Dicembre 2024

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    Il pungitopo, come coltivare l’arbusto che decora le tavole delle feste

    Il pungitopo o Rusco (nome tecnico Ruscus aculeatus) è un arbusto spontaneo in grado di regalare angoli di bellezza selvaggia al giardino. Pianta della tradizione natalizia, il pungitopo ogni anno conquista per la sua bellezza decorativa e per la sua affascinante natura selvaggia. I suoi colori risaltano in mezzo al bosco, ma sono perfetti da lasciare esposti anche dentro casa durante le festività. Ottimo come regalo di Natale o come decorazione di tavole imbandite, il pungitopo simboleggia (e augura) ricchezza e prosperità per l’anno che sta per iniziare. La sua particolarità? Il colore rosso delle sue bacche, protagoniste della stagione invernale. Coltivarlo in vaso o in giardino non è complesso; data la sua estrema rusticità e la sua nota resistenza, il pungitopo si adatta a molte situazioni e non richiede troppe attenzioni.

    Pungitopo: tutto sulla sua coltivazione
    Il Rusco, conosciuto tradizionalmente come Pungitopo, è una pianta perenne appartenente alla famiglia delle Liliaceae. Nasce in modo del tutto spontaneo nei boschi d’Europa, ma si coltiva anche in casa a scopo per lo più ornamentale. In particolare, la sua presenza aumenta durante il periodo natalizio: il pungitopo diventa protagonista di appartamenti e decora tavoli o mobili, un po’ come il suo collega, l’agrifoglio. Coltivare il pungitopo non è così complesso e questo lo si deve alla sua natura rustica e resistente, che fanno sì che si adatti a condizioni ambientali eterogenee. Preferisce crescere in luoghi più ombreggiati e umidi e resiste particolarmente bene sia al freddo, sia al caldo.

    Pungitopo in giardino: come coltivarlo
    Il pungitopo può essere coltivato tranquillamente in giardino e/o in aiuole, in piccole siepi basse e bordure. Ad esempio, nel caso in cui in giardino si abbia disponibilità di spazi ombreggiati di difficile riempimento, il pungitopo può essere la soluzione perfetta. Può essere collocato in aiuole, sotto gli alberi o in piccole siepi e/o bordure volte a delimitare sentieri o zone dello spazio aperto. Ovunque si decida di piantarlo lui crescerà in modo spontaneo senza troppi problemi.

    Come coltivare il Rusco in vaso: irrigazioni e concimazione
    Il pungitopo può essere coltivato anche in vaso; per farlo, però, è necessario munirsi di un contenitore abbastanza grande da posizionare preferibilmente all’esterno, su un balcone o su un terrazzo (ma può essere lasciato anche dentro casa). L’esposizione dovrà essere ombreggiata e durante i mesi più freddi non sarà necessario coprirlo: l’adattabilità è il suo punto forte. Per mantenerlo sano e rigoglioso anche in vaso basterà seguire alcuni passaggi fondamentali. Intanto, l’irrigazione dovrà essere effettuata con la giusta regolarità, assicurandosi che il terreno sia umido e ricco di humus ed evitando che si secchi, specialmente in estate, quando le temperature si alzano in modo esponenziale. Come avviene per la maggior parte delle piante, anche il pungitopo non ama i ristagni d’acqua, nemici del suo benessere. Fate quindi sempre caso al sottovaso, che non deve contenere acqua. Per quanto riguarda invece la concimazione, sarebbe utile utilizzare un concime liquido o granulare durante la primavera. In questo modo si favorirà la crescita della pianta, che si svilupperà forte, esteticamente rigogliosa e bellissima.

    Potatura e riproduzione
    Caratteristico per le sue “foglie” pungenti e per le sue bacche rosso vivo, il pungitopo non richiede in realtà una potatura regolare. Tuttavia, si consiglia di eliminare i rami secchi e/o danneggiati quando si avvicina l’inverno o, eventualmente, anche verso l’inizio della primavera. Così facendo la pianta sarà sempre in ordine ma soprattutto la si aiuterà a crescere in modo sano e forte. Per riprodurre il pungitopo, invece, la soluzione più efficace consiste nel tagliare il rizoma in più parti facendo particolare attenzione che ogni parte abbia un getto e una radice. Questa operazione andrebbe svolta all’inizio della stagione primaverile o dell’autunno, ricordandosi di interrare conseguentemente le parti di rizoma, dalle quali nasceranno – e dunque si riprodurranno – nuove piante di pungitopo.

    La fioritura del pungitopo
    Tra le caratteristiche che maggiormente rendono il pungitopo una pianta affascinante, la fioritura è senza ombra di dubbio la prima in classifica. Questa avviene nel mese di aprile, con piccoli fiori bianchi-verdastri poco stravaganti. Ciò che colpisce l’occhio sono invece le bacche, tinte di rosso acceso, che riempiono l’intero fogliame della pianta: esse iniziano a spuntare in inverno, dando quel tocco di magia in più al Rusco, che diventa subito simbolo delle festività natalizie (da non confondere però con l’agrifoglio).

    Pungitopo: come proteggere la pianta da malattie e parassiti
    Che cosa fare se sulle foglie del pungitopo si presentano macchie di polvere bianca? Intanto, significherebbe che la pianta è stata colpita dall’oidio, anche conosciuto come “mal bianco”. Se si dovesse presentare questa situazione, il primo tentativo risiederebbe nell’uso dell’aceto di mele. Diluendo un cucchiaino di prodotto in un litro d’acqua e nebulizzando il composto direttamente sul fogliame del Rusco, l’aspetto dovrebbe migliorare e il “mal bianco” scomparirà. Questa procedura sarebbe meglio svolgerla in un momento della giornata non troppo caldo, quindi il pomeriggio andrà benissimo. LEGGI TUTTO

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    La natura al centro della tavola delle feste: le idee green di Chiara Brigatti

    Chiara Brigatti, 36 anni, architetto green, nel suo profilo Instagram spiega come creare un centrotavola naturale, perfetto per decorare le feste in modo sostenibile e creativo. È una delle diverse eco idee raccolte nel “Calendario della luce”, per un’edilizia a basso impatto ambientale.“Vivo – spiega Brigatti – a Castello dell’Acqua, un piccolo paesino immerso nei boschi di castagno delle Orobie valtellinesi, un luogo dove il tempo sembra essersi fermato e il silenzio è ancora un privilegio. Il borgo è delimitato da due delle valli più selvagge d’Italia: la Val d’Arigna e la Val Malgina, angoli di natura quasi incontaminata dove lo sguardo si perde e la mente ritrova la quiete. Sono cresciuta in Brianza e già da piccola avevo le idee chiare: volevo diventare architetta e un giorno vivere qui, tra queste valli selvagge. Mi han fatto credere che sarebbe stato un sogno irraggiungibile: chi credeva davvero che fosse possibile lavorare nel mondo dell’architettura abitando in un luogo così remoto? Ma la vita ha saputo sorprenderci: grazie a Internet e alla tecnologia, oggi posso progettare spazi sostenibili per clienti in Italia e all’estero, mentre vivo nel mio luogo del cuore. Il mio studio, ECO HUB design, è la sintesi di questa visione: un luogo dove unisco tradizione, materiali naturali e innovazione tecnologica per portare il bosco dentro casa, trasformando spazi in armonia con le persone e la natura. Una missione selvatica e ribelle, proprio come me”. LEGGI TUTTO

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    La stella di Natale, come curare il simbolo delle festività

    Simbolo per antonomasia delle feste, la stella di Natale è la protagonista assoluta delle case durante le festività. Questa pianta, tanto bella quanto delicata, richiede specifici accorgimenti grazie ai quali potrà essere rigogliosa e in salute anche dopo il periodo natalizio: infatti, se curata con le giuste attenzioni, può dare grandi soddisfazioni nel corso di tutto l’anno.

    Dove posizionare la stella di Natale
    Il suo vero nome è euphorbia pulcherrima, ma tutti la conoscono come stella di Natale. Chiamata anche poinsettia, si tratta di una pianta tropicale perenne e dalla crescita rapida, originaria del Messico. Le foglie rosse la rendono un grande classico delle feste natalizie, anche se esistono varietà dai colori differenti, quali rosa, bianco, cannella, e dalle tonalità screziate. La stella di Natale solitamente cresce in territori montuosi e collinari, dove il clima è temperato e non ci sono eccessivi sbalzi di temperatura, e predilige temperature tra i 15 e i 22 gradi. Proprio per questo dovrà essere posta in un luogo luminoso, umido, arieggiato e che non sia freddo, lontano da correnti d’aria ma anche da stufe, termosifoni e camini. Un davanzale può essere uno spazio perfetto per accogliere la pianta, prestando attenzione agli spifferi. Malgrado la poinsettia richieda tanta luce e sia importante custodirla in un punto luminoso, è necessario, però, evitare i raggi solari diretti e non esporla alla luce per più di 8 ore al giorno, visto che è cruciale mantenerla al buio per una sua fioritura rigogliosa.

    Se nel periodo invernale la stella di Natale deve essere collocata in un ambiente luminoso e fresco, durante la primavera e l’estate può essere spostata all’esterno, proteggendola dalla luce solare diretta. In autunno sono valide le medesime condizioni previste durante la stagione invernale, per far sì che si formino le sue peculiari foglie rosse prima dell’arrivo delle feste: in particolare, essendo una pianta fotoperiodica, è cruciale a partire da metà settembre premurarsi che sia posta al buio per 13 ore al giorno, per un totale di 10 settimane. Questi accorgimenti permettono di contare su una pianta sana e bella nel tempo, anche se gli sforzi messi in campo devono essere preceduti da un’approfondita analisi prima di acquistarla: le cure più attente sono vane se la stella di Natale è stata trattata in modo inadeguato prima di entrare nella nostra casa. Pertanto è sempre bene verificare che sia stata conservata al meglio nel negozio dove la si compra, in un ambiente che non sia troppo freddo, tenendo conto che sotto i 12 gradi le sue foglie tendono a cadere. Tra gli aspetti da verificare spiccano lo stato del suolo, che non dovrebbe essere né asciutto, ma neanche troppo bagnato, e la presenza di una vegetazione fitta.

    Stella di Natale, ogni quanto annaffiarla
    Per quanto riguarda l’irrigazione della stella di Natale questa operazione va svolta con grande attenzione. Infatti, per mantenere in salute la pianta è davvero importante che le sue radici non siano troppo bagnate, ma allo stesso tempo neanche eccessivamente asciutte. Ogni due o tre giorni è necessario darle da bere in modo moderato: in caso di sovradosaggio dell’acqua, questa va eliminata, rischiando altrimenti che l’apparato radicale marcisca. Se la poinsettia si trova nei pressi di un termosifone e l’ambiente è secco si dovranno intensificare le irrigazioni, da effettuare ogni giorno. Un aspetto da considerare in merito all’annaffiatura è la dimensione del vaso, visto che se questo è piccolo sono necessarie più irrigazioni a differenza di un contenitore grande. Altro check da effettuare riguarda la quantità di umidità presente nel recipiente che ci consente di capire se la pianta richieda di essere bagnata: basta sollevarlo e se questo è leggero significa che è necessario darle da bere.

    Potatura e rinvaso della stella di Natale
    Un aspetto molto importante nella cura della stella di Natale è la potatura, operazione da effettuare dopo la sua fioritura, alla fine della primavera, nel momento in cui i rami si spogliano, si devono accorciare. I fusti vanno potati intorno ai 15 centimetri e le foglie che si presentano secche, flosce e prive di colore devono essere eliminate, facendo in modo però di non potare la stella di Natale oltre il 30% della sua superficie. Per svolgere l’intervento è necessario ricorrere a dei guanti da giardinaggio tenendo presente che, quando si taglia la pianta, questa rilascia una linfa bianca, responsabile di irritazioni della pelle e di danni a foglie e steli, dovendo rimuoverla dalla sua superficie, ricorrendo a uno straccio umido. Successivamente si procede con il rinvaso, impiegando un terriccio drenante (al pari di quello utilizzato per le piante grasse e acidofile) e arioso, in modo da prevenire il marciume radicale. Questa operazione va eseguita intorno a maggio, ricorrendo a una vaso di terracotta: la poinsettia può raggiungere grandi dimensioni, ma se si desidera fare in modo che resti compatta ogni mese dovrà essere controllata, potando i rami al bisogno, facendo in modo che non superino i 20 centimetri di lunghezza, per poi interrompere questa operazione a novembre.

    Manutenzione della stella di Natale: consigli utili
    Per una stella di Natale sana e rigogliosa è cruciale prestare attenzione a determinati segnali. Quando per esempio le sue foglie sono flosce e con una lamina aperta significa che sono troppo secche e che bisogna intensificare le irrigazioni, mentre, al contrario è necessario diminuirle nel momento in cui queste appaiono flesse e arrotolate. Se le foglie sono raggrinzite il problema sono i colpi d’aria e bisogna cambiare la collocazione della pianta, allontanandola da eventuali sbalzi di temperatura. Le foglie rosse che cadono sono il campanello d’allarme di un ambiente troppo caldo e qualora lo stesso accada a quelle ingiallite e aperte significa che la pianta sta patendo per via di una quantità d’acqua troppo esigua. Altra criticità si verifica quando la base del fusto tende ad annerirsi, spia di un assorbimento eccessivo di acqua da parte delle radici. L’assenza di fioritura è determinata da un’eccessiva esposizione alla luce solare, dovendo intervenire mantenendo la pianta più ore al buio durante la giornata. La stella di Natale può essere anche colpita da parassiti come la cocciniglia, responsabile di macchie biancastre e filamenti sulla pianta, e il ragnetto rosso, la cui presenza è dettata dall’aria secca e in conseguenza del quale le foglie si scoloriscono in modo puntiforme. Questi parassiti possono essere entrambi rimossi ricorrendo a un batuffolo di cotone imbevuto di alcool denaturato, oppure con prodotti specifici nei casi più gravi. Inoltre, la pianta può essere messa a repentaglio da malattie come le infestazioni fungine, che si presentano con delle macchie grigie, da contrastare con soluzioni ad hoc. LEGGI TUTTO

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    Stella Bellomo: “Le feste sostenibili? La vera rivoluzione è quella che facciamo in casa nostra”

    Stella Bellomo, 43 anni, autrice di libri (per Mondadori e Gribaudo), blogger e green influencer, racconta come realizzare decorazioni natalizie fai da te sostenibili. “Vivo – racconta Bellomo – nel biellese con la mia famiglia. Sono cresciuta in un piccolo paese trascorrendo la maggior parte dei fine settimana in cascina dai miei nonni con mia sorella e le mie cugine, libera di girare in bicicletta, andare per i boschi, per i campi, nei frutteti, nel grandissimo orto che curava mia nonna con gli animali e la possibilità di vivere la natura profondamente. In quegli anni, oltre a giocare spensierata, ho avuto un vero e proprio imprinting verso la natura e su tutto quello che è sostenibilità e nutrimento consapevole. Osservavamo e seguivamo mia nonna che cucinava tutto quello che raccoglieva dall’orto o che producevano i suoi animali per una famiglia molto numerosa perché la domenica ci riunivamo tutti ed eravamo sempre più di quaranta persone a tavola”.

    In vista delle feste di Natale, Stella Bellomo (@stella_bellomo_) spiega sul suo blog e nel suo libro, “La magia dell’inverno” (Mondadori), come realizzare delle decorazioni natalizie comodamente a casa e nel rispetto dell’ambiente. “Io adoro le ghirlande. Nel tempo – spiega Bellomo- ne ho possedute di tutti i tipi, ma adesso non possono mancare quelle in vetro e con materiali naturali, come foglie e frutti. Io ne ho fatta una raccogliendo rami di pino dal giardino e qualche bacca rossa durante una passeggiata nel bosco. Non servono grandi abilità, solo un po’ di tempo e voglia di fare. Ho preso una vecchia gruccia di metallo, quella delle lavanderie, e l’ho modellata in un cerchio. Poi ho iniziato ad avvolgere rami di pino attorno alla base, fissandoli con del fil di ferro che avevo in casa. Aggiungendo qualche pigna e un po’ di agrifoglio la ghirlanda ha iniziato a prendere vita. La parte più bella è il profumo del pino fresco che invade tutta la stanza. Possiamo inoltre creare piccole ghirlande con rami di rosmarino da usare come segnaposto o come decorazioni fai da te per i pacchetti regalo. Una piccola cosa, lo so, ma fa una grande differenza perché racconta della cura e dell’amore che mettiamo nel pensare e confezionare i nostri doni”.

    (foto: Francesca Giovannini)  LEGGI TUTTO

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    Gaultheria, i colori che vestono il giardino d’inverno

    Con il nome di gaultheria ci riferiamo ad un genere di piante arbustive, composto da numerose specie, che appartiene alla famiglia delle ericacee. La gaultheria si trova tipicamente in America Settentrionale, in alcuni paesi dell’Asia – in particolare il Nepal e l’area del sud-est, nonché in Australia. Il suo habitat ideale è la foresta. La pianta raggiunge solitamente un’altezza di poche decine di centimetri (circa 20-30), mentre in larghezza può arrivare ad occupare tra gli 80-100 centimetri. La gaultheria è caratterizzata da un fogliame di colore verde intenso e coriaceo, con un profumo che ricorda quello della canfora. Tra le specie più note di gaultheria possiamo citare la mucronata (talvolta con le bacche bianche), la procumbens (nota anche come “tè del Canada”) e l’erecta (contraddistinta dal fogliame di una tonalità più chiara di verde). La pianta deve il suo nome al botanico di origini francesi Jean-François Gaulthier.

    L’esposizione suggerita per la pianta
    La gaultheria è una pianta che predilige gli ambienti luminosi, tuttavia, non dev’essere esposta al soleggiamento diretto. Alle nostre latitudini, anche a causa del clima particolarmente mite, l’esposizione ideale per la gaultheria è in un luogo ombreggiato o, comunque, in penombra. La pianta è particolarmente rustica e, grazie alla capacità di sopportare temperature minime di -10 gradi, può essere coltivata all’aperto in tante aree del nostro paese.

    Il terreno più indicato per la sua coltivazione
    Per coltivare con successo la gaultheria dobbiamo scegliere un terreno acido e caratterizzato da un buon drenaggio, poiché la pianta non sopporta in alcun modo il ristagno di acqua, che è causa dell’insorgenza del marciume radicale. Per coltivare la gaultheria possiamo quindi scegliere una miscela di torba e sabbia, in modo tale da assicurare un buon compromesso tra l’umidità e il drenaggio. Se coltiviamo la gaultheria in vaso, ricordiamoci di aggiungere un po’ di concime organico al terriccio. Per quanto riguarda il rinvaso della pianta, dobbiamo preferire il periodo invernale, tenendo conto che è necessario rinvasare la gaultheria solo quando le radici non hanno più lo spazio per svilupparsi. Accertiamoci di non danneggiare l’apparato radicale durante l’operazione: lasciamo intatto il pane di terra e scegliamo un contenitore di un paio di centimetri più ampio di quello che andremo a sostituire.

    Come curare la pianta: l’innaffiatura, la concimazione e la potatura
    La gaultheria va annaffiata in modo regolare durante il periodo estivo, avendo però l’accortezza di attendere sempre che il terreno sia asciutto tra un’innaffiatura e l’altra. Se la pianta è coltivata in vaso ed è presente un sottovaso, ricordiamoci di svuotarlo: il ristagno di acqua potrebbe favorire il marciume radicale. Durante le altre stagioni, bisogna annaffiare solo quando la terra è asciutta. La gaultheria può essere concimata con un po’ di concime organico tra la fine di febbraio e i primi di marzo. Quale alternativa, possiamo ricorrere al classico concime in granuli a rilascio lento, che possiamo aggiungere una volta ogni 3-4 mesi. Non sono necessarie particolari potature: ricordiamoci però di rimuovere i rami che sono danneggiati o secchi.

    Quando fiorisce
    La gaultheria regala una bella fioritura nel corso del tardo periodo primaverile ed estivo. I fiori hanno la classica forma a campanula e un bel colore bianco, che talvolta assume anche delle leggere sfumature rosate. Nel corso del periodo autunnale, la gaultheria produce delle bacche che ricordano delle piccole mele, che sono solitamente di colore bianco (esistono però anche delle varietà con bacche rosa o bianche). Le bacche restano sulla pianta per tutto l’inverno.

    Come si moltiplica la pianta
    Per ottenere un nuovo esemplare di Gaultheria possiamo sfruttare i semi oppure una talea. Nel primo caso, il momento più indicato è all’inizio dell’autunno: sistemiamo i semi in un vasetto con torba e terriccio universale. I primi germogli spunteranno dopo circa un mese e potranno essere messi a dimora l’anno seguente. Le talee si possono ottenere invece nel periodo estivo, utilizzando una miscela di terriccio con torba e sabbia, indicato per la germinazione. Le talee germogliano solitamente nel corso della primavera seguente, mentre la messa dimora dovrebbe avvenire in linea di massima durante l’inverno.

    Le malattie e i parassiti più comuni
    La gaultheria è una pianta piuttosto rustica, che non è particolarmente colpita da cocciniglie o dagli afidi. Può capitare però che sia attaccata dall’oidio, il cosiddetto “mal bianco”. In questo caso, per contrastare la malattia dobbiamo eseguire un trattamento con un fungicida ad hoc. Se notiamo che la nostra gaultheria ha le foglie secche, soprattutto nei periodi più aridi, dobbiamo assicurare un’annaffiatura più costante e sufficiente. Se necessario, possiamo anche prevedere di nebulizzare le foglie in modo da assicurare un buon livello di umidità, soprattutto nei periodi siccitosi e secchi. LEGGI TUTTO

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    A Natale puoi anche vivere una vacanza slow

    Passeggiare sulla neve, seguire lezioni di cucina in un agriturismo, visitare siti archeologici, chiese e musei di notte, intraprendere antichi itinerari da percorrere a piedi oppure accompagnare i bambini a seguire favole animate nei parchi e nei piccoli centri. Tra il 24 dicembre e il 6 gennaio, oltre 18 milioni di italiani sposteranno per le festività natalizie e di fine anno. Di questi, 7 milioni e 600 mila partiranno per le vacanze di Natale, quasi 5 milioni per Capodanno. Quale momento migliore per cambiare prospettiva di viaggio e provare l’esperienza di turismo slow? Meno impattante e sicuramente più unico. Andare fuori rotta, lasciandosi alle spalle l’overtourism, andando alla ricerca di luoghi poco conosciuti. Rallentando. Magari per vivere la natura in modo consapevole e sostenibile, prendendosi più tempo. Si può fare. Anche se si tratta di un piccolo spostamento appena fuori città o addirittura restando nel luogo dove si abita. La buona notizia è che esistono ancora “oasi” un po’ segrete dove godere della natura, della buona cucina, della lentezza e del silenzio. Alcune volte sono anche vicine e bisogna solo scoprirle.
    Ecco qualche consiglio.

    Una passeggiata con le ciaspole (ansa) LEGGI TUTTO

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    Trovate tracce di Fentanyl anche nei delfini

    Il Fentanyl, un oppioide sintetico circa 100 volte più potente della morfina (e anche circa 100 volte più tossico), è stato trovato all’interno di 18 campioni di tessuto adiposo prelevati da un totale di 89 delfini appartenenti alla specie Tursiops truncatus che vivono o hanno vissuto nelle acque del Golfo del Messico. Non solo, alcuni degli 89 campioni analizzati sono risultati positivi al carisoprodol, un farmaco miorilassante, o al meprobamato, un ansiolitico. È quanto emerge dai risultati di una ricerca pubblicata su iScience.

    “I farmaci sono diventati microinquinanti emergenti e costituiscono una preoccupazione crescente a livello globale, in quanto la loro presenza è stata segnalata negli ecosistemi di acqua dolce, nei fiumi e negli oceani di tutto il mondo”, racconta Dara Orbach, che ha coordinato lo studio ed è docente di biologia marina presso la Texas A&M University-Corpus Christi (Stati Uniti). Da un ampio lavoro di campionamento e analisi, i cui risultati erano stati pubblicati nel 2022 su PNAS, per esempio, era emerso che circa un quarto dei 258 fiumi presi in esame e sparsi per tutto il mondo contiene almeno un farmaco in concentrazioni superiori a quelle ritenute sicure per gli organismi acquatici. E il passaggio dai fiumi agli ecosistemi marini è breve.

    Biodiversità

    Uno studio rivela: i delfini respirano microplastiche

    di  Pasquale Raicaldo

    17 Ottobre 2024

    Ma perché testare la possibile presenza di questi contaminanti proprio nel tessuto adiposo dei delfini? Questi animali, spiega Orbach, sono spesso utilizzati come bioindicatori della salute degli ecosistemi nei quali vivono, poiché il loro tessuto adiposo tende ad immagazzinare gli eventuali contaminanti presenti in acqua o nei pesci di cui si nutrono e può essere campionato in modo relativamente poco invasivo anche negli esemplari vivi. Degli 89 animali presi in considerazione nel corso della ricerca, infatti, 83 campioni sono stati prelevati da delfini vivi e sei da esemplari deceduti. Si tratta di animali che vivono o hanno vissuto in tre diversi siti del Golfo del Messico, di cui 12 sono stati campionati nel 2013 dal Mississippi Sound, la porzione di oceano che bagna appunto le coste del Mississippi. 30 campioni sono risultati positivi ad almeno uno dei tre farmaci, di cui 18 al Fentanyl. Da qualche anno a questa parte, quest’ultimo è diventato tristemente famoso per la sua diffusione come droga d’abuso. Si tratta di una sostanza estremamente pericolosa, considerata dagli esperti dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) come una delle principali responsabili dei casi di overdose negli Stati Uniti. In ambito sanitario viene utilizzato come anestetico generale nelle operazioni di chirurgia maggiore o come potente antidolorifico nei malati oncologici che presentano uno stadio avanzato della malattia.

    “Abbiamo trovato un delfino morto nella Baia di Baffin, nel Texas meridionale, un anno dopo la più grande retata di fentanyl liquido nella storia degli Stati Uniti nella contea adiacente”, prosegue Orbach. E aggiunge: “I delfini del Mississippi (quelli campionati nel 2013, nda) hanno rappresentato il 40% dei nostri rilevamenti farmaceutici totali, il che ci fa pensare che si tratti di un problema di lunga data nell’ambiente marino”. Al momento, spiegano gli autori nello studio, non è stato possibile quantificare esattamente la concentrazione dei tre farmaci nel tessuto degli animali, poiché si tratta di quantitativi relativamente bassi. I risultati mettono comunque in luce la necessità di effettuare ulteriori studi, soprattutto per chiarire quali possano essere gli effetti dell’esposizione cronica degli animali a queste sostanze: “Il nostro team di ricerca sottolinea la necessità di un monitoraggio proattivo dei contaminanti emergenti – conclude Orbach -, soprattutto nelle regioni con grandi popolazioni umane e importanti industrie della pesca o dell’acquacoltura”. LEGGI TUTTO

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    L’aviaria mette in allarme gli zoo, si teme per gli animali in via di estinzione

    L’influenza aviaria ora, dopo gli allevamenti, mette in allarme anche gli zoo di tutto il mondo: gli scienziati temono che gli uccelli selvatici infetti, che atterrano nei recinti, possano diffondere la malattia tra gli animali in cattività. E in effetti, un numero crescente di zoo segnala la morte di animali. Negli Stati Uniti, un ghepardo, un leone di montagna, un’oca indiana e un kookaburra sono tra gli animali morti nel Wildlife World Zoo vicino a Phoenix, in Arizona, secondo quanto riportato dai media locali la scorsa settimana. Lo zoo di San Francisco ha temporaneamente chiuso le sue voliere, dopo che una poiana selvatica è stata trovata morta nel suo terreno, e in seguito è risultata positiva all’influenza aviaria altamente patogena (HPAIV). Una rara oca pettorosso è morta allo zoo Woodland Park di Seattle, causando la chiusura delle voliere e la sospensione dell’alimentazione dei pinguini per i visitatori a novembre.

    Questi casi americani seguono la morte di 47 tigri, tre leoni e una pantera negli zoo del Vietnam meridionale durante l’estate. Una serie di decessi che fanno temere per la nuova ondata di aviaria: secondo i ricercatori potrebbe avere “gravi implicazioni” per le specie in via di estinzione. L’ipotesi è che i casi siano emersi negli zoo perché si tratta di aree con un’alta concentrazioni di animali, i cui recinti possono essere raggiunti facilmente da uccelli portatori del virus. Questo tende a verificarsi di più durante la stagione delle migrazioni. Negli Stati Uniti c’è una recrudescenza della malattia. Diversi Stati, tra cui Louisiana, Missouri e Kansas, hanno segnalato un aumento dei casi di influenza aviaria, in particolare tra oche e uccelli acquatici. E c’è stata un’impennata di casi in Iowa, dopo quasi un anno senza rilevamenti del virus. Nelle ultime ore le autorità sanitarie della California hanno dichiarato lo stato di emergenza per la diffusione dell’influenza aviaria, che sta devastando gli allevamenti di mucche da latte in quello Stato e causando sporadiche malattie nelle persone negli Stati Uniti. Il virus, noto anche come Tipo A H5N1, è stato rilevato per la prima volta nel bestiame da latte degli Stati Uniti a marzo.

    Da allora, l’influenza aviaria è stata confermata in almeno 866 mandrie in 16 stati. Ora la preoccupazione comincia a “contagiare” anche la fauna selvatica preservata negli zoo. Come difenderla? “E’ un bel problema”, ammette Vittorio Guberti, ora professore a contratto di Epidemiologia delle malattie trasmissibili all’Università di Bologna, ma che in passato ha lavorato alla Fao come project manager per l’influenza aviaria e la peste suina africana in Europa e Centro Asia “E’ dal 2005 che stiamo rincorrendo H5N1. E’ un virus ad alta patogenicità, cioè ha una grande capacità di causare danni all’organismo infettato. E’ uno di quelli che può provocare polmoniti virali molto pesanti. E potrebbe essere all’origine della prossima pandemia tra gli esseri umani”, spiega Guberti. “Sull’H5N1 siamo completamente scoperti, non abbiamo alcuna forma di anticorpo per combatterlo. E come è successo per il Covid, potremmo metterci 2 o 3 anni ad avere una copertura: chi perché si è contagiato, chi perché ha fatto il vaccino. La buona notizia è che è molto più facile fare un vaccino per H5N1 che per il Covid”.

    Allerta aviaria, come avviene il contagio. I sintomi

    di  Donatella Zorzetto

    19 Dicembre 2024

    Ma perché c’è tanto allarme per la diffusione tra gli animali? “Il virus dell’aviaria ha la tendenza a entrare in altre specie: ha cominciato con il pollame, poi si è diffuso con gli uccelli selvatici, soprattutto anatre, e poi sempre più specie con una diffusione via via maggiore: dall’Asia all’Europa alla California. Lo hanno trovato perfino nei pinguini in Antartide. Gli uccelli lo trasmettono anche ai mammiferi, ma finora i mammiferi non lo hanno mai trasmesso. La probabilità che accada è bassissima: ma se ci sono milioni di eventi con bassa probabilità la probabilità complessiva cresce”. Insomma il timore è che il virus, colonizzando sempre più specie e soprattutto specie vicine agli umani, come il bestiame, possa in tempi non lontanissimi diventare una emergenza anche per noi.

    Come mettere al sicuro i mammiferi domestici, le mucche per esempio? “E’ complicato tenere separati gli uccelli selvatici da quelli domestici e dai mammiferi”, risponde Guberti. “Più che concentrarsi su questo tipo di prevenzione, difficile da mettere in pratica, si dovrebbero predisporre piani pandemici per fermare immediatamente il contagio tra gli umani. Insomma preparare la risposta alla pandemia, magari con un piano di vaccinazione di massa, perché la prevenzione è complicata quando si ha a che fare con la fauna selvatica”. LEGGI TUTTO