5 Dicembre 2024

Daily Archives

consigliato per te

  • in

    In America Centrale è tornata la mosca assassina. L’esperto: “Colpa del traffico di bovini”

    La verità su Cochliomyia hominivorax. Il nome scientifico, nato a seguito di una serie di epidemie nell’800, non fa sconti: la mosca assassina del Nuovo Mondo ha larve voraci e carnivore, responsabili delle ‘miasi’, infestazioni dei tessuti che colpiscono i capi da bestiame e non risparmiano l’uomo. In Costa Rica è, dall’inizio del 2024, una vera e propria emergenza nazionale, la prima dagli anni ’90: qui la popolazione di mosche ha registrato un brusco incremento. E un caso di contagio a Catazaja, piccola città stato del Chiapas, Messico, ha innalzato il livello di allerta anche negli Stati Uniti, che hanno sospeso le importazioni di bestiame dal paese confinante.

    Già, perché le infezioni più rilevanti colpiscono bovini e ovini: le uova vengono deposte all’interno di una ferita, individuare i capi infetti e isolarli per tempo – priva ovvero dello sviluppo di una potenziale epidemia – è difficile. Per questo, è dalla fine degli anni ’50 del secolo scorso che la comunità scientifica si adopera nel tentativo di eradicare la specie, o ridimensionarne la popolazione. Dal 1994 lo fa, in particolare, la Copeg, acronimo di Comisión Panamá – Estados Unidos para la Erradicación y Prevención del Gusano Barrenador del Ganado: nata a seguito di un accordo tra il ministero dello Sviluppo Agricolo di Panama e il dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, riconosciuta come missione internazionale, mira proprio “a sradicare e prevenire la sua reinfestazione nella Repubblica di Panama, senza causare danni all’ambiente”. LEGGI TUTTO

  • in

    Google (e non solo): le promesse dell’intelligenza artificiale per prevenire il meteo estremo

    “Un nuovo modello di intelligenza artificiale migliora la precisione delle previsioni meteorologiche e dei rischi connessi agli eventi meteo estremi, offrendo previsioni più rapide e accurate fino a 15 giorni in anticipo”. La rivendicazione è di Google DeepMind, uno dei colossi dell’hi-tech che si sta cimentando col lo sviluppo e le possibili applicazioni della AI. L’annuncio fa seguito alla pubblicazione sulla prestigiosa Nature di un articolo in cui viene presentato GenCast, “il nostro nuovo modello di ensemble AI, che fornisce previsioni migliori sia del meteo giornaliero che degli eventi estremi rispetto al sistema operativo principale quello dello European Centre for Medium-Range Weather Forecasts (ECMWF), fino a 15 giorni in anticipo. Google spiega che GenCast è stato addestrato e allenato fornendogli “quattro decenni di dati meteorologici storici dall’archivio ERA5 dell’ECMWF. Questi dati includono variabili come temperatura, velocità del vento e pressione a varie altitudini. Il modello ha appreso modelli meteorologici globali…”.

    Che l’intelligenza artificiale possa essere il futuro delle previsioni meteo lo ammette anche Carlo Buontempo, direttore del programma europeo Copernicus, al quale Green&Blue ha chiesto un commento. “Lo sviluppo di GenCast, un modello di previsione meteorologica basato sull’intelligenza artificiale (Machine Learning Weather Predictions MLWP nel suo acronimo inglese), segna una pietra miliare significativa nell’evoluzione delle previsioni meteorologiche”, conferma Buontempo. Che però precisa come quello messo a punto da Google non sia una novità assoluta. “GenCast è uno degli ultimi modelli di machine learning esaminati in una serie di articoli scientifici di alto profilo, che evidenziano la continua evoluzione (e rivoluzione) nelle previsioni meteorologiche”.

    Lo stesso ECMWF, di cui Copernicus è una emanazione, ci lavora da tempo. “Abbiamo abbracciato questa rivoluzione integrando il nostro modello basato sulla fisica, l’Integrated Forecasting System (IFS), basandoci sulla scienza del machine Learning applicata al meteo e sviluppando l’Artificial Intelligence Forecasting System, AIFS, il nostro MLWP che adesso funziona in modo operativo”, continua Buontempo. Alcune componenti chiave dell’approccio di GenCast sono state integrate in una versione dell’AIFS: “Già dal giugno scorso, gli utenti possono vedere previsioni di ensemble live utilizzando AIFS che sfrutta alcune delle tecniche chiave sviluppate nel lavoro GenCast, in combinazione con la nuova ricerca dell’ECMWF”, spiega infatti Buontempo. Sul sito dell’ECMWF si trovano una serie di carte meteo e alcune (“sperimentali”, si sottolinea) sono ottenute con il modello di intelligenza artificiale AIFS.

    Ricerca

    Il Cmcc apre Dataclime cards, mappe per il futuro clima dell’Italia

    di Cristina Nadotti

    06 Marzo 2024

    L’annuncio era stato dato poco più di un anno fa da Florence Rabier, direttrice generale dell’Agenzia meteo europea: “Abbiamo deciso di lanciare l’AIFS sulla scia delle iniziative di diverse aziende per produrre previsioni meteo basate su metodi di apprendimento automatico. Tra queste, FourCastNet di Nvidia, Pangu-Weather di Huawei e il modello di Google DeepMind. Abbiamo reso disponibili questi sistemi sulle pagine pubbliche dei grafici dell’ECMWF, in base alle nostre condizioni iniziali. L’AIFS è stato ora aggiunto a quelle pagine”.

    Google rivendica la sua supremazia: una risoluzione più alta (vale a dire un reticolo in cui è divisa la superficie terrestre le cui maglie sono più fitte), un ampio margine di preavviso (15 giorni) e in generale risultati migliori di quelli forniti dalle previsioni tradizionali di ECMWF. “Ci sono domande e discussioni aperte su quello che può essere l’equilibrio ottimale tra i sistemi di previsione basati di machine learning e quelli tradizionali”, fa però notare Buontempo. “Un’ampia comunità scientifica, tra cui l’ECMWF, sta attivamente esplorando questo aspetto. GenCast presenta una buona scienza dal punto di vista del machine learning, ma questi miglioramenti devono essere testati su quanto bene si comportano in eventi meteorologici estremi per apprezzarne appieno il valore”. LEGGI TUTTO

  • in

    Così il polistirolo uccide i pesci: l’impatto delle nanoplastiche nel mare

    Le nanoplastiche di polistirene (polistirolo) sono in grado di provocare la morte delle cellule degli animali marini. È quanto ha dimostrato lo studio ENEA su modelli in vitro di orata e trota iridea, condotto in collaborazione con Cnr e Università della Tuscia (Viterbo) e pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment.

    Dallo studio emerge che nanoparticelle di polistirene da 20 nanometri – cento volte più piccole di un granello di polvere – hanno causato un danno alle cellule maggiore rispetto a quelle da 80 nanometri. Inoltre, le cellule di orata sono risultate circa quattro volte più sensibili alle nanoplastiche rispetto a quelle di trota.

    Inquinamento

    I solventi che purificano l’acqua dalle nanoplastiche

    di Anna Lisa Bonfanceschi

    28 Agosto 2024

    “Le particelle di plastica si sono attaccate alle membrane delle cellule, causando cambiamenti visibili nella loro forma e struttura, con tracce già evidenti dopo 30 minuti di esposizione. Solo le nanoplastiche da 20 nanometri hanno danneggiato gravemente le cellule nel tempo, portandole a una morte cellulare programmata (per apoptosi). E i primi segni evidenti di questo processo includevano il restringimento della cellula, la formazione di protuberanze sulla membrana, l’esposizione della fosfatidilserina (una molecola essenziale per il funzionamento della cellula) sulla superficie esterna della membrana, chiaro segnale di ‘agonia’ della cellula, fino alla frammentazione del DNA”, spiega Paolo Roberto Saraceni, ricercatore del Laboratorio ENEA Biotecnologie RED e coautore dello studio.

    “I risultati ottenuti – sottolinea Saraceni – evidenziano che la salute degli ecosistemi acquatici e terrestri, con il loro relativo impatto sulla salute umana, è strettamente interconnessa e può venire drammaticamente compromessa dalla diffusione dell’inquinamento da nanoplastiche se non affrontato con la dovuta tempestività”.

    La ricerca

    Riciclare il polistirolo ora potrebbe essere possibile

    di Sara Carmignani

    18 Giugno 2024

    Grazie a questo studio i ricercatori hanno identificato i possibili meccanismi alla base del danno ai tessuti biologici causato dalle nanoplastiche, attraverso l’applicazione di sistemi biotecnologici innovativi e lo sviluppo di modelli sperimentali animal free avanzati. Tali modelli si sono rivelati cruciali per ampliare la comprensione dell’impatto dei rifiuti plastici sulla salute degli ecosistemi, permettendo di ottenere dati riproducibili e di condurre studi su larga scala.

    Le nanoparticelle di plastica (visibili solo al microscopio e con dimensioni inferiori a 1000 nanometri, ossia circa 50-100 volte più piccole del diametro di un capello) hanno attirato l’attenzione della comunità scientifica per la capacità di attraversare membrane biologiche come quella intestinale e la barriera emato-encefalica, aumentando la loro tossicità potenziale verso gli organismi marini.

    “Le nanoparticelle possono causare effetti come tossicità cellulare, neurotossicità, genotossicità, stress ossidativo, alterazioni metaboliche, infiammazioni e malformazioni nello sviluppo delle specie marine, ma i meccanismi cellulari e molecolari alla base di questi impatti non sono ancora completamente compresi”, sottolinea Saraceni.

    Inquinamento

    Microplastiche e polistirolo, cibo per pesci e molluschi alla foce del Tevere

    di Paolo Travisi

    11 Marzo 2024

    La contaminazione degli ambienti marini e di acqua dolce da parte delle nanoplastiche è considerata una minaccia globale per gli organismi viventi che li popolano. La produzione di plastica nel mondo è stata di oltre 400 milioni di tonnellate nel 2022 e le stime più recenti prevedono che raddoppierà nei prossimi 20 anni fino a triplicare entro il 2060. La maggior parte dei rifiuti plastici non viene gestita correttamente: solo il 9% è riciclato, il 19% incenerito e il resto finisce in discariche o siti di smaltimento non controllati. Questo contribuisce all’accumulo di plastica nell’ambiente e sono soprattutto gli ecosistemi marini a subire l’impatto maggiore: si stima che più di 171 trilioni di particelle di plastica si accumulino nell’ambiente marino, degradandosi in frammenti più piccoli: il polistirene è una delle materie plastiche non biodegradabili più comuni e contribuisce significativamente all’inquinamento plastico ambientale. Tra le più frequentemente trovate negli organismi marini, presenta una tossicità significativamente maggiore rispetto ad altri polimeri testati. La sua potenziale tossicità per gli organismi acquatici e gli ecosistemi rimane una preoccupazione e, per questo, servono ulteriori ricerche per indagare su scala più ampia gli effetti a lungo termine”, conclude Saraceni. LEGGI TUTTO