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    La casa più costosa degli Usa è in vendita ma rischia di finire sommersa

    La casa più costosa degli Stati Uniti ha tutto, ma proprio tutto, tranne una cosa: essere pronta agli effetti devastanti della crisi del clima. E anche per questo, adesso fatica ad essere venduta. In Florida, nella zona di Naples, affacciata sul Golfo del Messico, la proprietà Gordon Pointe è una villa che non può passare inosservata: si tratta di un complesso residenziale imponente, per tre lati circondato dal mare, una sorta di enclave – noto anche come Port Royal – dove non manca nulla. C’è un porto in grado di ospitare più yacht, un appezzamento di quasi 40mila metri quadri, una villa principale con sei camere da letto e una infinità di bagni e poi due guest house, un altro molo, giardini, piscine e soprattutto spiagge, tutte private. Quando a inizio anno è stata messa in vendita il valore è stato stimato intorno ai 295 milioni di dollari, un prezzo che secondo gli analisti statunitensi la rende probabilmente la proprietà più cara di tutto il Paese. LEGGI TUTTO

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    Birmingham Blade: la prima turbina eolica urbana progettata dall’intelligenza artificiale

    La prima turbina eolica urbana al mondo, progettata dall’intelligenza artificiale (IA), parla inglese e veste un taglio sartoriale. Non sapremo mai se il color fumo di Londra delle sue pale si deve a una coincidenza o una scelta ponderata, ma quel che conta è che i progettisti di AI EvoPhase e l’officina di precisione Kwik Fab Ltd hanno svelato un nuovo tipo di generatore di energia eolica. Il prototipo si chiama Birmingham Blade e si caratterizza per piccole dimensioni, bassi costi di scala e dettagli ingegneristici espressamente sviluppati per rispondere alle esigenze del contesto dove verrà impiegato.

    EvoPhase, che è “un’unità operativa” della University of Birmingham Enterprise, ha confermato di aver impiegato l’intelligenza artificiale in ogni fase: dalla progettazione alla fase di test di efficienza. Il tutto giocando anche la carta dei “modelli predittivi ancorati a solide simulazioni e dati del mondo reale”.

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    di Dario D’Elia

    29 Agosto 2024

    “Avevamo bisogno di una turbina che potesse catturare le velocità del vento relativamente basse di Birmingham, gestendo al contempo la turbolenza causata dagli edifici circostanti”, ha sottolineato Leonard Nicusan, Chief Technology Officer di EvoPhase. “Il design doveva anche essere compatto e leggero per adattarsi alle installazioni sui tetti”. La criticità principale infatti è che a Birmingham veniva richiesta una soglia di funzionamento compatibile con un vento di 3,6 metri al secondo, rispetto ai consueti 10 metri al secondo delle comuni turbine. Il risultato è in un design unico a sviluppo verticale, accreditato di una efficienza del 700% superiore rispetto ai comuni impianti già diffusi localmente.

    “L’uso dell’IA è stato essenziale per liberarci dai pregiudizi di lunga data che hanno influenzato i design delle turbine per tutto il secolo scorso. Ci ha permesso di esplorare possibilità di design oltre l’ambito della sperimentazione umana tradizionale. Siamo stati in grado di generare, testare e perfezionare oltre 2mila di turbine eoliche in poche settimane, accelerando significativamente il nostro processo di sviluppo e ottenendo ciò che avrebbe richiesto anni e milioni di sterline con metodi convenzionali”, ha aggiunto Nicusan.

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    di Dario D’Elia

    29 Agosto 2024

    Birmingham Blade, secondo i progettisti, ha già superato la fase prototipale. Infatti rispetto al primo concept per dimostrare la fattibilità della produzione del design, adesso si parla di una versione in alluminio che sarà posizionata su un tetto di Birmingham per il collaudo e gli ultimi affinamenti. Il prodotto definitivo sarà pronto entro la fine del 2025.

    EvoPhase e Kwik Fab sono convinte che questa modalità di progettazione e generazione di prototipi rapida si sposino perfettamente con i bisogni di ogni città. Prova ne sia che stanno lavorando a un nuovo modello per le esigenze ambientali di Edimburgo. “Possiamo prendere un progetto complesso, produrre e spedire un prototipo per i test nel giro di poche settimane. Vorremmo lavorare con organizzazioni che vogliono sfruttare al meglio l’energia eolica, una fonte di energia sostenibile gratuita e presente in ogni paese”, ha concluso Paul Jarvis di Kwik Fab. LEGGI TUTTO

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    PNI 2024, la partita del futuro si gioca sulla sostenibilità: le startup che sfidano il clima

    Torna la finale della XXII edizione del Premio Nazionale per l’Innovazione (PNI), promossa dalla Rete PNICube e organizzata con l’Università di Tor Vergata nell’ambito dell’Ecosistema regionale dell’innovazione Rome Technopole, la più grande e capillare Business Plan Competition d’Italia a Roma il 5 e 6 dicembre 2024 nell’Aula Magna della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. L’evento sarà trasmesso in streaming su Green&Blue e Italian Tech.

    “Al Premio concorrono quest’anno 77 progetti d’impresa innovativa nati dalla ricerca scientifica nell’ambito delle università e degli enti pubblici di ricerca, vincitori delle 17 Start Cup regionali, veri e propri circuiti virtuosi per l’innovazione e il trasferimento tecnologico in 18 regioni d’Italia, con un coinvolgimento di oltre 400 attori dell’innovazione al lavoro insieme ai 56 associati della rete PNICube. Una straordinaria “rete delle reti” al servizio del futuro, che aggrega oltre l’80% delle università pubbliche italiane. Lo spiega Paola Paniccia, Presidente PNICube, Delegata allo Sviluppo delle Imprese, Start-up e Spin-off per l’Università di Roma Tor Vergata.

    Paola M.A. Paniccia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, presidente PNICube  LEGGI TUTTO

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    Risparmio energetico e smart home: ancora pochi giorni per l’ecobonus al 65%

    Ancora solo pochi giorni per installare i sistemi automazione e controllo dei consumi energetici in casa e avere l’ecobonus con l’aliquota più elevata del 65%. Dal I gennaio 2025, infatti, l’aliquota scenderà al 50%, anche se questo tipo di impianti è in grado di garantire un miglioramento del confort domestico e una riduzione dei consumi […] LEGGI TUTTO

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    Neuronova: “La nostra AI come un cervello umano e consuma mille volte meno delle altre”

    “La nostra missione in Neuronova è rivoluzionare la scalabilità dell’intelligenza artificiale tramite una tecnologia sostenibile che permette ai dispositivi di fare di più con meno energia”. Fondata da tre ingegneri: Alessandro Milozzi, Marco Rasetto e Michele Mastella con un dottorato in calcolo neuromorfico, Neuronova è una startup deeptech focalizzata sull’innovazione sostenibile con l’obiettivo di realizzare chip per l’AI a bassissimo consumo energetico.

    La tecnologia di Neuronova sfrutta un paradigma che emula il funzionamento del cervello direttamente a livello hardware implementando neuroni e sinapsi come vere e proprie strutture fisiche su silicio. Questo design consente di eseguire l’elaborazione AI in modo simile ai sistemi biologici, con un consumo energetico fino a 1000 volte inferiore rispetto alle soluzioni attuali, tutto all’interno di un chip compatto grande solo qualche millimetro compatibile con l’integrazione ad alti volumi.

    La startup con sede a Milano ha appena chiuso un round pre-seed da 1,5 milioni guidato da 360 Capital e Tech4Planet, hub di trasferimento tecnologico sulla sostenibilità ambientale creato su iniziativa di CDP Venture Capital. Il finanziamento sosterrà lo sviluppo del processore ultra-low power di Neuronova, una tecnologia rivoluzionaria che riduce il consumo di energia, consentendo di portare l’AI su smart devices e sensori alimentati a batteria. “Questa iniezione di capitale ci avvicina di un altro passo verso la rivoluzione dell’infrastruttura per l’AI, abilitando una nuova generazione di dispositivi e sensori intelligenti”, ha aggiunto il co-founder Milozzi.

    La risposta alla sfida della sostenibilità dell’AI
    Nel 2023, le vendite globali di dispositivi smart hanno sfiorato i due miliardi di unità, evidenziando una crescente necessità di tecnologie sempre più efficienti. Con l’espansione di questo mercato, affidarsi esclusivamente a infrastrutture cloud centralizzate per l’elaborazione dei dati diventa sempre meno sostenibile, a causa dell’elevato consumo energetico, dell’impatto ambientale e dei costi in continuo aumento. Il processore di Neuronova affronta questa sfida portando l’esecuzione dell’AI direttamente sul dispositivo, spostando il calcolo dai data center centralizzati a soluzioni a basso consumo energetico integrate nei dispostivi smart. È possibile in questo modo decongestionare l’infrastruttura cloud abilitando allo stesso tempo applicazioni altrimenti irrealizzabili di real-time processing, che vanno dall’interazione fluida con assistenti vocali AI ad apparecchi medici avanzati.

    Grazie al recente round di finanziamenti Neuronova potrà ampliare il proprio team, concentrare risorse sulla ricerca e sviluppo, e avviare il design e la produzione del primo prototipo del processore. Questo importante passo avvicina l’azienda al suo obiettivo di rendere l’intelligenza artificiale più sostenibile e scalabile. La tecnologia di Neuronova mira infatti a facilitare l’integrazione dell’AI per creare soluzioni avanzate in diversi settori, dall’elettronica di consumo ai dispositivi IoT, aprendo nuovi scenari per prodotti smart ma anche per modelli di business innovativi.

    Il cervello biologico di Neuronova
    Il prototipo del processore di Neuronova, in uscita il prossimo anno, dimostrerà le sue capacità nella risoluzione di task AI, andando a definire nuovi standard di mercato. Il posizionamento strategico di questa tecnologia ha già suscitato l’interesse di aziende leader nel settore dei dispositivi smart, alcune delle quali stanno già collaborando a stretto contatto con Neuronova per integrare questo processore innovativo nei loro prodotti. “Il nostro investimento in chip neuromorfici rivoluzionari riflette il nostro impegno nel guidare l’innovazione sostenibile – ha aggiunto Claudia Pingue, Senior partner e Head of Technology Transfer Fund di CDP Venture Capital -. I chip di Neuronova hanno il potenziale per ridurre i consumi di energia per l’AI sui sensori e dispositivi di un fattore mille, rappresentando una soluzione strategica ad una delle più grandi sfide nella sostenibilità dell’intelligenza artificiale”. LEGGI TUTTO

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    Dall’Australia il primo foie gras coltivato in laboratorio

    Dai laboratori di una start up australiana il primo foie gras prodotto con carne coltivata. Si chiama forged gras, questo prodotto alimentare sbarcato sulle tavole dei ristoranti di Singapore e Hong Kong, per mano dell’azienda Vow, direttamente dall’Australia.

    Il foie gras – pietanza da sempre controversa, che divide i palati, chi ha a cuore la salute degli animali e non è venduto da tutti i centri di distribuzione – infatti, si produce con il fegato di anatre e oche, che vengono nutrite con un’alimentazione forzata per ingrassare. Una pratica crudele. Da qui l’idea dell’azienda australiana che ha messo a tacere ogni problema etico sul metodo di allevamento, producendo foie gras partendo dalle cellule di quaglia giapponese, ma mantenendo la consistenza del fegato ingrassato.

    Il foie gras coltivato
    Ma cosa significa carne coltivata? Le cellule di quaglia giapponese sono coltivate in un bioreattore per 79 giorni, fatte sviluppare, dopodiché sono combinate con grassi vegetali, proteine di fave e aromi naturali per ricreare il sapore del vero foie gras, prodotto di lusso, che resta tale anche nella versione australiana. Questo prodotto peculiare della cucina, per ora è disponibile solo in ristoranti di alta cucina e solo nelle metropoli asiatiche di Singapore e Hong Kong, tra i pochi mercati dove si può mangiare la carne coltivata in laboratorio. L’azienda di Sydney ha puntato su mercati elitari, in cui ci sono clienti disposti a spendere cifre elevate per un piatto a base di foie gras.

    Quanto? La carne coltivata in laboratorio può costare costi tra 68 e 10.000 dollari ogni 450 grammi a seconda del metodo di produzione, che ovviamente non piò contare su un’economia di scala, oltre al fatto che il terreno di coltura per far crescere le cellule in un ambiente controllato, ha costi nell’ordine dei 400 dollari al litro, motivo che ha spinto i produttori di carne da laboratorio ad un insieme di cellule coltivate e ingredienti vegetali.

    In verità, la Vow, che non svela il costo del suo foie gras, comunque nell’ordine di centinaia di dollari al kg, non guarda al mercato di massa, ma per grandi hotel e ristoranti di lusso che per motivi etici intendono eliminare il foie gras dal menù, ma non chi ne apprezza il gusto.

    Nel frattempo se l’Australia può produrre carne coltivata, in Europa la situazione è ancora indefinita e non mette tutti gli stati d’accordo; eppure recentemente una startup francese, Gourmey, aveva presentato la prima richiesta di autorizzazione per produrre il foie gras coltivato in Europa, ma il vecchio continente ha un iter normativo piuttosto laborioso e lungo di circa 18 mesi, che prevede (giustamente) una rigorosa valutazione della sicurezza alimentare da parte dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare. Ma se l’impresa francese ricevesse il semaforo verde dalle istituzioni europee, allora il foie gras coltivato potrebbe diventare una valida alternativa a quello tradizionale e farsi strada in Europa, anche se il nostro paese (insieme ad altri 11) non approva la carne coltivata, equiparata al cibo sintetico.

    L’Europa, divisa sulla questione, ritiene di dover approfondire questa nuova tecnologia alimentare. Intanto nella vicina Svizzera, invece, è stata avviata una richiesta per fermare l’importazione di foie gras, e di tutti quei prodotti ottenuti con l’alimentazione forzata, anche se il Governo della Confederazione ha fatto sapere che questo limiterebbe la libertà di scelta e dei consumatori e non rispetterebbe gli accordi internazionali. LEGGI TUTTO

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    Solo il 13% delle compagnie aeree ha un piano green e sceglie carburanti sostenibili

    I voli aerei rischiano il bollino nero della sostenibilità. Vi sono almeno due indizi che lo lasciano intendere. Il primo è che secondo la nuova classifica di T&E – l’organizzazione europea che raccoglie le organizzazioni non-governative che operano nel settore dei trasporti e dell’ambiente – l’87% delle compagnie aeree non ha ancora un piano per la transizione verde e per l’adozione di carburanti sostenibili per l’aviazione (SAF).

    Il secondo è che a partire dal 2025 entrerà in vigore un’etichetta Ue che indicherà le prestazioni ambientali dei voli: nello specifico l’impronta di carbonio per passeggero e l’efficienza di CO2 per chilometro. Insomma, i passeggeri per la prima volta potranno confrontare le prestazioni ambientali di ogni compagnia sulle stesse rotte.

    Gli specialisti di T&E hanno stilato una classifica sulla base di tredici parametri, fra cui gli obiettivi di adozione di SAF e tipologia e volumi dei carburanti, riduzione delle emissioni conseguite, obiettivi specifici per l’uso di cherosene sintetico o l’esistenza di accordi di off-take (legale impegno di acquisto) per il cherosene sintetico. Da sottolineare che i SAF rispetto al comune combustibile fossile impiegato, il cherosene, sono a base rinnovabile, emettono meno CO2 durante il ciclo di vita e riducono altre emissioni nocive come il particolato e lo zolfo. Fra questi carburanti green, secondo le più recenti norme Ue, rientrano: alcuni sintetici come l’e-cherosene (anche riciclati prodotti dai gas di scarico e dai rifiuti di plastica); biocarburanti prodotti da residui agricoli o forestali, alghe, rifiuti organici, olio da cucina esausto o alcuni grassi animali; idrogeno rinnovabile.

    Air France-KLM, United Airlines e Norwegian sul podio
    “Appena 10 delle 77 compagnie aeree valutate stanno facendo sforzi concreti per sostituire il cherosene fossile; mentre le restanti 67 compagnie aeree prevedono di adottare il tipo sbagliato di SAF, oppure di acquistarne quantità insufficienti – o addirittura nulle – nei loro piani di decarbonizzazione”, sottolinea il documento. Sul podio ci sono Air France-KLM, United Airlines e Norwegian, che devono i loro buoni punteggi non solo a strategie di transizione ma l’adozione crescente di e-cherosene o di biocarburanti avanzati. Ad esempio Air France-KLM punta a impiegare il 2% di SAF nel 2025 e il 10% entro il 2030. Fra le tante compagnie senza piani di transizione c’è ITA Airways, e in tal senso i dati al riguardo sono un po’ disarmanti: troppi zero nelle colonne del database analitico. LEGGI TUTTO

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    Restare al chiuso non salva dall’inquinamento: lo studio

    Uno studio condotto dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile (Enea) e dall’ Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (Cnr–Isac) in collaborazione con gli atenei Sapienza di Roma e Milano-Bicocca rilancia il tema dell’inquinamento indoor in termini di ricadute per la salute.

    La ricerca, pubblicata su Science Direct – Environmental Pollution impone una riflessione: il particolato fine (MP 2.5) e quello ultrafine (PM 0.1), originato dal traffico urbano, si infiltrano negli ambienti chiusi e hanno un impatto su diverse malattie, tra le quali quelle cardiache e quelle tumorali.

    Gli ambienti chiusi non sono per forza di cose più sicuri di quelli all’aperto e considerando che, in media, chi vive nei centri urbani passa il 97% del proprio tempo in ambienti indoor, è ampiamente esposto ad agenti inquinanti che provengono tanto dall’esterno (soprattutto il traffico e i fumi dei riscaldamenti) quanto dall’interno come, per esempio, il fumo di tabacco, i prodotti per la pulizia e la cottura di cibi. In parole semplici, chi è convinto che rimanere in luoghi chiusi sia più salutare di rimanere all’aperto, deve ricredersi.

    Lo studio italiano che rilancia il dibattito
    L’obiettivo della ricerca è quello di comprendere quale effetto hanno le particelle fini e ultrafini sulla regolazione genica e sulla metilazione del DNA delle cellule epiteliali bronchiali. Francesca Costabile dell’Istituto di scienze dell’Atmosfera e del clima, una tra le ricercatrici che hanno collaborato all’indagine, spiega: “Lo studio ha permesso di stabilire che, nelle città Europee, l’inquinamento dell’aria indoor può avere effetti avversi sulla salute al pari dell’inquinamento outdoor. È emerso che l’aerosol atmosferico generato dal traffico veicolare urbano, infiltrandosi nelle aule, in condizioni atmosferiche avverse (quali bassa pressione, pioggia, vento), può subire modifiche importanti delle sue proprietà. Tali modifiche possono aumentarne il potenziale di generare stress ossidativo, infiammazione, danno al DNA, e metabolismo degli xenobiotici. Tutti questi sono i meccanismi alla base dello sviluppo delle cosiddette malattie non trasmissibili, fra le quali le malattie cardiovascolari, neurologiche e il cancro”.

    In sintesi, aggiunge Costabile: “non basta chiudere le finestre per limitare gli effetti avversi sulla salute associati all’esposizione ad aria inquinata dell’ambiente urbano”. Non è il caso di cedere all’allarmismo ma è il momento di agire. Infatti, conclude la scienziata: “La ricerca ha rivelato che l’aria esterna, inquinata dalle emissioni da traffico veicolare urbano, infiltrandosi dall’esterno verso l’interno, può diventare la sorgente di tossicità potenzialmente più preoccupante negli ambienti indoor delle città europee. Di conseguenza, gli strumenti di mitigazione devono guardare essenzialmente alla riduzione delle emissioni da traffico veicolare urbano”.

    Le soluzioni per ridurre le polveri sottili
    Le misure da attuare per contrastare il fenomeno sono diverse e di differente ordine. La riduzione delle particelle ultrafini è la soluzione più efficace ed è possibile soltanto con il lavoro congiunto della politica e dell’industria. Il primo pensiero va alla promozione delle energie rinnovabili e alla sostituzione progressiva dei veicoli a combustione favorendo anche il ricorso al trasporto pubblico, oltre a politiche che leniscano le missioni industriali e sulle quali l’Ue sta già lavorando.

    Occorre anche agire sul piano urbanistico e, anche in questo caso, lavorando su più fronti: l’uso di materiali che contengano l’usura dei manti stradali complici nella produzione di particelle secondarie ma anche rinvigorendo la vegetazione urbana, capace di assorbire le polveri sottili e di migliorare la composizione dell’aria rilasciando ossigeno.

    Qualità dell’aria: il monitoraggio

    I sistemi di monitoraggio ambientale vanno di pari passo con le normative. Governi e autorità tendono a concentrarsi di più su PM10 e PM2.5, è quindi opportuno che si sviluppino standard di qualità dell’aria tenendo conto anche dei PM0.1.

    I singoli individui e le imprese possono optare per sistemi di filtraggio Hepa e Ulpa i quali, in alcune versioni specifiche, sono in grado di intercettare anche i PM0.1. Queste misure si rifanno a ciò che lo studio sottolinea e sollecita, ossia la necessità di norme e regolamenti per la qualità dell’aria che respiriamo anche all’interno degli edifici. LEGGI TUTTO