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    Il legame con il proprio cane: simile a quello con figli e amici stretti

    Che ruolo hanno i cani domestici nella vita degli esseri umani? E che tipo di relazione è quella che ci lega al nostro cane? Sono domande a cui si cerca da tempo di dare una risposta, dato che i cani sono di fatto parte della società umana ormai da un pezzo a questa parte. Nel corso del tempo, il loro “posto” nel mondo degli umani ha certamente assunto sfaccettature diverse, e un gruppo di ricercatori e ricercatrici della Eötvös Loránd University di Budapest (Ungheria) ha provato ad indagare che tipo di ruolo ricoprono oggi i cani nel contesto per esempio familiare o, più in generale, relazionale.
    Gli autori e le autrici dello studio pubblicato su Scientific Reports, hanno creato un questionario online a cui hanno preso parte 717 persone. Ai partecipanti è stato chiesto di valutare, attraverso apposite domande a risposta chiusa, 13 aspetti che caratterizzano la relazione con il proprio cane, ma anche quella con quattro persone care: un familiare stretto, il partner romantico, il migliore amico e il figlio.

    Biodiversità

    Lavori green, il guardiaparco: “Insegniamo a vivere a contatto con la natura”

    di Pasquale Raicaldo

    26 Marzo 2025

    Il livello di supporto percepito
    Le persone che hanno risposto al sondaggio avrebbero dichiarato di sentirsi mediamente più soddisfatte dalla relazione che hanno con il proprio cane rispetto alle altre prese in considerazione, ad eccezione di quella con il proprio figlio. Lo stesso per quanto riguarda il livello di supporto percepito. Dal punto di vista delle interazioni definite come negative, i partecipanti ne avrebbero sperimentate di meno con i loro cani rispetto a qualsiasi altro partner umano, ad eccezione del loro migliore amico.

    Biodiversità

    Pettorano sul Gizio, il primo paese a misura d’orso

    di Fiammetta Cupellaro

    10 Aprile 2025

    “La soddisfazione nasce dal pieno controllo”
    In sostanza, la relazione fra cani ed esseri umani sembrerebbe quindi avere delle caratteristiche in comune sia con il rapporto che si ha con i propri figli, sia con quello che si instaura con gli amici molto stretti. C’è però un fatto importante da tenere in considerazione: “A differenza delle relazioni umane, i proprietari mantengono il pieno controllo sui loro cani, dato che prendono la maggior parte delle decisioni, e questo contribuisce all’elevata soddisfazione che riferiscono”, sottolinea Enik? Kubinyi, fra gli autori principali dello studio e direttore del Dipartimento di Etologia. Allo stesso tempo, prosegue Kubinyi: “I risultati evidenziano che i cani occupano un posto unico nel nostro mondo sociale, offrendo la vicinanza emotiva di un figlio, la leggerezza di un migliore amico e la prevedibilità di una relazione modellata dal controllo umano, e rivelano perché i nostri legami con loro sono spesso così profondamente appaganti”.

    Relazioni umane solide e legami forti con i cani
    Un altro aspetto interessante emerso dallo studio è che le relazioni umane solide sembrano essere correlate a legami più forti con i cani. Ossia, al contrario di quello che ci si potrebbe aspettare, sembra che il rapporto con il proprio cane tenda ad essere complementare alle relazioni con i propri cari più che compensarne la mancanza. Su questo punto, però, gli autori invitano alla cautela e specificano che lo studio potrebbe rappresentare una fetta di popolazione particolarmente soddisfatta della propria rete sociale. Dato che la partecipazione al sondaggio era su base volontaria, infatti, risulta difficile valutare se le persone che hanno risposto costituiscono un campione sufficientemente eterogeneo. Certamente, si legge nella pubblicazione, hanno partecipato soprattutto donne, fatto che potrebbe introdurre delle distorsioni nei risultati rispetto alla popolazione generale. “Le ricerche future – concludono – dovrebbero integrare i risultati attuali includendo una gamma più diversificata di proprietari di animali domestici”. LEGGI TUTTO

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    EcoWarrior e BeThatGirl, questione di sostenibilità: i giovani scelgono borracce plastic-free e smart bottles

    Dagli EcoWarrior alle BeThatGirl, sostenibilità ed estetica come baluardi principali nella scelta dei contenitori con cui bere, dalle borracce plastic-free alle bottiglie intelligenti. Sono due dei profili giovanili emersi da uno studio delle professoresse Silvia Biraghi e Angela Beccanulli del Laboratorio di Ricerche sulla Comunicazione Aziendale dell’Università Cattolica, campus di Milano, pubblicato sulla rivista Corporate Reputation Review, che esplora le motivazioni che spingono i giovani consumatori, in particolare Millennials (i nati tra 1981 e 1996) e Gen Z (tra ’97 e 2012), a scegliere marchi sostenibili, concentrandosi sull’adozione di bottiglie smart plastic-free e borracce.

    Si individuano anche gli Outdoor Travelers e le Neo-Moms: ad accomunarli tutti la spasmodica ricerca della cura di sé e dei propri cari, una spinta verso il benessere personale.

    “I giovani considerano sostenibili quei brand che non solo adottano politiche ambientali, ma che offrono anche prodotti e servizi che contribuiscono al loro benessere personale – spiegano. La sostenibilità si intreccia così con la “body culture” e il culto del corpo, tendenze che vediamo anche emergere da altri studi che stiamo conducendo. Per esempio, il concetto di purificazione – tanto fisica quanto emotiva – è centrale: i giovani cercano prodotti che li facciano sentire sicuri, protetti, supportati e, al tempo stesso, appagati esteticamente”.

    Obiettivi dello Studio
    Lo studio mira a comprendere come i giovani consumatori discutano e inquadrino le loro scelte di consumo sostenibile sui social media, identificando le motivazioni specifiche che li guidano verso marchi senza plastica.

    Le esperte hanno condotto un’analisi netnografica approfondita delle conversazioni sui social media riguardanti le borracce senza plastica. La netnografia (dalla fusione di rete e “etnografia”) è una forma di ricerca culturale che utilizza un insieme di pratiche qualitative per indagare fenomeni tecno-culturali o dinamiche identitarie e sociali che avvengono sulle piattaforme e sui social media. “Abbiamo scelto questo approccio perché, a differenza delle ricerche quantitative o sperimentali, ci permette di cogliere la dimensione più culturale e simbolica della sostenibilità – spiegano le esperte. Instagram, TikTok e YouTube sono oggi veri e propri spazi di confronto per i giovani consumatori, dove informarsi, discutere e negoziare le proprie scelte sostenibili. Per questo abbiamo analizzato pratiche discorsive e contenuti generati dagli utenti, focalizzandoci su borracce plastic-free e smart bottles: prodotti che si collocano all’incrocio tra diverse tendenze di consumo tra cui la battaglia contro l’utilizzo della plastica, l’adozione di soluzioni pratiche e alternative facilmente adottabili come i packaging plastic-free e la crescente ossessione social per l’idratazione. Abbiamo potuto osservare in modo naturale come Millennials e Gen Z esprimano il proprio giudizio sui brand sostenibili e costruiscano il racconto delle proprie scelte responsabili”.

    Le smart bottles (bottiglie intelligenti) sono contenitori dotati di tecnologia – come sensori, Bluetooth o app – che monitorano l’assunzione di liquidi o farmaci. Quelle per l’idratazione tracciano quanto bevi durante il giorno, ti ricordano di bere, e sincronizzano i dati con app per il fitness. Secondo i dati del Rapporto McKinsey 2023 sul mercato delle borracce, il mercato globale, stimato a 7,9 miliardi di dollari nel 2022, dovrebbe raggiungere una dimensione rivista di 11,2 miliardi di dollari entro il 2030, con una crescita del 4,5% nel periodo 2022-2030.

    Risultati
    “Dal nostro lavoro sono emerse quattro principali comunità di giovani consumatori appassionati di borracce plastic-free e smart bottles: gli EcoWarrior, gli Outdoor Travelers, le Neo-Moms e le #BeThatGirl”, spiegano.

    “Attraverso l’estrazione e l’analisi delle conversazioni su Instagram, TikTok e YouTube intorno agli hashtag #waterbottle, #smartbottle e #hydrate, abbiamo realizzato una “visual network analysis” che ci ha permesso di mappare la struttura delle discussioni e di individuare i temi dominanti. Approfondendo questi cluster tematici, abbiamo identificato i quattro profili:

    • #EcoWarrior: Giovani consumatori radicalmente impegnati nella sostenibilità, attivisti consapevoli che calcolano gli impatti delle proprie scelte e sentono il dovere di educare gli altri verso stili di vita meno impattanti. Si vedono come veri e propri difensori del pianeta.
    • Outdoor Travelers: Viaggiatori solitari o in piccoli gruppi che privilegiano esperienze a contatto con la natura. La protezione dell’ambiente è per loro una conseguenza diretta del desiderio di preservare i luoghi che amano esplorare.
    • Neo-Moms: Neomamme, perlopiù alla prima esperienza di maternità, particolarmente attente all’idratazione per sé e per la propria famiglia. Per loro, la sostenibilità è strettamente connessa al benessere personale e familiare.
    • #BeThatGirl: Giovani donne che adottano uno stile di vita incentrato sul benessere e l’estetica, condividendo le proprie pratiche sostenibili sui social con l’obiettivo di ispirare le proprie community. Per loro, la sostenibilità è anche (e soprattutto) un atto estetico. La nozione di “cura” emerge come priorità chiave, con il consumo sostenibile visto come una forma olistica di auto-cura.

    L’aspetto estetico e le caratteristiche funzionali delle bottiglie sono importanti, con preferenze per design “carini” e funzionalità come cannucce pacificanti e sistemi di filtraggio. Quindi tecnologia ma anche estetica che ha un che di rassicurante, aiuta anche a “distrarre” dai rischi e dalle preoccupazioni, trasformando il consumo sostenibile in uno stile di vita appagante e desiderabile, adatto ad essere mostrato.

    Quindi, lo studio evidenzia che, contrariamente alla percezione comune del consumo sostenibile come astratto, i giovani consumatori lo vedono come un percorso significativo verso il benessere personale.

    “Il nostro studio mostra come per Millennials e Gen Z le scelte sostenibili siano vissute prima di tutto come un autentico progetto di cura personale – sottolineano. Diversamente da quanto si pensa, i giovani non agiscono principalmente per senso di responsabilità collettiva o motivazioni etiche, ma integrano la sostenibilità nella costruzione di un sé sano, equilibrato e curato. Fatta eccezione per gli #EcoWarrior, che mantengono una forte dimensione collettiva, per la maggior parte dei giovani la sostenibilità è vissuta come un’opportunità per armonizzare il proprio benessere personale con un impatto positivo sul mondo. Non si tratta più di “sacrificarsi per il bene altrui”, ma di vivere la sostenibilità come un valore che arricchisce l’individuo, senza rinunce ma piuttosto con gratificazioni estetiche ed emotive”. LEGGI TUTTO

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    Nelle città italiane è emergenza smog. Padova, Milano, Brescia e Torino le peggiori

    Tira una brutta aria a Padova, Milano, Brescia, Torino, dove si respirano polveri sottili oltre i limiti consentiti. E a Palermo, Napoli, Messina e Genova, i cui cieli contengono troppo biossido di azoto. Sono queste le città italiane che guidano la classifica dei centri urbani con il maggior tasso di inquinamento atmosferico, secondo una analisi condotta sui dati relativi al primo trimestre di quest’anno. Sono stati presi in considerazione appunto le polveri sottili (pm2,5) e il biossido di azoto, confrontando le concentrazioni rivelate dalle Arpa in 26 città di 17 regioni. I risultati sono pessimi: “Vari capoluoghi e grandi città hanno già superato, ampiamente e per la maggior parte dei giorni, il limiti di guardia previsti dalla Ue e dall’Organizzazione mondiale della sanità”, dicono gli autori dello studio.

    Per quanto riguarda le pm2,5 la Direttiva europea 2024/2881 prevede un valore limite (dal 2030) di una media giornaliera di 25 microgrammi per metro cubo per non più di 18 giorni l’anno. La normativa attuale non parla invece di media giornaliera, ma solo di una media annua che deve essere al di sotto dei 25 microgrammi/metro cubo. L’Oms invece suggerisce di non superare 15 microgrammi/metro cubo per più di 3/4 volte l’anno. Ebbene, nei primi tre mesi del 2025 Padova ha superato i valori massimi previsti dalla Ue per 52 giorni e quelli dell’Oms per 74. Milano, rispettivamente, per 51 e 74 giorni. Brescia per 50 e 73. Torino per 48 e 65. Seguono, con valori più bassi ma comunque oltre i limiti, Vicenza, Modena, Bergamo, Parma, Trento, Bologna. Insomma città del Nord, con l’unica eccezione di Terni, che compare in nona posizione. LEGGI TUTTO

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    La citizen science per far rinascere la Posidonia: “Portateci i semi spiaggiati”

    La caccia alle “olive” è partita. E può contribuire a far rifiorire le praterie di Posidonia oceanica nel golfo di Napoli, sensibilmente ridotte dagli ancoraggi selvaggi degli ultimi decenni. Così, per riforestare i fondali di Posillipo, partendo da quel piccolo e prezioso laboratorio che è l’area marina protetta Parco Sommerso di Gaiola, parte un progetto che chiede una mano a tutti, ricorrendo alla citizen science. “Basta raccogliere il frutto della Posidonia, comunemente chiamato ‘oliva di mare’ per la sua somiglianza con le classiche olive, che spesso tende a spiaggiarsi e sarebbe dunque destinato a essiccarsi al sole, e consegnarcelo”, dice Maurizio Simeone, che dell’area marina protetta è il direttore. Già, perché una volta giunto a maturazione il frutto si stacca dalla pianta e sale in superficie, lasciandosi trasportate dalle correnti: una strategia attuata dalla pianta per colonizzare nuove aree, anche a distanza dalla “prateria madre”. Liberandosi della “buccia”, o più propriamente del pericarpo, il frutto libera infatti il seme, che si deposita sul fondale. “Ma questo non avviene, naturalmente, se le olive finiscono lungo le nostre coste”, annota Simeone.

    Biodiversità

    Entro il 2100 potremmo perdere alghe e foreste marine

    di Pasquale Raicaldo

    02 Novembre 2024

    L’idea che ha così animato il progetto PosiFarm è in fondo semplice: raccogliere i semi, con l’aiuto dei cittadini (e di aree marine protette vicine, come il Regno di Nettuno), e farli geminare in laboratorio, per poi piantare le piccole plantule una volta fortificate, sui fondali di Gaiola, dove dal 2023 è peraltro già in corso un altro progetto di riforestazione dei fondali tramite talee. L’obiettivo è di ricreare un hotspot di biodiversità e contribuendo alla salute del pianeta: attraverso la fotosintesi clorofilliana, la Posidonia oceanica genera fino a 20 litri di ossigeno al giorno per metro quadrato, assorbendo enormi quantità di anidride carbonica: un contributo importante per mitigare l’acidificazione degli oceani.

    Dodici vasche da 500 litri
    E per farlo scende in campo, con l’area marina protetta, la Stazione Zoologica Anton Dohrn. Gabriele Procaccini è dirigente di ricerca del dipartimento di Ecologia Marina Integrata: si occupa da decenni di Posidonia oceanica. “Negli ultimi anni – annota – si è registrata una fioritura più frequente delle piante, alle nostre latitudini. C’entra il climate change, ma – a dispetto di come appaia – non è detto che sia una buona notizia: la pianta risponde così agli stress, investendo nella riproduzione e alterando i suoi cicli. Con conseguenze a lungo termine che potrebbero essere negative”. La buona notizia, invece, è che il boom di fioriture, concentrate tra settembre e ottobre, con frutti che si staccano proprio in questo periodo, tra aprile e maggio, ha dato il via libera al progetto. “Proprio così. – annuisce Procaccini – A settembre abbiamo registrato una fioritura imponente nelle isole del golfo di Napoli e lungo la costa flegrea, così come in Puglia, dalle Tremiti in giù, in Sicilia e in Calabria. Questo ci ha suggerito di approfittare della congiuntura favorevole, preparandoci per tempo alla raccolta dei frutti, da cui ricavare plantule destinate alla riforestazione su base sperimentale del posidonieto della Gaiola”.

    Biodiversità

    La polemica sulla posidonia: fa bene alla spiaggia, ma non piace ai bagnanti

    27 Giugno 2024

    I frutti, una volta raccolti dai ricercatori o da cittadini volontari, finiscono nelle dodici vasche nella sede del Dohrn e, in parte, in un laboratorio in fieri nell’area marina protetta: qui, raggiunto un grado di maturità idoneo e un’altezza di circa 15 centimetri, sono destinati alla fase successiva, il trapianto in mare. “Parte delle plantule finiranno nella zona B dell’area marina – annota Simeone – dove è consentita la balneazione. Così tutti potranno, facendo snorkeling, monitorarne la crescita, sempre in ottica di citizen science”.

    “Piante più resistenti al caldo grazie all’evoluzione assistita”
    E il prossimo gennaio parte ufficialmente un altro progetto, Seacovery, direttamente coordinato da Fabio Blanco Murillo, postdoc alla Dohrn, vincitore di un progetto di ricerca Marie Curie presso il laboratorio di Procaccini. “Il nostro obiettivo – dice – sarà quello di sperimentare metodologie diverse per il restauro o il recupero di praterie di Posidonia oceanica e di studiarne le basi scientifiche. In particolare, lavoreremo sull’evoluzione assistita dei semi germinati in laboratori, esponendoli a ondate di calore simulate. L’obiettivo è che sviluppino una maggiore resistenza alle condizioni ambientali del futuro, condizionate dalla crisi climatiche, e si rivelino più resistenti”. Contestualmente, arriveranno nel mare della Gaiola, a Napoli, anche semi provenienti dalla Puglia e dalla Sicilia. “Sì, lavoreremo sui pattern di variabilità genetica, verificando se esistano piante più resilienti alle condizioni che ci attendono”, aggiunge Procaccini.

    Un lavoro che nasce dalle esperienze di un team variegato e che ha già raggiunto importanti risultati in tal senso, fra cui sono presenti le ricercatrici Jessica Pazzaglia, esperta di memoria delle piante e di evoluzione assistita, ed Emanuela Dattolo, esperta di genomica delle piante marine. “E chissà che non prenda forma, in un futuro non troppo lontano, un progetto di riforestazione di Posidonia più ampio, esteso all’intero golfo di Napoli, dove oggi la pianta è praticamente scomparsa a causa di una degradazione delle condizioni ambientali e di un diportismo nautico invasivo, che incide sulle piante attraverso gli ancoraggi”, aggiunge il dirigente di ricerca della Stazione Zoologica Anton Dohrn. Un passo alla volta, oggi si aspettano nuovi semi: trecento sono già arrivati dalle isole di Ischia e Procida, sui canali social degli enti coinvolti è partito l’appello ai cittadini. Basta una passeggiata con sguardo incuriosito lungo spiagge e litorali, in fondo, per contribuire al futuro della biodiversità nel golfo di Napoli. LEGGI TUTTO

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    “Squali scomparsi, pesci più piccoli, sovrapesca”. Ecco “Breath”, il docufilm sulla crisi del mare

    A un certo punto la regista Ilaria Congiu si è sentita “tonno”. Come quelli nelle gabbie che ha osservato con i suoi occhi, “che probabilmente continuavano a girare in tondo senza sapere di essere in trappola e che per loro era finita”. Così ha deciso di far atterrare tutto quello che aveva imparato dalla sua particolare esperienza di vita, compresa la professione del padre, all’interno di un docufilm per raccontare proprio come la natura – ma anche noi stessi – sia finita in una trappola le cui sbarre sono fatte dall’inquinamento, dalla sovrapesca industriale e dalla crisi del clima che l’uomo stesso ha alimentato. Il suo primo film si chiama “Breath” e la giovane regista debutterà nelle sale il 5 maggio con un documentario di 72 minuti prodotto da Mediterraneo Cinematografica, TVCO, Propaganda, TBC Productions e distribuito dalla Mescalito Film col patrocinio di Legambiente Italia e Extinction Rebellion Italia. Nella pellicola ci sono le contraddizioni del “respiro” di un mare che Congiu, nata in Senegal e dopo l’adolescenza passata in Italia, ha visto radicalmente cambiare nei suoi costanti ritorni in Africa. Come, lo racconta a Green&Blue in vista dell’esordio della sua prima opera.

    Come nasce l’idea di Breath?
    “Direi che è stata una semina di più anni. Sono sempre stata educata all’attenzione per l’ambiente: sono cresciuta a contatto con i pescatori e sempre in acqua, vista la passione per il surf e anche per la subacquea, ma solo nel tempo mi sono resa conto della necessità di raccontare i cambiamenti in atto”. LEGGI TUTTO

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    Blackout in Spagna, fra le cause un “raro fenomeno atmosferico”

    A causare il blackout che ha interessato Spagna, Portogallo e parte della Francia potrebbe essere stato “un raro fenomeno atmosferico”. Dunque non gli hacker o il guasto tecnico ma una reazione a dei bruschi cambiamenti di temperatura nel centro della Spagna. Almeno questa è l’ipotesi formulata dall’operatore energetico portoghese REN (Reti nazionali dell’energia) mentre tutta […] LEGGI TUTTO

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    La conservazione della natura voluta dalla Ue non compromette le attività economiche

    Ripristino della natura e produttività economica possono andare di pari passo? Le misure previste dalla tanto contestata Nature Restoration Law rischiano di penalizzale gli agricoltori, gli allevatori e l’industria del legno in Europa? Uno studio pubblicato oggi sulla rivista Nature Ecology & Evolution dà una risposta scientifica: l’ambizioso Regolamento dell’Unione europea, essenziale per raggiungere gli […] LEGGI TUTTO