Dicembre 2024

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    Antartide, con la diminuzione dei ghiacci aumentano le tempeste

    Un effetto domino, per cui, facendo cadere una sola tessera, a seguire cadono anche tutte le altre. E’ quanto si osserva quando, sul nostro Pianeta, vengono alterate alcune condizioni climatiche. Nel caso specifico: quando il ghiaccio marino diminuisce, la conseguenza è (anche) la crescita delle tempeste. Un effetto domino di cui non conosciamo ancora l’entità, ma sarebbe quanto mai opportuno porre rimedio a queste lacune per capire quello che ci attende nel prossimo futuro, se il trend attuale dovesse mantenersi.

    A raccontare tutto questo è una ricerca pubblicata su Nature, che ha analizzato i dati meteorologici e satellitari delle acque antartiche. Oggetto del lavoro, guidato dai ricercatori del National Oceanography Centre di Southampton (nel Regno Unito), è stato analizzare la portata e le conseguenze della drammatica perdita di ghiaccio marino osservata in Antartide negli ultimi anni, specialmente nel 2023 (un anno da record anche per l’aumento delle temperature). Finora infatti, scrivono gli scienziati, la ricerca si era concentrata più sulle cause che avevano determinato la perdita di ghiaccio che nel cercare di capire quali conseguenze questo avrebbe avuto. In particolare, come la perdita di ghiaccio altera gli scambi di calore tra mare e aria? Nel 2023, nel periodo tra giugno e luglio, si sono osservate estese riduzioni nella copertura del ghiaccio marino, rispetto alla media dello stesso periodo tra 1991–2020 (in alcuni casi le stime parlano dell’80%). Queste riduzioni hanno riguardato il mare di Weddell, il mare di Ross, quello di Bellingshausen e le acque di fronte alla terra di Enderby. Ma questo non è stato che il primo effetto osservato.

    Riscaldamento globale, si scioglie la calotta in Antartide: manca un pezzo grande quanto l’Argentina

    a cura della redazione Cronaca nazionale

    30 Luglio 2023

    Gli autori riportano anche una netta perdita di calore da parte delle acque e un cambiamento nelle tempistiche: il massimo di questa perdita di calore si è spostato da aprile a giugno, a sua volta contrastando la formazione di ghiaccio che si osserva nell’inverno antartico. Ma c’è, ancora, dell’altro. “Gli eventi importanti di perdita di calore sono fondamentali per avviare la convezione oceanica e influenzare le tempeste atmosferiche – scrivono infatti gli autori – Pertanto, il passaggio a eventi estremi più frequenti nel 2023 ha il potenziale per influenzare sostanzialmente sia l’oceano che l’atmosfera”. E così è stato, secondo quanto osservato. In particolare, tralasciando un attimo gli effetti sulle acque, a livello atmosferico questa perdita di calore avrebbe causato più tempeste. Nel dettaglio, le stime parlano per il periodo di giugno-luglio dello scorso anno di circa 2,5 giorni in più di turbolenza (storminess) rispetto alla media del periodo compreso tra il 1990 e il 2015, ovvero prima che cominciasse la perdita dei ghiacci marini, ricordano gli esperti, con aumenti che hanno riguardato soprattutto il mare di Weddell e di Ross.

    L’ingente perdita di calore da parte delle acque oceaniche però potrebbe avere anche un effetto domino sulle acque stesse, come puntualizzano Laura L. Landrum e Alice. K. DuVivier dell’University Corporation for Atmospheric Research di Boulder (Usa), in una news che accompagna l’uscita della ricerca. La perdita di ghiaccio infatti altera anche la salinità, la temperatura e la densità delle acque, influenzando la circolazione oceanica e la capacità dell’Oceano antartico di assorbire l’anidride carbonica. “È troppo presto – si legge nel paper – per capire se il 2023 segnerà l’inizio di un cambiamento di regime a lungo termine, ma quanto osservato è indicativo delle condizioni di estrema perdita di calore invernali che ci si può aspettare nei prossimi anni coni scarsa ricrescita di ghiaccio”. Con ripercussioni, concludono gli esperti, che potranno spingersi ben oltre l’oceano Antartico e interessare anche l’emisfero settentrionale. LEGGI TUTTO

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    Fuochi di Capodanno, un “botto” per l’ambiente

    È proprio vero, come dice un’indagine della Doxa che il 94% degli italiani sia contrario ai fuochi d’artificio per Capodanno e che il 63% sia pronto a rinunciarvi? Forse la percentuale non sarà proprio così alta, visto quanto ancora in Italia si spende per stelline, mortaretti e fontane di luci (secondo l’Associazione Pirotecnica Italiana il giro di affari è di 600 milioni di euro), ma di sicuro il settore in tutta Europa è in crisi. Secondo Eurostat, infatti le importazioni di fuochi d’artificio extra-Ue sono calate di quasi tre volte rispetto al 2019.

    Una tradizione che divide
    Nel 2023, l’UE ha importato 29.200 tonnellate di fuochi d’artificio da paesi asiatici, per un valore di 90 milioni di euro. Una cifra più di tre volte inferiore quella registrata nell’anno pre-pandemia del 2019: 105.000 tonnellate per 264 milioni di euro. Per la verità, il calo era già evidente nel 2020 con 79.700 tonnellate di fuochi d’artificio importati, per un valore di 190 milioni di euro. Senza dubbio, pesa il fatto che sempre più Comuni vietano ai cittadini di sparare i fuochi d’artificio a Capodanno, (anche se in alcune città come ad esempio Venezia è previsto uno spettacolo di fuochi d’artificio a mezzanotte), ma senza dubbio contribuisce una diversa percezione ambientalista pure tra chi era appassionato. Si perché petardi, mortaretti, fontane e “bombe Maradona” hanno pesanti effetti sull’ambiente. Soprattutto sull’aria che respiriamo.

    Pochi minuti di luci, ma un grande impatto
    Fuochi d’artificio, fumogeni, cascate di luci sparate in poche ore sono causa di inquinamento. Per farsi un’idea del problema, basta andare sul sito della Regione Lombardia dove si legge: “Nelle ore immediatamente successive all’utilizzo di fuochi d’artificio si registra un peggioramento dei valori della qualità dell’aria, anche con elevati picchi in atmosfera, in particolare di polveri sottili (PM10). La tipologia degli inquinanti prodotti dagli scoppi è nociva e contiene tra l’altro valori non trascurabili di potassio, stronzio, bario, magnesio, alluminio, zolfo, titanio, manganese, rame, bromo, piombo. Poiché l’incremento delle concentrazioni degli inquinanti in atmosfera e la loro permanenza nel tempo dipendono anche dalle condizioni meteorologiche, è particolarmente importante nel periodo invernale limitare al massimo i fuochi d’artificio”. In pratica a Milano, il primo gennaio vengono registrate concentrazioni di PM10 da 2 a 5 volte superiori rispetto ai giorni immediatamente precedenti e successivi, e di 2-3 volte al di sopra del valore limite giornaliero stabilito dall’Ue per la tutela della salute.

    “Senza botti è meglio per gli animali”
    Anche quest’anno il Wwf ha lanciato un appello per evitare l’uso dei fuochi pirotecnici la notte di San Silvestro “per dare un segnale di attenzione verso la Natura”, invitando i sindaci “ad intervenire per vietare l’uso di quei prodotti che per dimensioni, rumore e gittata rappresentano un grave rischio e disturbo non solo per l’uomo ma anche per gli animali domestici e selvatici, tra cui tanti uccelli”. Si stima che ogni anno in Italia almeno 5 mila animali muoiano a causa dei botti di fine anno. Spiega ancora il Wwf: “Di questi circa l’80% sono animali selvatici, soprattutto uccelli, anche rapaci, che spaventati perdono il senso dell’orientamento e fuggono istintivamente rischiando di colpire un ostacolo a causa della scarsa visibilità. Altri abbandonano il dormitorio invernale (alberi, siepi o tetti), vagano al buio alla cieca e non trovando altro rifugio muoiono per il freddo a causa dell’improvviso dispendio energetico a cui sono costretti in una stagione caratterizzata dalla scarsità di cibo che ne riduce l’autonomia”.

    I residui nei corsi d’acqua
    Sempre il Wwf fa sapere che la concentrazione e il numero di petardi fatti esplodere nella notte di San Silvestro sono talmente elevati che l’impatto non si ferma all’aria, ma vanno a finire nel terreno e nei corsi d’acqua. La causa sono i residui dei petardi non esplosi e i frammenti di materiali pirotecnici difficilmente biodegradibili, che si accumulano al suolo, contaminando l’ambiente.
    Fuochi d’artificio silenziosi
    Nonostante siano così criticati rimangono, soprattutto per i bambini, uno spettacolo affascinante e spettacolare. Curiosando in rete si scopre cosi che i fuochi artificiali sono investiti da una vera e propria rivoluzione tecnologica per cercare di essere più sostenibili. Obiettivo: preservarne la spettacolarità spingendoli verso una sostenibilità avanzata. La ricerca sta dunque puntando su composti chimici nuovi e materiali biodegradabili, ma si comincia a fare strada l’uso di alternative luminose che potrebbero davvero ridefinire la percezione tradizionale dei fuochi d’artificio. Spettacoli pirotecnici, ma di luci.
    La sfida: via la plastica e le sostanze tossiche
    In Germania ad esempio, si sta lavorando alla creazione di fuochi artificiali utilizzando una quantità ridotta di plastica sostituendola con cartone riciclato e con una rumorosità ridotta utilizzando inneschi modificati, a bassa velocità di combustione. Si sta anche cercando di sostituire le tradizionali sostanze chimiche utilizzate nei fuochi d’artificio, come il clorato di potassio, con composti a base di nitrato di bario, che emettono meno sostanze inquinanti e polveri colorate a base di solfati dovrebbe poi offrire colori più vividi senza inquinare. Si sta poi esplorando la possibilità di utilizzare involucri compostabili e biodegradabili, riducendo la quantità di rifiuti. Una sfida.
    Droni luminosi, led e giochi di luci
    Ma la vera alternativa è quella che comincia a far capolino in alcuni festival in giro per l’Europa. Si stanno utilizzando come alternative ai fuochi d’artificio tradizionali, proiettori laser, sistemi di illuminazione led e droni luminosi. Le coreografie non saranno molto complicate, ma ci consentiranno comunque di restare meravigliati con il naso all’insù. Respirando anche un’aria migliore. LEGGI TUTTO

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    Fumare fa male al Pianeta (oltre che alla salute)

    Dal primo gennaio a Milano non si potrà più fumare all’aperto. O meglio: il divieto, in vigore già dal gennaio del 2021 in parchi, fermate dei mezzi pubblici, aree gioco per bambini, aree per i cani, cimiteri e strutture sportive, verrà esteso a tutte le aree pubbliche, incluse le strade. Uniche eccezioni: le aree isolate […] LEGGI TUTTO

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    Le proteine sostenibili che vengono dalle lumache

    “La sostenibilità è sempre stata il valore condiviso da tutti noi, un ideale che ha guidato il nostro progetto sulle proteine alternative a base di chiocciole con l’obiettivo di avere un impatto positivo sul mondo, soprattutto considerando le sfide ambientali globali”, questa la visione di Simone De Maria (CEO), Ubaldo De Santis (COO) e Andrea Catto (CTO) fondatori di Snelix, startup salentina di allevamento sostenibile di chiocciole che offre prodotti di alta qualità a basso impatto ambientale.

    In un mondo in cui le risorse naturali sono sempre più limitate e la domanda di proteine è in costante crescita, Snelix si propone di ridefinire il concetto di produzione alimentare, mettendo al centro innovazione, tecnologica e rispetto per il Pianeta. Le sue farm automatizzate per l’allevamento di chiocciole rappresentano il cuore di questa transizione. Attraverso l’uso di sistemi avanzati per il controllo del microclima e una piattaforma software basata su dati IoT, Snelix garantisce un’ottimizzazione mai vista prima nel settore dell’elicicoltura. Questo approccio ha tre vantaggi sostanziali, riduce la mortalità: le condizioni ambientali ottimali per ogni fase della vita delle chiocciole abbattono drasticamente le perdite rispetto agli allevamenti tradizionali. Aumenta la produttività: grazie alla destagionalizzazione, Snelix è in grado di moltiplicare i cicli produttivi, portando raccolti più frequenti e abbondanti durante tutto l’anno. Capitalizza le risorse: l’ottimizzazione energetica e idrica rende il sistema non solo efficiente ma più sostenibile per l’ambiente.

    I fondatori della startup Snelix  LEGGI TUTTO

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    Il vischio, la pianta parassita che adorna il Natale

    Il vischio, nome scientifico viscum, è un genere di pianta cespugliosa di cui ne esistono decine di specie, tra le quali, il viscum album è quella più diffusa. Il vischio appartiene alla famiglia delle santalacee ed è una pianta presente in gran parte delle nazioni con clima temperato, dall’Europa all’area del sud-est asiatico, ma anche in paesi dell’Africa e in Australia. Il suo habitat ideale si trova in modo particolare nei boschi con conifere e diverse latifoglie, dove il vischio nasce e si sviluppa come un parassita delle altre piante. Il viscum raggiunge solitamente dimensioni modeste, comprese tra i 40 centimetri e un metro di altezza. La pianta si contraddistingue per le foglie coriacee di colore verde chiaro, nonché per le piccole infiorescenze e le bacche di colore bianco. Il vischio è anche noto per la tossicità, a causa della presenza della viscumina: le sue bacche rappresentano in modo particolare un rischio importante per la nostra salute.

    Qual è l’esposizione ideale e dove cresce in Italia?
    Il vischio è una pianta dal buon livello di rusticità: può quindi crescere senza problemi anche nelle aree che sono soggette alle gelate invernali. Per vegetare in modo ottimale, la pianta ha però bisogno di una buona quantità di luce e di soleggiamento diretto. Negli ambienti boschivi che offrono queste caratteristiche non è difficile trovarlo anche ad un’altitudine di un migliaio di metri. Nel nostro paese, il viscum si trova un po’ in tutte le regioni, con una presenza più marcata soprattutto nel territorio dell’arco alpino.

    Si può coltivare la pianta di vischio in vaso?
    Non abbiamo la possibilità di far crescere il vischio in vaso, proprio perché si tratta di una specie epifita e parassita. Per la coltivazione del viscum nel nostro giardino, dobbiamo scegliere una pianta che funga da ospite. Nel suo habitat naturale, il vischio cresce soprattutto sulle latifoglie come le querce, i salici, i pioppi, le betulle, i tigli e gli aceri, ma anche sulle conifere come i pini. Anche sui tronchi o i rami di meli, robinie e susini non è difficile scorgere la presenza del viscum. Ricordiamoci che il vischio è particolarmente tenace: se decidiamo di coltivarlo su una pianta ospite nel giardino di casa nostra, teniamo presente che una sua eventuale rimozione futura è molto difficile. In tanti casi, dobbiamo eliminare in modo definitivo il ramo che lo ospita.

    La coltivazione e la moltiplicazione della pianta
    Per prima cosa, procuriamoci dei semi di viscum: li troviamo all’interno delle bacche bianche che il vischio è solito produrre nel periodo autunnale e, soprattutto, a ridosso di Natale. Per quanto possibile, accertiamoci di selezionare solo le bacche più mature. Preoccupiamoci quindi di scegliere una pianta ospite che abbia delle fessure nella corteccia, o comunque, delle tracce di muschio o di licheni sul tronco. In questo modo, potremo inserire il seme di viscum in uno spazio ideale per favorirne l’attecchimento. Il miglior momento per dare il via alla coltivazione del vischio è agli inizi del periodo invernale, idealmente dopo le festività natalizie. Dovremo attendere almeno fino all’inizio della primavera per sapere se il nostro esperimento avrà avuto successo: la germinazione richiede infatti diversi mesi. Per capire se il vischio ha attecchito, ci basterà osservare il punto in cui abbiamo messo a dimora i semi: se si sono formate delle protuberanze, abbiamo ottenuto una nuova pianta.

    La crescita e la cura del vischio
    Il viscum è una pianta dal ritmo di crescita particolarmente lento. Oltre a richiedere alcuni mesi per germinare, il vischio ha bisogno di diversi anni per raggiungere il suo massimo sviluppo. Poiché la pianta si sviluppa in modo parassitario su un altro vegetale, non richiede particolari attenzioni nella coltivazione. Il viscum ricava infatti dalla linfa della pianta ospite l’acqua e i minerali di cui ha bisogno per crescere. Teniamo ben presente questo aspetto quando scegliamo dove coltivare il vischio, soprattutto se viviamo in aree dal clima particolarmente caldo e siccitoso: la presenza del viscum sarà infatti un ulteriore fattore di stress per la pianta che lo ospita.

    La fioritura e i frutti
    Il vischio è una pianta dioica: in natura troviamo esemplari maschili e femminili. Solo queste ultime producono i tipici frutti tondeggianti e bianchi, che appaiono solitamente nel corso dell’autunno. La fioritura invece si concentra nel periodo primaverile, quando sul viscum si sviluppa una gran quantità di fiori bianco-giallastri.

    I parassiti
    La pianta ha una buona rusticità, grazie alla quale non è particolarmente soggetta ai parassiti: ricordiamoci però di eliminare le parti secche o danneggiate del vischio, per prevenire qualsiasi potenziale problematica. LEGGI TUTTO

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    Il cactus di Natale, come curare la pianta che rende gioiose le nostre case

    La Schlumbergera è una pianta appartenente alla famiglia delle cactaceae, ed è conosciuta per la sua spettacolare fioritura e la presenza di fusti succulenti piatti e privi di spine. Questi, che spesso si confondono per le foglie della pianta, in realtà sono chiamati correttamente cladodio e sono come un ramo, ma con l’aspetto e la funzione di una foglia. Il cactus di Natale è soprattutto conosciuto come pianta da tenere in casa ed è molto apprezzata in concomitanza delle festività natalizie. Questa pianta, originaria delle foreste pluviali brasiliane e delle coste che si affacciano sull’oceano Atlantico, apprezza condizioni di elevata luminosità e di umidità. È una pianta che in natura si adatta a qualunque luogo, crescendo anche negli incavi dei rami e delle rocce. Questo cactus si presenta come un cespuglio con “foglie” che si riversano a cascata verso il basso. Si tratta di una pianta di dimensioni ridotte, poiché non supera i 40-50 centimetri di altezza. I fusti di questa pianta si presentano separati a segmenti, con terminazioni ugualmente piatte.

    Il colore di questi elementi è verde scuro o brillante, a seconda della varietà che si acquista. I fiori del cactus di Natale sono allungati, con più petali ad artiglio e pistilli molto evidenti. Sono fiori di grande dimensione che possono variare nel loro colore: infatti, troviamo fiori rosa, rossi, viola, arancione e bianco. La fioritura di questa pianta è proprio in concomitanza del Natale, anche se a volte il periodo di fioritura è anticipato con l’arrivo delle temperature più fredde.

    Il cactus di Natale può stare fuori?
    Come capita per molte piante succulente, anche il cactus di Natale non può stare fuori: infatti, non si tratta di una pianta da esterno, poiché non gradisce temperature che vanno sotto i 10°C. La coltivazione ideale di questa pianta richiede temperature di circa 15-20°C, mai superiori a 25°C e, soprattutto, lontano da fonti di calore o correnti d’aria. Se si decide di coltivare la pianta in appartamento è importante non collocarla in prossimità delle finestre. Il suggerimento è di sistemare il cactus di Natale vicino al davanzale delle finestre rivolte a est oppure nord. Potrà stare anche in bagno, visto che apprezza l’umidità moderata.
    Qual è la terra migliore per la pianta?
    Questo cactus gradisce un mix di terra pensato proprio per le pianta cactacea con composto organico. Inoltre, è importante considerare che apprezza il terreno umido, ma non i ristagni idrici. Proprio per questo, è necessario accertarsi che il terreno sia asciutto prima di procedere con l’annaffiatura.
    Come farlo fiorire?
    Esistono delle condizioni che favoriscono la fioritura del cactus di Natale: la prima cosa da tenere a mente riguarda l’esposizione che non dovrà mai ricevere luce diretta dei raggi solari. Dovrà ricevere luce tra le 12-14 ore al dì. È importante offrire una temperatura compresa tra i 13°C e i 18°C durante la stagione autunnale e invernale. Inoltre, è importantissimo evitare il ristagno d’acqua e nutrire la pianta con un fertilizzante. Durante la fioritura è necessario eliminare i fiori secchi, così da favorire la comparsa di nuovi boccioli. La fioritura durerà alcune settimane e sarà particolarmente bella.
    Quando e come annaffiarlo?
    Le annaffiature del cactus di Natale devono essere fatte in maniera moderata, ma regolare. È importante controllare con le dita se il primo strato del terreno è asciutto ed è pronto per essere nuovamente bagnato. In questo modo, si evitano tutti i problemi che possono derivare dall’eccesso di acqua. Con l’arrivo della stagione invernale, le annaffiature devono essere ridotte.
    La concimazione del cactus di Natale
    Per concimare il schlumbergera è necessario selezionare un concime specifico per le piante cactacee, succulente o grasse. Si può dare il concime alla pianta circa due volte a settimana, diluendolo con l’acqua dell’innaffiatura. Questo prodotto dovrà contenere elevate percentuali di fosforo e potassio, elementi nutritivi che sono importanti per la cura del cactus di Natale.
    È possibile ottenere delle talee?
    Per proteggere la specie che avete in casa si può decidere di ottenere delle talee: è necessario piantare in un vaso con torba e sabbia 2-3 segmenti dei fusti. Nel giro di qualche settimana metterà le radici e si potrà procedere con il rinvaso in un contenitore più grande.
    Che fare se le foglie sono molli?
    Quando il cactus di Natale presenta foglie molli significa che è stato annaffiato troppo e potrebbe essere già compromessa la sua vita. È importante intervenire per tempo, salvando i fusti sani e realizzando una talea per dare vita a una nuova pianta.
    Il rinvaso e la potatura
    Il rinvaso del cactus di Natale dovrebbe avvenire generalmente nel giro di 2-3 anni, durante la stagione primaverile lontano dalla fioritura giacché si potrebbe rischiare di far cadere i fiori. È necessario selezionare un vaso con diametro leggermente più grande rispetto a quello iniziale. Per quanto riguarda la potatura, invece, è importante togliere i fiori secchi per favorire la crescita di nuovi boccioli. Si potranno togliere anche i fusti morti e danneggiati, così da pulire bene la pianta e stimolarne la crescita.
    Le malattie e i parassiti in cui può incorrere
    Anche questa pianta soffre di alcuni problemi causati da malattie o da parassiti che la possono attaccare. Oltre al marciume radicale provocato dall’eccesso di acqua, citiamo la cocciniglia e il ragnetto rosso. Entrambi i problemi possono essere prevenuti offrendo le giuste condizioni climatiche alla pianta natalizia. LEGGI TUTTO

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    Manovra 2025, le misure sull’ambiente tra novità e tagli

    Ripartito l’iter in Senato della Manovra 2025. La legge di Bilancio è arrivata in seconda lettura a Palazzo Madama per un esame praticamente blindato. Secondo la tabella di marcia prevista dal governo, l’approdo in Aula è previsto per venerdì, con il via libera finale il giorno dopo, sabato 28 dicembre. Molte le novità in materia ambientale introdotte dalla Legge di Bilancio che hanno scatenato le reazioni dell’opposizione.

    Il confronto in Aula
    Duro in Aula il confronto soprattutto con il gruppo di Alleanza Verdi e Sinistra guidati da Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Chiare le parole di Bonelli: “Questa finanziaria non fa un passo avanti verso la decarbonizzazione, anzi ne fa tanti indietro. Soprattutto siamo sconcertati per aver deciso la proroga ai concessionari del servizio della distribuzione di energia elettrica. Per altri venti anni. Calcolando che sarebbero dovute tornare sul mercato nel 2030, a questo punto le concessioni scadranno nel 2050. Tutto questo significa che la transizione ecologica è stata ‘cristallizzata’. Pensando a quello che sta accadendo nel mondo a causa della crisi climatica, sembra di vivere in un altro pianeta”. Non solo.

    La seconda manovra del governo Meloni è legge con 200 sì, 112 no e tre astenuti.  LEGGI TUTTO

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    Eco-ansia, sempre più diffusa tra i giovani: può portare alla paralisi dei comportamenti green

    Giovani, con un grado di istruzione elevato e con un’elevata tendenza ad adottare comportamenti pro-ambientali quotidiani come la raccolta differenziata e consumi sostenibili, dandosi obiettivi raggiungibili, inclini a fare gruppo e fare rete in favore dell’ambiente e a cercare il più possibile il contatto con la natura: è questo l’identikit della persona che tende maggiormente a percepire l’eco-ansia, l’ansia da clima.
    È quanto emerge da uno studio condotto presso l’Università Cattolica, campus di Roma dal dottor Matteo Innocenti, della Sezione di Igiene, Dipartimento di Scienze della Vita e Salute Pubblica dell’Università Cattolica, campus di Roma.

    Cos’è l’eco-ansia
    L’eco-ansia è una risposta di disagio emotivo al cambiamento climatico che si manifesta con sintomi molto simili a quelli dell’ansia generalizzata, come tristezza, paura e senso di impotenza e mancanza di controllo. Il cambiamento climatico ha implicazioni importanti per la salute e il futuro dei bambini e dei giovani, i quali però hanno poco potere per limitare i suoi danni, rendendoli quindi vulnerabili all’ansia climatica. Il primo studio su larga scala sull’ansia climatica a livello globale, apparso di recente su Lancet Planetary Health, che ha coinvolto 10.000 giovani (di età compresa tra 16 e 25 anni) in dieci paesi (Australia, Brasile, Finlandia, Francia, India, Nigeria, Filippine, Portogallo, Regno Unito e USA; 1000 partecipanti per paese), ha evidenziato che in tutti i paesi era diffusa la preoccupazione per il cambiamento climatico (il 59% era molto o estremamente preoccupato e l’84% era almeno moderatamente preoccupato). Più del 50% del campione ha riportato ciascuna delle seguenti emozioni: tristezza, ansia, rabbia, impotenza, senso di abbandono e colpa. Più del 45% dei partecipanti ha affermato che i loro sentimenti riguardo al cambiamento climatico influivano negativamente sulla loro vita quotidiana e sul funzionamento, e molti hanno riportato un alto numero di pensieri negativi sul cambiamento climatico (ad esempio, il 75% ha detto di pensare che il futuro sia spaventoso e l’83% ha detto di pensare che le persone abbiano fallito nel prendersi cura del pianeta).

    Lo studio
    Lo studio dell’Università Cattolica ha esaminato il fenomeno dell’eco-ansia in un campione italiano e cercato di tratteggiare le varie modalità con cui esso si declina, inoltre di validare una scala di misura ad hoc per misurare i livelli di eco-ansia e di eco-paralisi.

    Infatti, sebbene sia stato dimostrato che l’ansia per il cambiamento climatico può potenziare i comportamenti in favore dell’ambiente (pro-ambientali o PEB) in alcuni soggetti, in altri può indurre la cosiddetta eco-paralisi, portando così gli individui a evitare qualsiasi forma di impegno in azioni contro il cambiamento climatico. In questo studio gli esperti della Cattolica hanno chiarito quali fattori influenzano la relazione tra l’ansia per il cambiamento climatico e la predisposizione ai PEB. Gli esperti hanno condotto uno studio trasversale su 394 soggetti sani che vivono in Italia, i quali hanno completato questionari di valutazione come la Scala dei Comportamenti Pro-Ambientali (PEBS), la Scala dell’Autoefficacia Generale (GSE) e la Scala dell’Ansia per il Cambiamento Climatico (CCAS).

    In primis è emerso che generalmente, così come la consapevolezza sul cambiamento climatico genera eco-ansia, questa a sua volta induce comportamenti pro-ambientali che a loro volta riducono l’eco-ansia; un po’ come avviene prima di un esame, l’ansia da esame serve da stimolo per studiare.
    “Tuttavia – spiega Innocenti – abbiamo visto che non tutti gli individui interessati da eco-ansia adottano comportamenti autoefficaci; per esempio i giovani che hanno aspettative troppo ambiziose e che credono di poter modificare alla radice la situazione del cambiamento climatico, che però è un fenomeno complesso e non si può risolvere individualmente, possono avere una paralisi. In genere – precisa Innocenti – queste finiscono poi per essere le persone che adottano meno spesso comportamenti pro-ambientali. In genere si tratta di giovani dai 15 ai 35 anni, soprattutto le donne perché tipicamente nutrono preoccupazioni non solo per il loro futuro ma anche per le generazioni future e quindi per i propri potenziali figli.

    Questi risultati mostrano che l’ansia per il cambiamento climatico ha contemporaneamente due effetti diversi sugli individui: direttamente incoraggia i PEB e indirettamente può avere effetti dannosi sui PEB, come l’eco-paralisi. Di conseguenza, gli approcci terapeutici per trattare l’ansia per il cambiamento climatico non dovrebbero mirare a razionalizzare i pensieri irrazionali, ma piuttosto ad aiutare i pazienti a sviluppare strategie di coping come i PEB che, a loro volta, favoriscono l’autoefficacia. Il senso di autoefficacia deve essere altresì alimentato dalle istituzioni e dai decisori, attuando strategie anche collettive, in modo che si passi dall’autoefficacia a quello di efficacia collettiva, conclude Innocenti. LEGGI TUTTO