e a dare priorità ad un consumo più sostenibile e responsabile. Gli acquisti eccessivi, specialmente nei settori ad alta intensità di uso di risorse come elettronica e moda, hanno un elevato?impatto ambientale. Niente è più importante per gli esseri umani di una biosfera ecologicamente funzionante e che sostenga la vita sulla Terra. È l’unico posto abitabile che conosciamo.” afferma Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia. “Il Black Friday può essere un’opportunità per ripensare le abitudini di consumo e adottare scelte più sostenibili. Evitando di fare acquisti impulsivi o anche solo facendo acquisti in modo consapevole, supportando marchi attenti alla sostenibilità e concentrandosi su acquisti basati su reali necessità, possiamo contribuire a ridurre la nostra impronta ambientale”.

Per uno shopping più sostenibile, il WWF Italia quest’anno propone la sua Conservation Collection che garantisce risparmi sicuri per il nostro Pianeta. Nello specifico del 92% di CO2, il 98% di acqua e il 76% di energia. I prodotti della WWF Conservation Collection sono infatti realizzati in 100% lana riciclata certificata GRS. Inoltre, sono creati a partire da vecchi indumenti, da cui è ricavata la lana per la realizzazione dei capi WWF: questi indumenti vengono selezionati per colore; perciò, non è necessaria una nuova tintura che rappresenta il processo più impattante di tutta l’industria della moda. All’interno della Collection ci sono tanti articoli per tenersi al caldo durante l’inverno come maglioni e sciarpe. Il tutto con fantasie che richiamano anche non scontati per il periodo natalizio, come elefanti e tartarughe. La collezione completa è disponibile a questo link.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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