28 Dicembre 2024

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    L’ardisia, come curare la pianta dalle bacche rosse

    L’ardisia è un genere di arbusti sempreverdi che comprende numerose specie, tra le quali, la crenata (o crispa) è una delle più diffuse per la coltivazione a scopo ornamentale. L’ardisia appartiene alla famiglia delle primulacee e le sue origini sono da ricercare principalmente tra le aree calde dell’Asia e l’Africa. Il suo habitat naturale è soprattutto all’interno delle foreste, ma anche nelle zone collinari: in questo ambiente, l’arbusto può raggiungere un’altezza di diversi metri. L’ardisia è contraddistinta dalle foglie alterne di color verde scuro e coriacee, nonché da una bella fioritura a pannocchia, che talvolta è resa ancor più spettacolare dalla presenza contemporanea delle bacche dai colori vivaci.

    È una pianta da esterno o interno?
    Per rispondere a questa domanda, consideriamo che la temperatura ideale di coltivazione dell’ardisia durante il periodo compreso tra la primavera e l’estate è di 20 gradi. Se esponiamo l’arbusto a temperature più elevate, provochiamo l’appassimento e la perdita di foglie e bacche. Durante l’autunno e l’inverno, invece, l’ardisia dev’essere riposta in un ambiente dove la temperatura è costantemente attorno ai 15 gradi. A seconda delle condizioni climatiche della regione in cui viviamo, l’ardisia è principalmente coltivabile all’interno del nostro appartamento o casa.

    L’esposizione
    Scegliamo un ambiente interno molto luminoso per coltivare con successo la nostra ardisia. Ricordiamoci però di non esporre l’arbusto al soleggiamento diretto, almeno nel periodo primaverile-estivo, poiché i raggi solari provocano la comparsa di macchie sulle foglie. Tra l’autunno e l’inverno, invece, l’esposizione al sole diretto non risulta essere troppo problematica. Evitiamo infine che l’ardisia sia esposta alle correnti d’aria fredda o alle fonti di calore diretto.

    Il terreno suggerito per la coltivazione
    L’ardisia predilige i terreni fertili, con una buona quantità di materia organica, nonché soffici e con un drenaggio ottimale. Per evitare che si verifichi il ristagno idrico, possiamo quindi aggiungere della sabbia dalla granulometria elevata al terreno di coltivazione. L’arbusto è caratterizzato da una crescita molto lenta, motivo per il quale dovremo preoccuparci di rinvasare l’ardisia circa ogni 3 anni. Quando sostituiamo il vaso, scegliamo un contenitore dal diametro di un paio di centimetri più ampio rispetto al precedente. Nel periodo che intercorre tra un rinvaso e l’altro, possiamo anche prevedere di sostituire i primi 2 centimetri di terriccio superficiale, così da assicurare all’arbusto un terreno di coltivazione ben fertile.

    L’innaffiatura, la concimazione e la potatura
    Durante la primavera e l’estate, ricordiamoci di mantenere costantemente umido il terreno, senza però inzupparlo: possiamo attendere che sia asciutto in superficie prima di innaffiare nuovamente. In caso di periodi di caldo particolarmente intenso e secco, nebulizziamo le foglie con dell’acqua demineralizzata. Nel periodo tra l’autunno e l’inverno, l’ardisia non ha bisogno di annaffiature regolari: anche in questo caso, possiamo aspettare che il terreno sia asciutto prima di innaffiare nuovamente l’arbusto. Per favorire lo sviluppo della pianta, tra la primavera e l’estate possiamo aggiungere del fertilizzante liquido all’acqua di innaffiatura, almeno 3 volte al mese. Infine, possiamo prevedere una potatura primaverile qualora la nostra ardisia si sviluppasse in modo poco ordinato: eliminiamo i rami che tendono a svettare troppo, mantenendo come riferimento l’altezza del fusto. Per evitare di provocare danni all’arbusto, accertiamoci sempre di aver disinfettato accuratamente i nostri utensili.

    La propagazione per talea
    Per propagare l’ardisia, attendiamo sempre il periodo primaverile. Ricaviamo delle talee lunghe circa 10 centimetri a partire dai germogli dei rami secondari. Ricordiamoci sempre di tagliare al di sotto del nodo e, soprattutto, di rimuovere le foglie che si trovano alla base della talea. Per favorire l’attecchimento, possiamo utilizzare la polvere che stimola lo sviluppo delle radici. Riponiamo quindi le nostre talee in vasi di circa 10 centimetri di diametro, scegliendo una miscela di torba e sabbia. Manteniamo costantemente umido il terreno e ricoveriamo i nostri vasi in un ambiente molto luminoso e dove ci siano almeno 25 gradi. Se le nostre talee si svilupperanno correttamente, dopo circa 2 mesi vedremo comparire i primi germogli.

    La fioritura e i frutti
    L’ardisia crenata produce delle particolari infiorescenze a pannocchia, con fiori a forma di stella di colore bianco e dal profumo delicato, che di solito fanno la loro comparsa tra i mesi di giugno e luglio. Nel periodo autunnale, l’arbusto ci regala anche delle bacche rosse vivide e lucide, le quali possono restare sull’ardisia addirittura fino alla fioritura dell’anno seguente.

    I parassiti
    L’ardisia può essere attaccata dalla cocciniglia farinosa: se notiamo la presenza dei caratteristici fiocchi sulle foglie, possiamo utilizzare un batuffolo di ovatta imbevuto di alcool per rimuoverli. Se l’infestazione è già abbastanza estesa, usiamo un antiparassitario ad hoc. L’arbusto può essere anche colpito dagli afidi, soprattutto sulle parti più giovani: per eliminarli, usiamo un prodotto fitosanitario specifico. Se ci accorgiamo che l’ardisia perde le foglie o le ha secche, significa che l’arbusto è esposto a temperature troppo elevate: ricoveriamolo in un ambiente con al massimo 20 gradi. LEGGI TUTTO

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    Antartide, con la diminuzione dei ghiacci aumentano le tempeste

    Un effetto domino, per cui, facendo cadere una sola tessera, a seguire cadono anche tutte le altre. E’ quanto si osserva quando, sul nostro Pianeta, vengono alterate alcune condizioni climatiche. Nel caso specifico: quando il ghiaccio marino diminuisce, la conseguenza è (anche) la crescita delle tempeste. Un effetto domino di cui non conosciamo ancora l’entità, ma sarebbe quanto mai opportuno porre rimedio a queste lacune per capire quello che ci attende nel prossimo futuro, se il trend attuale dovesse mantenersi.

    A raccontare tutto questo è una ricerca pubblicata su Nature, che ha analizzato i dati meteorologici e satellitari delle acque antartiche. Oggetto del lavoro, guidato dai ricercatori del National Oceanography Centre di Southampton (nel Regno Unito), è stato analizzare la portata e le conseguenze della drammatica perdita di ghiaccio marino osservata in Antartide negli ultimi anni, specialmente nel 2023 (un anno da record anche per l’aumento delle temperature). Finora infatti, scrivono gli scienziati, la ricerca si era concentrata più sulle cause che avevano determinato la perdita di ghiaccio che nel cercare di capire quali conseguenze questo avrebbe avuto. In particolare, come la perdita di ghiaccio altera gli scambi di calore tra mare e aria? Nel 2023, nel periodo tra giugno e luglio, si sono osservate estese riduzioni nella copertura del ghiaccio marino, rispetto alla media dello stesso periodo tra 1991–2020 (in alcuni casi le stime parlano dell’80%). Queste riduzioni hanno riguardato il mare di Weddell, il mare di Ross, quello di Bellingshausen e le acque di fronte alla terra di Enderby. Ma questo non è stato che il primo effetto osservato.

    Riscaldamento globale, si scioglie la calotta in Antartide: manca un pezzo grande quanto l’Argentina

    a cura della redazione Cronaca nazionale

    30 Luglio 2023

    Gli autori riportano anche una netta perdita di calore da parte delle acque e un cambiamento nelle tempistiche: il massimo di questa perdita di calore si è spostato da aprile a giugno, a sua volta contrastando la formazione di ghiaccio che si osserva nell’inverno antartico. Ma c’è, ancora, dell’altro. “Gli eventi importanti di perdita di calore sono fondamentali per avviare la convezione oceanica e influenzare le tempeste atmosferiche – scrivono infatti gli autori – Pertanto, il passaggio a eventi estremi più frequenti nel 2023 ha il potenziale per influenzare sostanzialmente sia l’oceano che l’atmosfera”. E così è stato, secondo quanto osservato. In particolare, tralasciando un attimo gli effetti sulle acque, a livello atmosferico questa perdita di calore avrebbe causato più tempeste. Nel dettaglio, le stime parlano per il periodo di giugno-luglio dello scorso anno di circa 2,5 giorni in più di turbolenza (storminess) rispetto alla media del periodo compreso tra il 1990 e il 2015, ovvero prima che cominciasse la perdita dei ghiacci marini, ricordano gli esperti, con aumenti che hanno riguardato soprattutto il mare di Weddell e di Ross.

    L’ingente perdita di calore da parte delle acque oceaniche però potrebbe avere anche un effetto domino sulle acque stesse, come puntualizzano Laura L. Landrum e Alice. K. DuVivier dell’University Corporation for Atmospheric Research di Boulder (Usa), in una news che accompagna l’uscita della ricerca. La perdita di ghiaccio infatti altera anche la salinità, la temperatura e la densità delle acque, influenzando la circolazione oceanica e la capacità dell’Oceano antartico di assorbire l’anidride carbonica. “È troppo presto – si legge nel paper – per capire se il 2023 segnerà l’inizio di un cambiamento di regime a lungo termine, ma quanto osservato è indicativo delle condizioni di estrema perdita di calore invernali che ci si può aspettare nei prossimi anni coni scarsa ricrescita di ghiaccio”. Con ripercussioni, concludono gli esperti, che potranno spingersi ben oltre l’oceano Antartico e interessare anche l’emisfero settentrionale. LEGGI TUTTO