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    In Cina scoperta una nuova specie di rana “kung fu”

    Una nuova specie di rana è stata scoperta nella città di Foshan, nella provincia del Guangdong, nella Cina meridionale. Le è stato dato il nome di Leptobrachella kungfu, ispirato all’arte marziale cinese, in onore dell’eredità culturale di Foshan, rinomata “Città del Kung Fu”. Questa scoperta, realizzata congiuntamente dai ricercatori del Politecnico di Ingegneria per la […] More

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    Haworthia: coltivazione, cura, fioritura e varietà più diffuse della pianta grassa da interno

    La Haworthia è una pianta grassa da interno sempre più popolare tra gli appassionati di piante succulente. Apprezzata per la facilità di coltivazione e la sua adattabilità agli ambienti domestici, è una delle scelte più indicate per chi desidera portare un tocco di verde in casa senza impegni eccessivi.
    Originaria del Sudafrica, la Haworthia si caratterizza per le foglie carnose disposte a rosetta, spesso attraversate da venature o striature bianche che ne accentuano l’aspetto ornamentale.

    Caratteristiche della Haworthia
    Appartenente alla famiglia delle Asphodelaceae, la Haworthia comprende oltre 150 specie. Le foglie sono compatte, succulente e di colore verde intenso o grigiastro. Alcune varietà mostrano trasparenze sulle punte, un adattamento evolutivo che permette alla luce di filtrare verso l’interno della pianta anche in ambienti ombreggiati.
    A differenza di molte altre succulente, la Haworthia cresce bene anche con luce indiretta, il che la rende ideale per appartamenti e uffici.

    Coltivazione della Haworthia
    La coltivazione della Haworthia è semplice, ma richiede alcune regole base. Partendo dal substrato, bisogna tenere conto di un aspetto fondamentale: deve essere ben drenante. Infatti, la miscela ideale è composta da terriccio per cactacee, sabbia e perlite o pomice, mentre il vaso deve avere un ottimo foro di drenaggio, perché il ristagno d’acqua è la principale causa di marciume radicale (nemico di quasi tutte le piante).

    Le annaffiature devono essere moderate: in primavera ed estate si irriga ogni 10–15 giorni, solo quando il terreno è completamente asciutto. In inverno si può sospendere quasi del tutto.

    Haworthia: esposizione e temperatura
    La Haworthia preferisce un ambiente luminoso ma non esposto al sole diretto, che può provocare macchie sulle foglie. Le posizioni migliori sono vicino a finestre rivolte a est o ovest.

    È una pianta che tollera bene le temperature domestiche (tra i 18 e i 25°C) e resiste a brevi periodi di freddo, purché non si scenda sotto i 10°C. In estate può vivere anche all’aperto, purché riparata dai raggi diretti nelle ore più calde.

    Come prendersi cura della Haworthia e come mantenerla
    La cura della Haworthia è minima ma costante. Non è difficile da gestire, ma è chiaro che ha bisogno di piccole attenzioni da ricordare. Ad esempio, è particolarmente consigliato rimuovere periodicamente la polvere dalle foglie, rinvasare ogni due anni (in primavera) e somministrare un concime liquido per succulente ogni 30 giorni durante la stagione di crescita.

    Una Haworthia curata mantiene foglie turgide e colorazione uniforme; se la pianta dovesse tenere a sbiadire o se le foglie dovessero afflosciarsi, potrebbe essere sintomo di una irrigazione troppo abbondante o di una poca esposizione alla luce.

    Fioritura della Haworthia
    La fioritura di questa meravigliosa succulenta avviene in genere tra la primavera e l’estate. La Haworthia produce sottili steli floreali con piccoli fiori bianchi o verdastri dall’aspetto semplice ma grazioso, che talvolta possono anche raggiungere i 30cm di altezza. Non si tratta di una fioritura appariscente, ma rappresenta un indicatore di buona salute e di condizioni di coltivazione ottimali.

    Le varietà di Haworthia più diffuse
    Tra le varietà più conosciute di Haworthia e quelle maggiormente reperibili nei vivai e garden center troviamo:

    Haworthia fasciata: è la specie più popolare, che presenta foglie rigide e striature bianche trasversali;
    Haworthia attenuata: molto simile ma con foglie più sottili e una crescita più compatta;
    Haworthia cooperi: presenta foglie traslucide e tondeggianti;
    Haworthia cymbiformis: dalle foglie a forma di barchetta e un verde brillante.

    Tutte facili da gestire, perfette anche per chi è alle prime armi con il giardinaggio indoor. Le giuste attenzioni, il giusto tempo, la giusta cura e il giusto amore: sono queste le regole da seguire.

    Perché scegliere una Haworthia per la casa
    Scegliere una pianta di Haworthia significa scegliere sia l’aspetto ornamentale, sia l’aspetto sostenibile. È una pianta che si adatta bene a ogni tipo di ambiente, non richiede cure complesse, occupa poco spazio e contribuisce anche a migliorare la qualità dell’aria negli ambienti chiusi. Non solo, perché grazie alla sua estetica decorativa, è oggi considerata una delle piante da interno più consigliate per chi ha voglia di introdurre un angolo verde sempre curato senza troppa fatica. È la scelta giusta: più Haworthia per tutti. Anche in ufficio. More

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    Miniere sottomarine: una minaccia per la catena alimentare negli oceani

    I rifiuti scaricati dalle attività minerarie in acqua profonde rappresentano una grave minaccia per il già delicato equilibrio degli ecosistemi marini. A lanciare l’allarme è oggi un nuovo studio coordinato dall’Università delle Hawaii a Manoa, secondo cui appunto l’estrazione dei minerali nelle profondità nell’oceano Pacifico potrebbe compromettere la vita marina nella cosiddetta zona crepuscolare, o mesopelagica, un’area compresa tra i 200 e i 1.500 metri sotto il livello del mare che ospita una sorprendente varietà di forme di vita, dai minuscoli krill ai pesci, calamari, polpi e meduse. Lo studio è stato pubblicato su Nature Communcations.

    I rischio dell’attività mineraria
    Per valutare gli effetti dei rifiuti minerari sugli ecosistemi marini, i ricercatori si sono focalizzati sulla Clarion-Clipperton Zone (Ccz), un’enorme area dell’oceano Pacifico diventata nota ultimamente per la presenza sul fondale di grandi giacimenti minerari, e in particolare di noduli (concrezioni) polimetallici, ossia ricchi di minerali critici, come rame e cobalto. Un’area, quindi, che potrebbe essere destinata all’estrazione mineraria in acque profonde, processo che consiste appunto nel prelevare i noduli polimetallici, producendo al contempo sedimenti di scarto, contenenti acqua e le particelle dei noduli polverizzate, che una volta rigettati in mare danno vita a pennacchi torbidi che possono avere impatti significativi sulla vita marina.

    Crisi climatica

    Clima, appello di Guterres a Cop30: “Obiettivi più ambiziosi o conseguenze devastanti”

    di Giacomo Talignani

    28 Ottobre 2025

    I sedimenti diluiscono le particelle cibo
    Analizzando campioni d’acqua raccolti nella zona mesopelagica in cui sono stati scaricati i rifiuti minerari nel 2022, durante una sperimentazione mineraria nella Ccz, i ricercatori hanno scoperto che le particelle di scarto hanno le stesse dimensioni delle particelle di cibo che normalmente vengono ingerite dallo zooplancton che nuota a quelle profondità. L’esposizione ai rifiuti, quindi, porterebbe a una denutrizione di questi piccoli organismi che costituiscono i principali elementi nutritivi dell’oceano, con il potenziale di sconvolgere l’intera catena alimentare.

    “La nostra ricerca suggerisce che i pennacchi minerari non solo creano acqua torbida, ma alterano anche la qualità del cibo disponibile, soprattutto per gli animali che non riescono a nuotare via facilmente”, ha spiegato il co-autore Jeffrey Drazen. “È come riversare calorie vuote in un sistema che ha funzionato con una dieta ben calibrata per centinaia di anni”.

    Biodiversità

    Oceani sempre meno verdi, negli ultimi 20 anni è diminuito il fitoplancton

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    17 Ottobre 2025

    Dagli oceani alla nostra tavola
    I risultati del nuovo studio sollevano preoccupazioni sugli effetti a lungo termine che potrebbero verificarsi se l’attività di estrazione mineraria proseguisse su larga scala in assenza di adeguate misure di salvaguardia ambientale. Senza considerare che la pesca del tonno del Pacifico opera proprio sulla Ccz, e potrebbe quindi avere un impatto negativo sui pesci che finiscono sulle nostre tavole. “L’estrazione mineraria in acque profonde non è ancora iniziata su scala commerciale, quindi questa è la nostra occasione per prendere decisioni consapevoli”, ha commentato Brian Popp, tra gli autori dello studio.

    Biodiversità

    Una spugna carnivora tra le nuove 30 specie trovate negli abissi dell’Oceano Antartico

    di Pasquale Raicaldo

    04 Novembre 2025

    La speranza, quindi, è che lo studio possa contribuire a orientare le decisioni normative attualmente in fase di elaborazione da parte dell’International Seabed Authority e della statunitense National Oceanic and Atmospheric Administration. “Prima di avviare l’attività mineraria commerciale in acque profonde è essenziale valutare attentamente la profondità a cui vengono scaricati i rifiuti minerari”, ha concluso Drazen. “Il destino di queste colonne di rifiuti minerari e il loro impatto sugli ecosistemi oceanici varia a seconda della profondità, e uno scarico improprio potrebbe causare danni alle comunità, dalla superficie al fondale marino”. More

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    Il clima che cambia e viaggi in aereo: turbolenze più frequenti e voli cancellati

    Uragani diventati più violenti e persistenti; ondate di calore e piogge intense che possono danneggiare piste e hangar; incendi. La crisi climatica non è solo ambientale, ma anche una sfida per la sicurezza degli aeroporti e per l’efficienza dell’aviazione mondiale. A preoccupare sono soprattutto gli eventi meteorologici estremi dovuti al riscaldamento globale che provocano infatti turbolenze maggiori e, di conseguenza, costi sempre più elevati a causa delle manovre fatte per evitarle; delle interruzioni dei servizi e della manutenzione richiesta. A rivelarlo uno studio svolto dal gruppo di ricerca internazionale guidato dal Laboratorio di Meteorologia Dinamica dell’Istituto francese Pierre Simon Laplace (Lmd-Ipsl), al quale ha partecipato anche l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma. I dati, pubblicati sulla rivista Weather and Climate Dynamics, sottolineano quanto sia ormai necessario che il traffico aereo globale si adatti al clima in trasformazione.

    Voli cancellati
    I ricercatori guidati dall’italiana Lia Rapella dell’Istituto francese hanno analizzato alcuni grandi eventi meteorologici che negli ultimi anni hanno avuto un forte impatto sui voli e sulle infrastrutture aeroportuali.

    Ma la ricerca ha analizzato altri grandi eventi meteoreologici che, negli ultimi anni, hanno avuto un forte impatto sui voli e sulle infrastrutture aeroportuali. Tra questi la tempesta Poly, nel luglio 2023, la prima nel suo genere a raggiungere l’Europa interessando Belgio, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito; il complesso di tempeste nordamericane del febbraio 2023 che, con grandine, neve e forti venti, attraversò gran parte degli Stati Uniti; il tifone Hinnamnor, nell’agosto 2022, che colpì Giappone, Corea del Sud e altre aree dell’Asia orientale. Facendo un confronto le analisi hanno mostrato una netta intensificazione delle tempeste con il passare degli anni, caratterizzate da venti sempre più forti e turbolenze sempre più estese. Ciò aumenta i rischi soprattutto nelle fasi di decollo e atterraggio.

    Un problema globale
    “Le nostre analisi mostrano che le tempeste che interessano oggi i principali aeroporti del mondo sono più intense e caratterizzate da maggiore velocità del vento e turbolenza rispetto al passato” ha spiegato Tommaso Alberti, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio.

    “L’aumento di intensità di queste tempeste è strettamente legato al riscaldamento globale: atmosfera e oceani più caldi forniscono maggiore energia e umidità, alimentando la crescita e l’intensificazione di questi sistemi di tempesta, ma anche modificando i loro percorsi tipici” ha continuato il ricercatore. “Tutto ciò non comporta solo minore comfort per i passeggeri, ma anche costi operativi più elevati: volare in aree turbolente o evitarle richiede, infatti, più carburante e comporta maggiori spese di manutenzione. Inoltre – aggiunge Alberti – la chiusura temporanea di un aeroporto a causa di una tempesta, anche solo per poche ore, può avere ripercussioni sociali ed economiche considerevoli”. More

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    Il bonus fiscale per il fotovoltaico anche per i pannelli da balcone

    Bonus fiscale per il fotovoltaico senza limiti per la dimensione dell’impianto. L’agevolazione è ammessa infatti anche per i pannelli da balcone che oggi stanno diventando sempre più conveniente grazie ai prezzi in calo e alla possibilità di avere la batteria di accumulo direttamente integrata. Con la detrazione del del 50% e il taglio della bolletta l’investimento si recupera in poco più di due anni. Il risparmio in bolletta e la detrazione consentono di rientrare dall’investimento in soli due anni.

    Prezzi in calo e accumulo integrato
    I pannelli da balcone sono sul mercato da un po’ ma la vera novità di questi ultimi mesi è la batteria di accumulo che ormai molti produttori ora integrano nei kit, un vantaggio che si accompagna ai prezzi in calo. Un kit completo da 800W, quello con due pannelli e il microinverter incluso, oggi si trova tra 600 e 900 euro. Qualche mese fa gli stessi sistemi costavano il 30% in più. A spingere verso il basso i listini è stata la crescita della concorrenza e la standardizzazione dei componenti. Le batterie di accumulo con una capacità tra 1,5 e 2 kWh, immagazzinano l’energia prodotta di giorno per renderla disponibile successivamente. Per ottenere il massimo, in sostanza, non è più necessario coordinare il consumo con il momento di massima produzione del pannello, si possono tranquillamente utilizzare gli elettrodomestici anche la sera. La differenza è sostanziale: senza accumulo una famiglia può arrivare ad autoconsumare non più del 75% dell’energia prodotta; con l’accumulo si supera il 90%. I pannelli hanno una durata garantita di 25 anni con una perdita di efficienza inferiore all’1% annuo. Le batterie al litio mantengono l’80% della capacità dopo 3.000 cicli di carica, equivalenti a circa 10 anni di utilizzo quotidiano. Anche sostituendo la batteria dopo un decennio, il vantaggio è evidente.

    Le regole per avere il bonus
    L’agevolazione del 50% rientra tra quelle previste per le ristrutturazioni edilizie. Nell’ambito delle norme l’installazione degli impianti che si basano su fonti di energia rinnovabile sono una categoria a sé. Troviamo quindi anche la possibilità di avere il bonus fotovoltaico che copre tutte le installazioni di pannelli di questo tipo, e delle evitabili batterie di accumulo. Nessuna differenza rispetto agli impianti più grandi. La detrazione, infatti, ha un limite per quel che riguarda la potenza massima, che non può superare i 20 Kw di potenza, ma non ci sono limiti per quanto riguarda le installazioni che garantiscono comunque la produzione di energia ad uso degli impianti domestici. L’unica condizione per l’agevolazione è la certificazione della messa a norma e l’invio della Comunicazione unica, pratica della quale si fa carico l’installatore. Ovviamente anche in questo caso ai fini della detrazione è obbligatorio il pagamento con il bonifico dedicato alle detrazioni fiscali.

    I numeri reali del risparmio
    Un kit da 800W installato con esposizione a Sud produce mediamente 1.100 kWh all’anno. In inverno la produzione scende a 1,4 kWh al giorno, in estate sale a 3 kWh. Con l’accumulo, una famiglia di quattro persone riesce ad autoconsumarne 990 kWh invece dei 825 senza batteria. Con un costo dell’energia di 0,27 euro al kWh (valore medio tutto compreso), i conti sono questi:
    · Produzione annua: 1.100 kWh
    · Autoconsumo con accumulo (90%): 990 kWh
    · Risparmio annuo in bolletta: 267 euro

    A questo si aggiunge la quota annuale della detrazione fiscale: 70 euro all’anno per dieci anni (il 50% di 1.400 euro diviso dieci). Si arriva così ad un risparmio complessivo annuo di 337 euro. Senza accumulo il risparmio annuo scende a 268 euro e il rientro si allunga di qualche mese, ma resta sotto i tre anni. More

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    Alle Galápagos c’è un problema: le rane hanno invaso l’arcipelago

    Qui, un tempo, non c’erano anfibi. Ora le isole Galápagos devono invece fare i conti con la silenziosa invasione delle rane. Centinaia di migliaia, abbastanza – sostengono i ricercatori – per interrogarsi sui loro effetti sugli equilibri, già fragili, dell’ecosistema dell’arcipelago. L’indiziata è una raganella di colore marrone, ventre color crema, con un segno scuro triangolare sul capo: Scinax quinquefasciatus il nome scientifico. Sulle isole sarebbe arrivata alla fine degli anni ’90, viaggiando come “clandestina” sulle navi cargo dall’Ecuador continentale: una dinamica classica, per le specie aliene. Ed è bastato poco perché si insediasse sulle isole Isabela e Santa Cruz. O meglio: proliferasse. Già, perché le popolazioni stanno crescendo talmente rapidamente che gli scienziati faticano a tenerne traccia: si parla di popolazioni nell’ordine delle centinaia di migliaia su ogni isola, nelle aree urbane e agricole, ma anche nel Parco nazionale protetto delle Galápagos.

    Crisi climatica

    Pesci alieni nel Mediterraneo, Coldiretti: sono quasi un centinaio

    di Fiammetta Cupellaro

    13 Marzo 2025

    Il loro gracidio rappresenta così un sottofondo musicale potente. “Al punto che durante la stagione delle piogge, i loro richiami arrivano dappertutto”, racconta al Guardian Jadira Larrea Saltos, coltivatrice di caffè a Santa Cruz. Confessando che prima, qui, delle rane non c’era traccia. “Esatto, all’inizio è stata una sorpresa vederle, ora siamo circondati”.Il rumore, naturalmente, non è il problema principale: si studia, in particolare, il loro impatto sugli ecosistemi terrestri e acquatici dell’arcipelago. Qui, del resto, non ci sono predatori naturali. E la dinamica non è certo nuova, qui come altrove: sulle Galápagos sono stimate infatti 1.645 specie invasive, molte delle quali stanno seriamente compromettendo la sopravvivenza stessa delle specie endemiche. Due casi emblematici: le invasive mosche vampiro aviarie (Philornis downsi) stanno minacciando sempre più i nidi di uccelli, mentre gli arbusti di more, particolarmente resistenti, hanno già invaso le foreste di Scalesia, endemismo iconico dell’arcipelago.

    E dunque le raganelle vanno tenute d’occhio, e le loro popolazioni opportunamente controllate, con strategie più efficaci di quelle – fatalmente naufragate – adottate nei primi anni 2000: del resto uno studio del 2020 documenta la loro voracità nel nutrirsi di insetti, comprese specie endemiche considerate rare, e dunque da proteggere, e ipotizza una minaccia crescente, in termini di concorrenza, anche per gli stessi uccelli. Di più: nutrendosi anche di farfalle, temono i ricercatori, le rane invasive potrebbero persino influenzare l’impollinazione sulle isole. Invasive e, a quanto pare, resilienti: sono in grado di vivere in acqua salmastra, caratteristica insolita per gli anfibi, e hanno un processo di metamorfosi particolarmente variabile, con alcuni girini che si trasformano in rane molto rapidamente e altri che, viceversa, impiegano molto tempo.

    La storia

    Francesco Broccolo: “Quando le piante sono stronze”

    di Fabio Marzano

    29 Agosto 2025

    E allora, cosa fare per interrompere l’avanzata di Scinax quinquefasciatus nell’arcipelago? Nel corso degli anni, le guardie forestali hanno provato a catturarne, a mano, grandi quantità ma anche ad aumentare gradualmente la salinità delle lagune. Modesti i risultati. Potrebbe essere d’aiuto, spiegano i ricercatori, spruzzare caffè – sostanza altamente tossica per le rane – La ricerca suggerisce che spruzzare caffè – altamente tossico per le rane – o ricorrere alle scosse elettriche: metodi, questi, considerati poco prudenti per altre specie delle Galápagos. Occorrono finanziamenti (ed è più semplice sostenere la conservazione di una specie, piuttosto che la sua eradicazione, annotazione i ricercatori), ma anche nuovi studi. Prima che sia troppo tardi, naturalmente. More

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    Shefflera, come coltivare la “pianta dell’ombrello”

    Pianta sempreverde appartenente alla famiglia delle Araliacee, la schefflera è originaria delle aree tropicali del Sud Africa e delle isole del Pacifico. Il suo aspetto è elegante, la sua coltivazione semplice, il che la rende una pianta perfetta per spazi interni, come appartamenti e uffici. Non importa essere pollici verdi di eccellenza: la Schefflera non richiederà troppe attenzioni. Andiamo alla scoperta della “pianta ombrello”.

    Schefflera: la pianta d’appartamento più elegante
    Ne esistono oltre 900 specie, sempreverdi e perenni, dal portamento soprattutto arbustivo. Pochi i casi di specie arboree o rampicanti. La schefflera è una pianta dall’estetica semplice, ma bellissima. Le sue foglie, di solito di un numero che va dalle 5 alle 9, sono portate da un picciolo da cui si dispongono a raggiera. Sono di forma ovato-oblunga e il loro aspetto è coriaceo. Il colore? Di solito verde brillante, ma alcune varietà potrebbero presentare macchie bianche o gialle mixate al fondo verde.

    Le varietà di schefflera più diffuse
    Resistente, elegante e dalla crescita rigogliosa, la schefflera si presenta in diverse varietà. Tra quelle più coltivate in Italia spiccano due specie: la schefflera actinophylla, maestosa e scenografica, e la schefflera arboricola, più compatta e adatta agli interni.

    Schefflera actinophylla: la pianta dell’ombrello
    Conosciuta anche come “pianta dell’ombrello” o “albero dell’ombrello”, la schefflera actinophylla è originaria delle foreste pluviali dell’Australia settentrionale. In natura può raggiungere anche i dieci metri di altezza, con una chioma ampia e ordinata che ricorda proprio la forma di un ombrello. Le sue foglie lucide, ovali e di un verde intenso si dispongono elegantemente intorno a un fusto centrale. In primavera e all’inizio dell’estate produce spighe di fiori cremisi, lunghi e sottili, che emergono sulla sommità della pianta. Queste infiorescenze, in tonalità di rosso, bianco o rosa, attirano uccelli e pappagalli, rendendo la pianta un piccolo ecosistema tropicale. La schefflera actinophylla cresce meglio all’aperto, in climi miti e umidi, ma non sopporta il gelo intenso. È quindi più adatta a terrazze, giardini o verande luminose delle regioni costiere e meridionali.

    Schefflera arboricola: la versione “mini” perfetta per interni
    Più compatta ma altrettanto elegante, la schefflera arboricola (conosciuta anche come schefflera nana) è la varietà più comune negli appartamenti. Le sue foglie più piccole e lucide, talvolta variegate con sfumature crema o giallo chiaro, la rendono una scelta raffinata per ambienti interni e spazi di lavoro. Pur crescendo più lentamente rispetto alla sorella maggiore, mantiene la stessa struttura armoniosa e la resistenza tipica della specie. È una pianta che si adatta facilmente alla vita in vaso, richiedendo solo una buona esposizione alla luce diffusa e qualche nebulizzazione nei mesi più secchi.

    Coltivazione della schefflera: terreno e rinvaso
    Il terreno ideale per la schefflera deve essere ricco e ben drenato, capace di evitare ristagni idrici che potrebbero provocare marciumi radicali. L’ideale è un mix composto per l’80% da terriccio torboso per piante d’appartamento e terra di foglie o d’erica, con un 20% di sabbia silicea per favorire il drenaggio. Ogni 4-5 anni la pianta può necessitare di un rinvaso, preferibilmente in primavera o estate, quando è più attiva. In alternativa, si può rinnovare lo strato superficiale del terriccio ogni due anni. Il vaso in terracotta resta la scelta migliore: favorisce la traspirazione e mantiene stabile il microclima delle radici.

    Concimazione: il giusto apporto di nutrienti
    La schefflera non è particolarmente esigente, ma una concimazione regolare aiuta a mantenerla vigorosa. Si consiglia un fertilizzante liquido per piante sempreverdi da interno, ricco di azoto, da somministrare due o tre volte in primavera e una in autunno. Questo stimola la produzione di nuove foglie e rafforza la pianta contro eventuali stress ambientali.

    Esposizione alla luce: calore, ma senza sole diretto
    Originaria delle zone tropicali, la schefflera ama la luce diffusa e le temperature miti, tra 22 e 25 °C. In casa trova facilmente il suo habitat ideale, purché non sia esposta alla luce solare diretta o a correnti fredde. Durante la stagione invernale, l’aria secca dei riscaldamenti domestici potrebbe stressare la pianta: meglio nebulizzare le foglie di tanto in tanto per mantenere la giusta umidità. Temperature inferiori ai 13 °C risultano letali, e i primi sintomi da freddo si notano con l’ingiallimento e il ripiegamento delle foglie. Un consiglio? Avere un occhio di riguardo abituale alle foglie, per capire come e quando agire. In estate, invece, la schefflera può essere collocata all’aperto in mezz’ombra, a patto di rinfrescare il fogliame quotidianamente con nebulizzazioni leggere.

    Innaffiatura: il segreto è l’equilibrio
    L’acqua per la Schefflera è essenziale, ma non deve essere eccessiva. Nei mesi caldi, ad esempio, il terriccio deve restare uniformemente umido nei primi 4-5 cm; in autunno e inverno, invece, le innaffiature vanno ridotte della metà. Attenzione sempre ai ristagni nei sottovasi, tra le principali cause di marciume e malattie fungine. Anche in questo caso, un controllo a cadenza settimanale di quanto il terreno sia umido va fatto.

    Potatura: pochi interventi, mirati
    La potatura della schefflera è minima. Basta rimuovere i rami secchi o danneggiati, preferibilmente in autunno. Se la pianta cresce troppo in altezza, si possono effettuare tagli di contenimento per riequilibrarne la forma e stimolare la produzione di nuove foglie.

    Malattie e parassiti della Schefflera
    Rustica e tenace, la schefflera resiste bene ai parassiti, ma non è immune. Può essere attaccata da cocciniglie cotonose, che spesso favoriscono la comparsa di fumaggine, un fungo che si sviluppa sulla melata prodotta dagli insetti. Altri nemici frequenti sono afidi e tripidi, piccoli insetti che colpiscono le foglie: vanno trattati con insetticidi specifici e, nei casi gravi, eliminando le parti infestate. Nei periodi caldi e secchi, possono comparire anche i ragnetti rossi, facilmente contrastabili mantenendo il terreno umido e nebulizzando l’acqua sul fogliame. Le malattie fungine più comuni, come macchie fogliari o marciumi del colletto, sono quasi sempre conseguenza di un’innaffiatura eccessiva. Prevenire significa bagnare con moderazione, migliorare l’aerazione e non eccedere con i fertilizzanti azotati. A volte pensando di “fare del bene” alla pianta, si rischia di ottenere l’effetto contrario. More