11 Settembre 2024

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    Anthurium andraeanum: coltivazione, cura e quanto annaffiare

    L’anthurium andraeanum è una pianta molto decorativa, nota anche come fiore a fiamma oppure come fiore dell’amore: si presenta con fiori in diverse tonalità colore e richiede molta attenzione per la sua corretta coltivazione.

    La coltivazione dell’anthurium andraeanum
    Se si ha l’intenzione di coltivare l’anthurium andraeanum è necessario tenere presente alcuni aspetti. Infatti, questa pianta sempreverde richiede delle condizioni particolari per la sua coltivazione. È fondamentale garantire una temperatura sempre al di sopra dei 16°C, meglio ancora in un ambiente caldo e umido. Per quanto riguarda l’esposizione, questa pianta sempreverde tropicale non ama assolutamente la luce diretta del sole; dunque, è meglio collocarla in una zona illuminata della stanza. In questo modo, si evita di bruciare le foglie dell’anthurium andraeanum.

    Qual è il terreno migliore per l’anthurium andraeanum?
    Per offrire la migliore sistemazione all’anturium andraeanum bisogna selezionare una tipologia di terreno ricco di sostanze organiche. Inoltre, è importante preparare un terreno ben drenato, giacché questa pianta non ama rimanere troppo nella terra umida.

    Quando si annaffia l’anthurium andraeanum?
    È importante annaffiare la pianta sempre con regolarità, ma al tempo stesso è necessario non creare alcun ristagno di acqua. Infatti, troppe innaffiature possono far sorgere del marciume radicale che portano, inevitabilmente, alla morte della pianta.

    La concimazione dell’anthurium andraeanum
    Durante il periodo della fioritura, per mantenere sana la pianta, è possibile concimare l’anthurium andraeanum. In pratica, si può dare ogni due settimane un concime liquido (diluito nell’acqua) indicato proprio per le piante fiorite.

    La potatura dell’anthurium andraeanum
    Trattandosi di una pianta erbacea, l’anthurium andraeanum non necessita di alcuna potatura. È preferibile eliminare esclusivamente tutte le foglie che risultano essere eccessivamente secche oppure ingiallite. In questo modo, si garantisce una fioritura prolungata e forte.

    Che cosa fare quando le foglie appaiono gialle o marroni?
    La cura dell’anturium andraenum richiede particolare attenzione, specie quando le foglie cambiano colore. Per esempio, in caso di foglie gialle a partire dall’apice significa che vi è poca umidità e carenza d’acqua. In tal caso è fondamentale procedere con innaffiate più frequenti, meglio ancora vaporizzando l’acqua direttamente sulle foglie. Se, invece, le foglie sono marroni o tendono ad annerire vuol dire che si sta esagerando con l’acqua. È fondamentale ridurre immediatamente le innaffiature.

    I parassiti dell’anthurium andraeanum
    La principale avversità che può incontrare l’anthurium andraeanum durante la sua vita é la cocciniglia. Si tratta di una malattia molto comune tra le piante che si presenta sulle stesse come una sorta di nuvola bianca di filamenti. È importante controllare attentamente le foglie e non appena si nota qualche problema intervenire con un batuffolo di cotone, così da rimuovere l’insetto. Un altro problema che colpisce questa pianta è il tripide: è un piccolo insetto che danneggia con dei buchi le foglie e ne succhia la linfa, rovina sia le foglie sia i fiori.

    Le varietà e i colori dell’anthurium andraeanum
    Per quanto riguarda le varietà e i colori dell’anthurium andraeanum è possibile trovarne diversi in vendita. Per esempio, l’anthurium andraeanum “Royal Flush” si presenta come una cultivar con brattee di colore rosa e uno spadice caratterizzato da sfumature di colore rosa. Le foglie, invece, sono di un bel verde scuro. Tra le ulteriori varietà più note che si trovano facilmente in vendita citiamo anche l’anthurium crystallinum che ha foglie verdi con nervature color argento, l’anthurium veitchii che si contraddistingue per foglie molto lunghe che raggiungono i 90 cm e fiori giallo/verde e l’anthurium scherzerianum che ha foglie molto lunghe e fiori rossi oppure arancioni. LEGGI TUTTO

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    Piantare fiori può aiutare gli impollinatori, ovunque lo si faccia

    Secondo il Dipartimento di agricoltura statunitense, le capacità riproduttive di circa un terzo delle colture alimentari dipendono almeno in parte dall’attività degli animali impollinatori, come insetti, uccelli e pipistrelli. Purtroppo, il cambiamento climatico, l’inquinamento atmosferico e la distruzione degli habitat a causa dell’urbanizzazione stanno contribuendo al declino, in termini sia di abbondanza che di biodiversità, di molte specie di impollinatori e in particolare degli insetti appartenenti a questa categoria, come api, falene, farfalle, coleotteri. Ma, secondo uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università del Tennessee a Knoxville (Stati Uniti) e appena pubblicato su Plos One, c’è qualcosa di molto semplice che possiamo fare per invertire questo andamento: piantare fiori, indipendentemente dal contesto (urbano o rurale) in cui si ha modo di farlo.

    Gli autori dello studio hanno infatti analizzato l’abbondanza e la biodiversità degli insetti impollinatori in quattro tipologie di giardino, ciascuna replicata all’intento di cinque contesti diversi: un contesto urbano, un prato da pascolo, un appezzamento di terra adibito ad agricoltura mista, uno adibito ad agricoltura biologica e, infine, una foresta. Per quanto riguarda le quattro tipologie di giardino, i ricercatori hanno utilizzato un giardino “misto”, costituito cioè da specie vegetali appartenenti a tre diverse famiglie di piante da fiore tipiche degli Stati Uniti (quella delle Asteraceae, quella delle Fabaceae e quella delle Lamiaceae), e tre giardini “omogenei”, ossia costituiti unicamente da una di queste tre famiglie di piante da fiore.

    Biodiversità

    Città a misura di api: un progetto per la tutela degli impollinatori

    di Simone Cosimi

    20 Maggio 2024

    Fra luglio e agosto, periodo di massima fioritura di queste piante, gli autori hanno poi monitorato il numero e le specie di insetti impollinatori presenti nei diversi giardini e anche nel raggio di 50 metri dagli stessi. In particolare, hanno preso in considerazione gli insetti che sono stati visti entrare in contatto con le parti riproduttive delle infiorescenze. Ne è emerso che, fra i giardini, quello inserito all’interno dell’appezzamento di terra adibito ad agricoltura mista ha mostrato la più elevata abbondanza di impollinatori. Per quanto riguarda il campionamento nelle aree circostanti i giardini, la maggiore abbondanza di questo tipo di insetti è stata invece riscontrata nella zona attigua al giardino inserito all’interno del contesto urbano.

    Tuttavia, i fattori che hanno avuto maggiore impatto sull’abbondanza e sulla biodiversità delle specie di insetti impollinatori sono stati il numero di fiori disponibili e la varietà delle specie di piante presenti nei giardini: “Spesso ci chiediamo come l’area circostante i nostri giardini influenzi gli impollinatori che visitano i nostri fiori – commentano i ricercatori – Nel nostro studio abbiamo scoperto che il numero e i tipi di fiori del giardino stesso erano più importanti per l’abbondanza e la diversità degli impollinatori rispetto al contesto locale o paesaggistico circostante”. LEGGI TUTTO

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    Clima, Deloitte: per l’84% dei manager italiani un business sostenibile è anche redditizio

    Il trend è inarrestabile: la sostenibilità è ormai parte integrante dell’agenda delle aziende italiane. Sembra davvero superata la convinzione che un business sostenibile e redditizio non possa esistere. Almeno guardando i dati CxO Sustainability Report 2024, lo studio di Deloitte l’azienda di consulenza e revisione condotto a livello globale su oltre 2.100 top manager provenienti da 27 Paesi in tutto il mondo. Compresa l’Italia. Anzi in Italia va meglio che altrove. Non solo c’è stato un aumento degli investimenti in sostenibilità, ma ci sono segnali positivi anche su un punto che negli ultimi tempi ha creato polemiche: l’azione climatica non è in contrasto con la creazione di valore, piuttosto la guida e anzi guadagna un ruolo centrale nella strategia di molte imprese. Spiega Stefano Pareglio, presidente di Deloitte Climate & Sustainability: “Non c’è alcun segnale di rallentamento nell’impegno delle aziende per la sostenibilità, i manager intervistati non hanno evidenziato alcun conflitto tra il successo aziendale e il contrasto al cambiamento climatico: l’84% dei manager in Italia e il 90% a livello globale ritiene che l’economia mondiale possa crescere senza rinunciare agli obiettivi climatici. E c’è anche ottimismo sul futuro della propria organizzazione: il 93% dei manager italiani e il 92% a livello globale è convinto che il successo aziendale possa andare di pari passo alla riduzione delle emissioni di gas serra”.
    Per il momento, dunque inflazione, tensioni geopolitiche e incertezza macroeconomica non hanno frenato gli investimenti green in Italia. Le aziende hanno capito che la sostenibilità – ambientale, sociale ed economica – è un investimento che può far bene a tutti, affari compresi. E chi invece ha adottato un approccio “aspetta e vedi” nei confronti dei rischi legati al clima potrebbe invece trovarsi a recuperare terreno.

    Cambiamento climatico tra le sfide globali
    Il cambiamento climatico rimane la priorità in Italia secondo il 44% degli intervistati (37% a livello globale): le organizzazioni italiane ritengono questo problema più urgente rispetto al tema dell’innovazione (40%), alle prospettive economiche (38%), all’incertezza geo-politica (36%), alle sfide legate alla supply chain (33%) e alla competizione tra aziende per i talenti (29%). L’80% dei manager in Italia dichiara di aver aumentato gli investimenti green rispetto all’anno precedente: nel 15% dei casi l’aumento è significativo, mentre nel 65% dei casi l’incremento è di minore entità ma comunque significativo.

    L’impatto dei nuovi modelli di consumo
    Il 69% dei dirigenti aziendali italiani prevede che il cambiamento climatico avrà un impatto elevato o molto elevato sulla propria azienda nei prossimi tre anni. Tra gli impatti del cambiamento climatico più rilevanti secondo gli intervistati vi sono il cambiamento dei modelli di consumo (64% Italia, 51% media globale), le politiche green adottate a livello nazionale e internazionale (58% Italia, 49% media globale), ma anche l’elevato costo delle risorse (55% Italia e 47% media globale). Inoltre, le aziende italiane segnalano il cambio di passo imposto dalle nuove metriche e dal reporting ambientale (53%), ma anche dall’aumento della pressione della società civile (53%).

    Tecnologia

    Smarthphone ricondizionati: il mercato sostenibile che vale un miliardo di euro

    di Antonio Piemontese

    08 Agosto 2024

    Per l’87% dei manager le misure saranno sufficienti
    Il 76% dei manager in Italia si dichiara preoccupato per il cambiamento climatico “sempre o la maggior parte del tempo”: una percentuale molto significativa e in notevole aumento rispetto allo scorso anno (59%). L’aumento della preoccupazione tra i dirigenti d’azienda è dovuto all’esperienza diretta di eventi climatici estremi: il 45% degli intervistati nel nostro Paese, infatti, ha vissuto in prima persona alluvioni e allagamenti, il 42% siccità e il 31% caldo estremo. Allo stesso tempo, però, gli intervistati risultano anche più ottimisti dell’anno scorso: l’87% degli italiani – e il 92% della media globale – pensa che a livello mondiale verranno adottate misure sufficienti per evitare gli impatti più drammatici del cambiamento climatico.

    La pressione degli stakeholder
    Le organizzazioni sono sempre più sotto osservazione per la loro azione climatica. A esercitare pressione su di loro sono soprattutto gli investitori e gli azionisti (71% Italia, 60% media globale), i clienti e consumatori (65% Italia, 58% media globale), i membri dei CdA (60% Italia, 59% media globale) e la società civile (60% Italia, 58% media globale). Nel nostro Paese, dunque, emerge una pressione da parte di azionisti e investitori più alta della media globale.

    Economia

    Il business cresce di più per le società benefit

    di redazione Green&Blue

    10 Luglio 2024

    I benefici dell’azione climatica: oltre il marchio
    Nonostante queste difficoltà, i benefici generati dall’azione climatica sono numerosi e vanno molto al di là dell’impatto positivo sulla reputazione. Le aziende italiane stanno riscontrando una vasta gamma di benefici, tra cui il risparmio sui costi (44% Italia, 35% media globale), la soddisfazione dei clienti (42% Italia, 38% media global), le entrate provenienti da nuovi business (42% Italia, 35% media globale), l’innovazione dell’offerta e delle operations (40% Italia, 36% media globale), una maggiore efficienza e resilienza della supply chain (40% Italia, 37% media globale). Inoltre, ci sono i benefici attesi per i prossimi cinque anni, tra cui migliori margini operativi (44% Italia, 36% media globale) e una migliore brand reputation e recognition (38% Italia, 36% media globale).

    La strategia
    Le organizzazioni italiane e globali stanno adottando una serie di misure per centrare i loro obiettivi di sostenibilità: tra le più diffuse ci sono l’efficientamento energetico (62% Italia, 49% media globale), l’uso di fonti d’energia rinnovabile (55% Italia, 49% media globale), l’impiego di materiali sostenibili (55% Italia, 51% media globale) e lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi rispettosi del clima (49% Italia, 48% media globale). Vi sono, però, anche alcune barriere all’azione climatica: il 27% dei top manager in Italia (17% media globale) dichiara di riscontrare difficoltà nel misurare l’impatto ambientale, il 20% (18% media globale) dice che l’attenzione alle sfide aziendali a breve termine ha la priorità, mentre un altro 20% segnala una mancanza di requisiti per la rendicontazione. LEGGI TUTTO

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    Gli Stati generali delle città intelligenti: il 21 e 22 ottobre a Padova la PA che innova. Scopri il programma

    Manca poco più di un mese alla nuova edizione, la quinta, degli Stati generali delle città intelligenti, l’appuntamento annuale di City Vision. Quest’anno l’evento raddoppia, con una due giorni a Padova per incontrare la community nazionale di amministratori e amministratrici al lavoro sulla trasformazione smart dei territori insieme ad aziende e startup che mettono in campo progetti virtuosi. Lunedì 21 e martedì 22 ottobre l’evento è in programma nel centro storico della città, al Centro Culturale Altinate S. Gaetano, con mattine e pomeriggi densi di panel, tavoli di lavoro, spettacoli, incontri aperti al pubblico e occasioni di networking.
    Che cosa sono gli Stati generali delle città intelligenti?
    Progetto di Blum e Padova Hall, City Vision ritorna con gli Stati generali del 21 e 22 ottobre a Padova dopo un roadshow in tutta Italia (Napoli, Genova, Milano, Udine e Siracusa), durante il quale hanno preso la parola decine di rappresentanti della PA, aziende e stakeholder impegnati in politiche concrete per trasformare i comuni, dai più piccoli ai capoluogo. In quella logica di inclusione che da sempre contraddistingue l’iniziativa, l’obiettivo è mettere in mostra iniziative che – dal sostegno alla mobilità sostenibile, passando per l’impiego virtuoso degli open data, fino agli investimenti sulle infrastrutture – mostrano l’impegno di sindaci e sindache.

    Agli Stati generali i format saranno molteplici, proprio per dare spazio a ogni speaker di portare il proprio contributo. Oltre ovviamente al main event della mattina del 22 ottobre, l’evento annuale di City Vision offrirà altri momenti per ascoltare e incontrare chi sta lavorando oggi per le città del futuro affinché siano digitali, inclusive e sostenibili. Il programma, in aggiornamento sul sito, prevede ad esempio la possibilità di visitare l’Innovation District e scoprire tutte le aziende e startup della community che collaborano con la PA su politiche di trasformazione smart.
    Stati generali 2024: gli speaker
    Saranno più di 100 gli speaker e i relatori che interverranno nei vari appuntamenti degli Stati generali. Ci sarà spazio per inspirational speech verticali su tematiche di attualità come l’intelligenza artificiale, con tutte le opportunità e i rischi per la Pubblica Amministrazione: a questo proposito interverrà Matteo Flora, professore in Fondamenti di Sicurezza delle AI e delle SuperIntelligenze (European School of Economics) e imprenditore; ci saranno poi Shauna Brail, director Institute for Management & Innovation all’Università di Toronto, Florencia Andreola, PhD in Storia dell’architettura e co-fondatrice di Sex & the City, e Federico Parolotto, architetto e amministratore delegato MIC-HUB. LEGGI TUTTO

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    Test di medicina, lo strano caso del boom di 90 e di un punteggio minimo altissimo

    Sono uscite le graduatorie del test di Medicina, quello che serve per entrare nella facoltà di medicina e poter studiare per diventare medico (figura che, tra l’altro, soprattutto nel pubblico, inizia a scarseggiare). Tutti i siti specializzati, come studenti.it, gridano allo scandalo. Per la precisione:”Il punteggio minimo sembra essere più alto di quanto previsto perché è pari a 78,6. Ma non è tutto. Una prima analisi della graduatoria condotta da Testbusters ha portato a un risultato inaspettato: una discrepanza potenzialmente scandalosa. Gli esperti segnalano che ci sarebbero 32 punteggi massimi in più rispetto ai conti”.
    Ma cosa è successo? Il punteggio minimo per entrare a Medicina è di 78,6, ancora più alto rispetto alle previsioni. In altre parole, bisognava rispondere correttamente ad almeno 54 domande su 60. Per accedere agli atenei più ambiti sarà dunque necessario un punteggio ancora più alto e prossimo a 90 che è il punteggio massimo.
    “La causa? Il boom di 90 a entrambe le sessioni di maggio e luglio. Napoli, Palermo e Padova si confermano al vertice della classifica per il maggior numero di punteggi pieni ai test di Medicina, sia alla prima che alla seconda prova”. Spiega il Comitato per il Diritto allo studio Medicina che ha stilato la classifica degli atenei in cui i candidati hanno ottenuto i punteggi più alti, con un tasso assolutamente fuori norma.
    Anche il Ministero aveva voluto vederci chiaro, e dopo i primi risultati anomali, aveva chiesto delucidazioni agli atenei incriminati. Dopo le richieste del Ministro, gli atenei finiti nell’occhio del ciclone non hanno preso alcun provvedimento, e i punteggi pieni sono persino aumentati. Nessun controllo, dunque, nessun provvedimento preso e, anche a luglio, il quadro che emerge è lo stesso di maggio: boom di 90 alla Federico II, seguito dagli atenei di Padova e Palermo.
    “Se i 90 fossero dovuti solo a eccellenti capacità mnemoniche – spiega Anna Clara Romano, portavoce del comitato – dovremmo avere una certa omogeneità tra le sedi. Invece, alla Federico II ben 105 su poco più di 3mila candidati hanno ottenuto un punteggio pieno a luglio (il 3,4%) quindi, mentre a Torino, solo 32 su più di 1900 candidati hanno ottenuto lo stesso risultato (il 1,7%), un trend che è omogeneo in tutte le sedi, ad eccezione di quelle già nominate. È un’anomalia che ci penalizza tutti”.
    “Nei mesi passati, abbiamo già denunciato la mancanza di controlli, metal detector e aule schermate ai test di Medicina – spiegano gli avvocati Francesco Leone e Simona Fell, soci fondatori dello studio Leone-Fell e legali del Comitato – il rischio che in alcune sedi sia stato più facile copiare è stato confermato dai risultati dei test di luglio e dal punteggio minimo di ammissione che è elevatissimo. E ora chi ha svolto il test correttamente e in altre sedi si troverà penalizzato dai soliti furbetti. A questo si aggiunge la questione dei quartini: 2.500 posti illegittimamente riservati ai ragazzi del quarto anno che l’anno scorso hanno partecipato ai Tolc e tolti ai ragazzi che hanno partecipato ai test di quest’anno. Tuteleremo i diritti degli studenti e proporremo ricorso contro tali irregolarità”. LEGGI TUTTO