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    I vestiti di pelle vegana fatta con i funghi

    C’è necessità di materiali sempre più sostenibili. E la pelle derivata dal micelio dei funghi è una delle innovazioni più promettenti ed innovative, presentandosi come un’alternativa etica ed ecologica alla pelle di origine animale e alle pelli sintetiche derivate dal petrolio. Il micelio è la parte vegetativa del fungo, costituita da una rete intricata di filamenti sottili, chiamati ife. Questa struttura è essenzialmente il sistema radicale del fungo, che si estende nel terreno o in altri substrati organici per assorbire nutrienti. La sua composizione gli conferisce resistenza e flessibilità. Il micelio fa parte di quelli che oggi vengono chiamati “living materials”, una frontiera innovativa nel campo della scienza dei materiali, che mira a integrare organismi viventi o componenti biologici in materiali strutturali per conferire loro nuove funzionalità.

    I living materials sono composizioni che contengono, in tutto o in parte, cellule viventi, come batteri, funghi, alghe, cellule vegetali o componenti derivati da sistemi biologici che mantengono una qualche forma di attività o funzione biologica. L’idea centrale è sfruttare la capacità della natura di autorganizzarsi, rigenerarsi e interagire con l’ambiente circostante. Da qui l’idea di una startup coreana, MyThings, che abbiamo incontrato al Gitex Europe di Berlino, la fiera tech e delle startup che da Dubai, dove è nata la manifestazione, ha fatto il suo primo passo nel Vecchio Continente. Nell’area dedicata al green tech, abbiamo incontrato Lee Sang-ho, la Ceo di questa giovane azienda, che sta usando il micelio del fungo per realizzare pelle vegana da usare nel campo dell’abbigliamento e dell’automotive, al posto di materiali sintetici il cui processo produttivo è altamente inquinante. “La nostra pelle si ottiene dalle radici dei funghi, il micelio, un materiale che si distingue per la sua durabilità, con circa il 90% delle caratteristiche della pelle bovina. Per un periodo di dieci giorni coltiviamo le radici del fungo, dopodiché ne rimuoviamo la superficie. Successivamente, da questa base possiamo creare una lastra adatta per la pelle vegana. Il processo prevede diverse fasi di lavorazione per ottenere il prodotto finale, del tutto simile a un tappeto di pelle”, spiega Lee Sang-ho.

    In effetti il processo di produzione della pelle di micelio, ha inizio con la coltivazione in ambienti controllati, spesso su substrati organici come scarti agricoli o biomassa vegetale. La crescita è rapida, impiegando appena pochi giorni. Una volta che la rete di micelio ha raggiunto la densità e lo spessore desiderati, viene raccolta sotto forma di fogli che vengono trattati e compressi. Possono essere essiccati, pressati e a volte sottoposti a processi di concia (anche se con sostanze molto meno tossiche rispetto alla pelle animale) per migliorarne la durabilità, la consistenza e le proprietà superficiali. Infine la pelle può essere tagliata, colorata e rifinita. MyThings, inizialmente impegnata nell’agricoltura di precisione, è specializzata in tecnologia di piattaforma AioT, che combina l’intelligenza artificiale con l’Internet delle Cose per creare sistemi intelligenti e interconnessi. In questo contesto la startup coreana usa questa tecnologia per controllare con precisione le condizioni ambientali per la rapida crescita del micelio e la trasformazione in prodotti innovativi che potrebbero ridefinire il paradigma dell’abbigliamento.

    L’idea, infatti, è di poterla usare sia nella produzione di vestiti che per rivestire gli interni delle auto. “Abbiamo sviluppato specificamente alcune tipologie di funghi che si adattano perfettamente alla trasformazione in pelle. Il micelio è un materiale relativamente nuovo per la pelle vegana, e non siamo i primi ad utilizzarlo. Oggi esistono pelli vegane derivate dalla frutta, tuttavia, il nostro punto di forza è l’aver sviluppato tipologie di funghi specifiche e un processo proprietario per la produzione di pelle vegana, rendendolo un aspetto distintivo della nostra offerta” racconta la Ceo di MyThings. “Il nostro prodotto è estremamente ecologico, ed attualmente, operiamo su scala di laboratorio perché stiamo cercando investitori per espandere la nostra produzione su larga scala”. Inoltre la produzione tradizionale di pelle richiede sostanze chimiche tossiche usate nella concia, contribuendo in modo importante all’inquinamento ambientale. “Anche noi utilizziamo alcuni processi chimici per la trasformazione dal fungo alla pelle, ma siamo riusciti a ridurre le emissioni di carbonio di oltre il 60% rispetto alla produzione tradizionale di pelle animale”. LEGGI TUTTO

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    Così la crusca e altri scarti alimentari diventano imballaggio compostabile

    Ogni anno in Europa si contano almeno 17 milioni di tonnellate di scarti alimentari, residui che poi finiscono in inceneritori o discariche, con un impatto ambientale e economico non più sostenibile. Allo stesso tempo in Europa si consumano più di 37 milioni di tonnellate di cellulosa per produrre carta: quasi la metà arriva ancora da fibre vergini, e questo significa una cosa sola: deforestazione. Due problemi così distanti trovano soluzione in ReVita, startup milanese fondata nel 2022 da due giovani chimiche, Greta Colombo Dugoni e Monica Ferro, che trasforma gli scarti agroalimentari in fibre con cui produrre carta e imballaggi compostabili. “Food waste is the new packaging” è il loro payoff che racchiude una visione che è tutt’altro che uno slogan. LEGGI TUTTO

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    Avacam, la startup italiana che monitora alluvioni e frane

    L’Italia è uno dei paesi d’Europa con il più alto numero di frane. Se ne contano oltre 620mila fino al 2023, anno in cui l’Ispra ha realizzato un dossier sul dissesto idrogeologico, cercando di mappare i fenomeni franosi sulla penisola. Si stima che gli eventi abbiano interessato un’are enorme: circa 24mila km quadrati, pari a quasi l’8% dell’intero territorio. Ogni anno sono qualche centinaia le frane che si verificano in diverse regioni del paese, nessuna esclusa. E provocano vittime, distruzione di case, quindi di vita, nei casi più gravi. Le frane rappresentano una delle manifestazioni più devastanti del dissesto idrogeologico che affligge l’Italia. Il nostro paese per la sua composizione geologica è intrinsecamente vulnerabile a questi fenomeni, ma sono i cambiamenti climatici e l’azione antropica a complicare la situazione.

    Se la geologia fornisce il “terreno fertile” per le frane, il clima è spesso la scintilla che le innesca. Le piogge intense e prolungate sono la causa più comune. L’acqua si infiltra nel terreno, saturandolo, aumentando il suo peso e, soprattutto, riducendone la coesione. È come se il suolo perdesse la sua “colla” naturale, trasformandosi in una massa fangosa pronta a scivolare.

    Negli ultimi decenni, i cambiamenti climatici stanno esacerbando il problema. Assistiamo a un’intensificazione degli eventi meteorologici estremi: periodi di siccità prolungata seguiti da piogge torrenziali e concentrate. Questo ciclo indebolisce ulteriormente il terreno, rendendolo ancora più vulnerabile. Infine, l’Italia è una zona sismica. I terremoti, con le loro scosse vibratorie, possono destabilizzare masse di terreno già precarie, innescando frane immediate o preparando il terreno per movimenti futuri in caso di successive piogge.

    La deforestazione ad opera dell’uomo o a causa di incendi è uno dei fattori più impattanti, perché priva il terreno della preziosa azione stabilizzatrice delle radici degli alberi. L’urbanizzazione selvaggia e il consumo di suolo contribuiscono pesantemente al problema. Di fronte a un’Italia che sta scivolando, insieme e prima delle azioni da intraprendere a scopo preventivo, serve un monitoraggio continuo e costante nel tempo, nel tentativo di prevenire quello che potrebbe accadere. LEGGI TUTTO

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    All’Elba una nuova “foresta blu” per rigenerare la posidonia oceanica

    Elba. Versante Nord. Porto Cavo, a strapiombo sull’Isolotto dei Topi. A cinque metri di profondità, sorge una nuova prateria di posidonia oceanica che si estende per 100 metri quadrati, dove, solo sei anni fa, c’era un’area che gli esperti definiscono di “matte morta”. Nel fondale, come spiega Stefano Acunto, biologo marino e direttore della International School for Scientific Divings (Issd), erano ancora presenti rizomi della pianta, mentre intorno sorgeva un’altra prateria, ma le mareggiate e l’attività antropica, soprattutto gli ancoraggi, avevano distrutto la vegetazione.

    “Sapevamo con certezza che qui la pianta, un tempo, cresceva”, spiega l’esperto. Il fondale di Cavo è stato così scelto come luogo ideale per tentare di riforestare una delle piante “chiave” dell’ecosistema Mediterraneo. La posidonia è una specie endemica e la sua perdita, a catena, rischia di distruggere tutta la biodiversità associata. “Qui ci sono sperimentazioni per la riforestazione delle praterie già dal 2006. Nel 2019 abbiamo però voluto provare un nuovo metodo di ingegneria naturalistica utilizzato anche con le vegetazioni sulla terraferma, che abbiamo tentato di trasferire sott’acqua”, continua Acunto.

    La tecnica di riforestazione
    Cuore della tecnica, sono le talee. Le posidonie non vengono prelevate da altri siti ma raccolte quando giacciono sul fondale, perché strappate dalle praterie naturali. “Diamo loro un’altra possibilità di sopravvivenza”, racconta il biologo. Queste vengono recuperate per farne, appunto, dei frammenti da reimpiantare. Intanto, sul fondale, i biologi lavorano in immersione per installare delle biostuoie, realizzate con reti di fibra in cocco, sulle quali innestare le talee. Interventi di questo tipo sono state effettuate nell’aria una prima volta nel 2019. Poi nel 2023. “Siamo molti soddisfatti del risultato ottenuto. Con le nostre attività di monitoraggio abbiamo potuto constatare che la percentuale di sopravvivenza si attesta intorno al 70 per cento dopo un anno. È un risultato davvero importante per questo genere di piante, che sono delicate e hanno una crescita molto lenta”, annuncia Acunto.

    Foresta Blu
    Nel 2025, le nuove posidonie reimpiantate sono state 2000, grazie al progetto Foresta Blu, la campagna di Coop per il monitoraggio, il ripristino e la protezione di tratti di praterie di posidonia oceanica nei mari italiani, attiva da due anni. “Oggi viviamo tempi complessi in cui a volte quando si parla di sostenibilità, si ha la sensazione che tutto sia stato già fatto e già detto. È in questi momenti che la natura di un’impresa fa la differenza. Noi anche oggi parliamo di tutela dei mari e dei loro ecosistemi, in tempi in cui l’attenzione sembra guardare altrove”, osserva la presidente di Coop Italia Maura Latini, in occasione della conferenza stampa di presentazione dei risultati che si è tenuta all’Elba, alla presenza di istituzioni locali. LEGGI TUTTO

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    Ue: più vicina al -55% di emissioni di gas serra

    Green Deal e competitività non devono essere in opposizione. Motivo? “Il costo dell’inazione sta aumentando, impone maggiori costi all’economia e crea danni sociali. Bisogna raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e i target per il clima, garantendo competitività alle imprese”. Così la vicepresidente esecutiva della Commissione europea per la Transizione pulita, giusta e competitiva, Teresa Ribera, convinta che “una transizione economica giusta può creare fino a 3,5 milioni di posti di lavoro”. L’occasione è stata la presentazione dei Piani energetici e climatici dei Paesi membri che delineano le strategie per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Si tratta dei piani definitivi degli Stati rispetto alle bozze iniziali che fotografano un’Unione sempre più vicina al -55% di emissioni nette di gas rispetto ai livelli del 1990 come previsto dalla Legge europea sul clima. Restano tuttavia differenze tra settori e Paesi.

    Un’immagine dell’alluvione che ha colpito Valencia nel 2024  LEGGI TUTTO

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    Allarme Onu, la temperatura globale supererà la soglia critica di 1,5°C nei prossimi 5 anni

    “C’è una probabilità del 70% che il periodo 2025-2029 sarà più caldo di oltre 1,5 °C rispetto al periodo preindustriale”. L’allarme arriva in un rapporto appena pubblicato una fonte autorevolissima: l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) che ha sede a Ginevra, sotto le insegne dell’Onu, e che è guidata dalla scienziata argentina Celeste Saulo. Insomma ci siamo: […] LEGGI TUTTO

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    Bonus climatizzatori, come funziona l’agevolazione per impianti fissi o portatili

    Estate ormai alle porte, anche per quest’anno sarà possibile beneficiare del bonus climatizzatori per installare gli impianti fissi. Un’occasione utile non solo per affrontare il caldo, ma anche per migliorare l’efficienza energetica della casa approfittando dei vantaggi offerti dalle pompe di calore, utilizzabili anche in funzione di riscaldamento.

    Regole confermate per il bonus anche se occorre tener conto che l’aliquota di detrazione cambia in base all’immobile, e che prima e seconda casa non sono più trattate allo stesso modo dal punto di vista della detrazione fiscale.

    Per chi nel 2024 ha effettuato interventi che godono della detrazione per ristrutturazione ma non può installare impianti fissi c’è comunque la possibilità di acquistare i climatizzatori portatili approfittando del bonus mobili, senza differenze di aliquote tra prima e seconda casa.

    Climatizzatori e nuove aliquote
    Il bonus climatizzatori per gli impianti a pompa di calore rientra nell’abito degli interventi di ristrutturazione che comprendono anche quelli di risparmio energetico, anche se realizzati senza interventi edilizi veri e propri. La pompa di calore, infatti, rientra tra gli impianti alimentati a fonti rinnovabili in quanto è in grado di produrre energia utilizzando anche il calore esterno, e limitando quindi il ricorso alla rete elettrica. Al di là della funzione di rinfrescamento, inoltre, il climatizzatore è un valido aiuto per ridurre la dipendenza dal gas in inverno, dal momento che può essere utilizzato a supporto o in sostituzione dell’impianto a gas quando il clima lo consente. Utilizzando il climatizzatore per posticipare l’accensione del riscaldamento in caso di impianto autonomo, ad esempio, si può arrivare ad un taglio del consumo del gas anche del 30%. Anche in caso di impianto centralizzato si possono ottenere risparmi sul consumo del gas impostando sul minimo le termovalvole e sfruttando invece i climatizzatori. Bonus confermato, dunque, ma con due aliquote: 50% di detrazione se l’installazione riguarda la prima casa; 36% se gli impianti sono destinati ad una seconda casa.

    Detrazione solo con messa a norma
    Il bonus si applica alle spese sostenute fino al 31 dicembre 2025, da ripartire in dieci rate annuali. Non è richiesta la comunicazione all’ENEA, e l’intervento rientra nell’ambito dell’edilizia libera. Per ottenere la detrazione per gli impianti fissi il pagamento va effettuato con bonifico parlante o carta di credito, indicando tutti i dati previsti (causale, codice fiscale del beneficiario e partita IVA del fornitore). Si deve trattare inoltre di un intervento effettuato da un tecnico specializzato. La fattura da portare in detrazione deve quindi comprendere obbligatoriamente anche la manodopera dato che per questi impianti è obbligatoria la messa a norma con relativa certificazione.

    Quando si può usare il Bonus mobili
    Chi non ha la possibilità di installare un impianto fisso può comunque usufruire della detrazione fiscale a anche per i climatizzatori portatili, a patto di aver effettuato nel 2024 interventi di ristrutturazione o di averli avviati nel 2025. Anche i climatizzatori, infatti, rientrano nella lista dei “grandi elettrodomestici” per i quali è possibile avere l’agevolazione fiscale nell’ambito del Bonus mobili, a patto di avere una classe energetica elevata. In questo caso si prevede una detrazione del 50% su una spesa massima di 5.000 euro. L’aliquota è unica e prescinde dal fatto che si tratti di prima o seconda casa. Per l’acquisto è obbligatorio il pagamento con bancomat o carte di credito, o con bonifico, ma non è obbligatorio utilizzare il bonifico parlante. LEGGI TUTTO

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    Un rapace ha imparato a leggere i segnali stradali per assicurarsi la cena

    Rispettare il semaforo non è solo una questione di sicurezza stradale, ma perfino un sistema per assicurarsi la cena. Accade nel mondo animale dove, costantemente messi a rischio dalle azioni umane, i predatori si fanno furbi e imparano perfino a “leggere” la segnaletica stradale. Sappiamo bene quanto alcune specie – e in particolare gli uccelli – si siano abituate alle routine degli umani, tanto da sfruttarle in determinate circostanze a loro favore. Il caso più limpido è forse quello dei corvi che, capendo il ruolo delle auto e cosa è in grado di fare una ruota quando passa su un qualunque oggetto, hanno sviluppato la capacità di far cadere noci proprio in prossimità delle strade più trafficate, sperando così che qualche veicolo schiacci i gusci e li apra, trasformandoli in un lauto pranzo. Oppure i vari uccelli necrofagi che, consci del fatto che spesso le auto investono animali selvatici, aspettano soltanto di poter andare a recuperare la carcassa della prossima preda. E che dire degli uccelli canterini che, sfruttando gli insetti morti sui parabrezza delle auto (anche se sono sempre meno per via della crisi della biodiversità), vanno a mangiare direttamente dai vetri delle vetture parcheggiate? E poi ci sono i rapaci. I grandi predatori del mondo dei volatili hanno dimostrato, raccontano diversi studi, incredibili capacità di adattamento alle nostre azioni: per esempio in alcune città ucraine è stato osservato come sfruttino i veicoli in movimento per nascondersi e avvicinarsi furtivamente alle prede.

    Ora però, anche se può sembrare strano, sono andati persino oltre: secondo un professore dell’Università del Tennessee sarebbero addirittura in grado di sfruttare i semafori. Sulla rivista Frontiers in Ethology, in uno studio in fase di revisione, lo zoologo Vladimir Dinets ha infatti di recente descritto qualcosa di davvero inusuale. Quando accompagnava la figlia a scuola, ogni giorno, il ricercatore passava per un incrocio vicino casa: nel tempo ha notato che, soprattutto nelle ore di punta, nonostante durante le fasi di verde a favore degli automobilisti non ci fosse poi così tanto traffico, quando un pedone schiacciava il pulsante per l’attraversamento pedonale con tanto di segnale acustico allo scattare del rosso la coda delle auto si allungava immediatamente “fino ad arrivare a un piccolo albero sul ciglio della strada” spiega Dinets. A notare questa dinamica, a quanto pare, non era però solo il professore, ma anche un rapace – uno sparviere di Cooper, animale simile alla poiana comune – appostato sull’albero. Lo stesso Dinets infatti alcune mattine ha iniziato ad accorgersi che lo sparviere, appena il semaforo diventa verde accompagnato dal classico segnale acustico, iniziava a spuntare fuori e a volare basso lungo il marciapiede costeggiato dalle auto: a quel punto “dopo aver fatto una curva attraversava la strada e si lanciava su qualcosa vicino alle prime case”.

    Dopo aver osservato più volte questa scena lo zoologo ha iniziato a studiare il comportamento dell’uccello: ogni volta in corrispondenza del verde e del suono l’animale approfittando della pausa dal traffico e della coda capace di coprirne i movimenti, raggiungeva il giardino di una casa dove gli abitanti facevano colazione all’esterno e dove si accumulavano spesso briciole che favorivano la presenza di piccoli passeri e colombe, la potenziale cena del rapace.

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    Il falco pescatore ripopola le zone umide della Maremma

    di Fiammetta Cupellaro

    05 Aprile 2025

    “Il rapace attaccava sempre quando la coda di auto era abbastanza lunga da fornire copertura, non facendosi vedere e questo accadeva solo dopo che qualcuno aveva premuto il pulsante del passaggio pedonale. Non appena il segnale acustico veniva attivato, il rapace volava da qualche parte, aspettava che le auto si allineassero e poi colpiva” spiega il professore. Lo stesso zoologo sostiene che, di fatto, lo sparviere di Cooper aveva capito la segnaletica, comprendendo la connessione tra il suono (del verde per i pedoni) e la lunghezza delle code di auto.

    Il fatto più impressionante è che l’esemplare citato nello studio, essendo un uccello migratore, molto probabilmente “era arrivato in città solo poche settimane prima dei miei osservamenti e aveva già capito come usare i segnali stradali e gli schemi” scrive il ricercatore. Una volta comprovato questo comportamento Dinets ha ampliato la sua analisi ad altri contesti dove, spesso d’inverno, ha potuto vedere un altro uccello cacciare nello stesso modo, anche se non esclude che si possa trattare dello stesso esemplare.

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    Alberi più piccoli ed elefanti senza zanne: così la natura si adatta all’uomo

    di Giacomo Talignani

    07 Gennaio 2025

    Il comportamento descritto, nuovo per questa specie, secondo Dinets rimarca come – nonostante le estreme difficoltà degli uccelli a vivere in ambienti cittadini dato che devono evitare grattacieli, finestre, auto, cavi elettrici e tanti altri pericoli – grazie una straordinaria intelligenza alcune specie possano persino riuscire non solo a sopravvivere al traffico delle città ma anche a trarne un personale beneficio. LEGGI TUTTO