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    La siccità miete vittime e alimenta ingiustizie sociali: l’allarme dell’Onu

    Un “killer silenzioso”. Così Ibrahim Thiaw, segretario esecutivo della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (Unccd) ha definito la siccità. Lo ha fatto presentando i disastrosi dati del report “Drought Hotspots Around the World 2023-2025”, una mappa dei luoghi dove la mancanza di acqua sta pesando di più e delle sue conseguenze sulla popolazione. Un report che deve funzionare da monito per tutti, perché i rischi sono per il mondo intero, hanno ripetuto gli esperti. Ciò detto, il report redatto dall’Unccd in collaborazione con lo U.S. National Drought Mitigation Center (Ndmc), e l’International Drought Resilience Alliance (Idra), si focalizza su alcune aree: sono le zone del Mediterraneo, alcune dell’America centrale-meridionale (come Panama, Messico e Amazzonia), l’Africa orientale e meridionale e il Sud-est asiatico. Sono quelle che, secondo i dati raccolti dall’Ndmc – che comprende tanto rapporti ufficiali che notizie diffuse sui media – sono quelle dove la siccità negli ultimi anni, complice anche il fenomeno del El Niño – ha fatto più danni, e che stanno pagano un prezzo più caro di altri, sottolinea il report.

    Il documento è pieno di numeri che aiutano a fotografare la dimensione del problema. Servono a prendere consapevolezza e misura degli interventi che sono più necessari, e dove, scrivono gli autori. Siccità non significa solo mancanza di acqua. Gli impatti che a cascata questo agiscono praticamente a tutti i livelli: se manca l’acqua, allevatori e agricoltori non possono far crescere capi e colture. I raccolti diminuiscono ovunque, i prezzi di mais, riso ed olio schizzano. Questo li costringe a muoversi e migrare, ma non sempre questo è possibile: spesso le zone colpite sono aree socialmente e politicamente instabili, controllate da gruppi che controllano anche i movimenti della popolazione, come accade in alcune zone dell’Africa, sottolinea il report. E non sempre ci sono fondi per gli aiuti, né le risorse e le possibilità tecniche per distribuirli. La perdita di acqua nei fiumi, inoltre, mette a rischio anche le fonti energetiche, nel caso di impianti idroelettrici, ma anche la vita degli animali che ci vivono o vi dipendono. Ma non solo: senza acqua aumenta il rischio di incendi.

    Biodiversità

    Le mappe del riscaldamento globale: uno studio individua le zone a rischio e i “rifugi climatici”

    di Marco Angelillo

    12 Giugno 2025

    Tutto questo causa malnutrizione, morte, sfollamenti, aumenta il rischio di malattie, di violenze e ingiustizie sociali, come abbandoni scolastici e matrimoni combinati per giovanissime ragazze, spesso forma di scambio per avere sostegno economico, riportano gli autori. Ecco allora qualcuno di quei numeri che fotografano, parzialmente la situazione, solo a titolo di esempio: oltre 90 milioni di persone che soffrono la fame in Africa; perdita del 50% della produzione di olio di oliva in Spagna; perdita del 70% dei raccolti di mais nello Zimbabwe. Le diverse aree coperte dal report soffrono in maniera e con intensità differenti tutti questi effetti dovuti alla siccità. Ma è sbagliato pensarli come un problema locale, non solo perché ogni paese intesse relazioni economiche con altri, ma perché la crisi climatica in atto potrebbe allargare a tutto il mondo il fenomeno, come ha ricordato Mark Svoboda a capo del Nmdc e tra gli autori del report: “Le difficoltà incontrate da Spagna, Marocco e Turchia per assicurarsi acqua, cibo ed energia a causa della persistente siccità offrono un’anteprima sul futuro dell’acqua in un scenario di riscaldamento globale incontrollato. Nessun paese, a prescindere dalla ricchezza o dalla capacità, può permettersi di essere compiacente”. Ecco allora, che accanto ai rinnovati imperativi per arginare la crisi climatica, gli autori raccomandano azioni a più livelli, che prevedano la riduzione dei consumi, dove possibile, e delle perdite; un adeguato sistema di monitoraggio e allerta sulla disponibilità di risorse idriche; e ancora strategie di sviluppo agricolo e urbano che favoriscano la conservazione dell’acqua. E infine, un appello per tutti: queste azioni, con piani contro la siccità, devono entrare nell’agenda politica dei governi. LEGGI TUTTO

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    Il mar Tirreno è bollente, c’è il rischio di eventi estremi

    Due indicatori, stesso gigantesco problema. Tra fine giugno e inizio luglio l’Agenzia spaziale europea, l’Esa, ha pubblicato sui suoi social una immagine abbastanza eloquente: una sorta di mappa dell’Europa centrale dove tutto è rosso, con però un dettaglio importante in più. In un riquadro di color ancor più scuro viene mostrato come in questi giorni le temperature superficiali dell’acqua nel Mar Tirreno siano arrivate a oltre 28 gradi, una cifra altissima se si pensa che solitamente i valori dei mari, come il Mediterraneo e che impiegano tempo per accumulare calore, sono più caldi soprattutto a ridosso della fine dell’estate. Questo primo importante indicatore, unito alle misurazioni delle temperature del suolo in Europa (con picchi di 54° a Siviglia, 49° a Foggia o 45° a Madrid e Roma) ci raccontano come l’ondata di calore che sta trasformando questo giugno in un mese record per molti Paesi europei, stia contribuendo a scaldare i mari e ad accumulare una pericolosa energia che, molto probabilmente, verrà scaricata in autunno sotto forma di eventi meteo estremi.

    Crisi del clima

    L’Europa nella morsa della prima ondata di calore 2025: temperature sopra i 42°C

    di Fiammetta Cupellaro

    30 Giugno 2025

    Monitorare la temperatura della superficie terrestre così come quella della superficie marina è dunque “fondamentale per comprendere e prevedere i modelli meteorologici e climatici, tenere traccia dei rischi di incendi boschivi, supportare gli agricoltori nella pianificazione dell’irrigazione e orientare la progettazione urbana per mitigare al meglio il calore” scrivono dall’Esa. Parallelamente alle immagini Esa anche Copernicus, con i dati rilevati dal satellite Sentinel-3, mostra in maniera chiara quanto sta accadendo in questa settimana: una intera Europa praticamente senza copertura nuvolosa e con un fortissimo sistema di alta pressione associato a calore prolungato. “Un’intensa ondata di calore è in corso in gran parte d’Europa – scrive Copernicus – causando disagi diffusi, impatti sulla salute e stress ambientale” e gli scienziati ricordano come alcune zone di Spagna, Portogallo e Francia hanno registrato record storici di calore per il mese di giugno, con la Spagna arrivata addirittura a 46 gradi. Ondate di calore e mari più caldi secondo gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) potrebbero dunque portare a decine di migliaia di “morti inutili e in gran parte evitabili”. LEGGI TUTTO

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    Comunità energetiche, via libera ai fondi Pnrr per 7.760 comuni

    Sale a quota 7.760 il numero dei Comuni che potranno beneficiare dei contributi a fondo perduto del Pnnr per costituire una Comunità energetica. Gli stessi incentivi potranno essere riconosciuti ai gruppi di autoconsumo, sia a livello condominiale che nel caso di villette bifamiliari. Si amplia così di molto la platea dei beneficiari e di fatto restano fuori solo le grandi città. È infatti in vigore il nuovo decreto del Ministero dell’ambiente che ha rivisto i requisiti per l’accesso ai fondi, introdotto anticipazioni più elevate e tempi più lunghi per la realizzazione degli impianti. Con l’inclusione dei centri urbani di media grandezza e dei territori con maggiore densità abitativa e potenziale energetico le CER dovrebbero poter finalmente decollare.

    Fisco verde

    Rifiuti domestici, sconto sulla Tari per chi fa compostaggio

    di Antonella Donati

    17 Giugno 2025

    Coinvolta la stragrande maggioranza dei Comuni
    Il contributo del Pnnr e pari al 40% dei costi di investimento per la realizzazione degli impianti necessari per la CER o per i gruppi di autoconsumo. Fino allo scorso mese di maggio il contributo era ammesso solo per i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, una restrizione che ha influito negativamente sulla possibilità di costituzione dei nuovi soggetti, considerando anche la minor presenza delle realtà produttive nei Comuni di minor dimensioni. Con la nuova soglia demografica, secondo i dati Istat aggiornati al 31 marzo 2025, si raggiunge il 98,3% del totale salendo da 5.521 a 7.760 Comuni. Restano escluse solo le 136 città maggiori. Tra i comuni ora ammessi dd esempio troviamo: Mantova, Crema, Cologno Monzese, Paderno Dugnano, Rozzano, Bollate, Segrate, Corsico, Civitavecchia, Anzio, Pomezia, Guidonia Montecelio, Tivoli, Fiumicino, Velletri, Acerra, Casoria, Afragola, Pozzuoli, Torre del Greco, Mazara del Vallo, Termini Imerese, Nuoro, Oristano, Porto Torres. Con questa modifica ci saranno maggiori probabilità di trovare operatori e utenti interessati sia sul fronte dei soggetti che gestiscono attività produttive sia per quanto riguarda le altre realtà locali che possono entrare nella compagine delle Comunità.

    Fisco verde

    Transizione energetica inclusiva: in arrivo il Piano Sociale per il Clima

    di Antonella Donati

    10 Giugno 2025

    Possibile avere più fondi in anticipo
    Una ulteriore novità del decreto riguarda la possibilità di ottenere una quota maggiore di fondi in anticipo, in modo da poter più facilmente sostenere le spese per la realizzazione dell’impianto, un vantaggio particolarmente significativo per i gruppi di autoconsumo. Le somme erogabili a questo titolo da parte del GSE salgono infatti dal 10% al 30% del totale. Da ora in poi anche le persone fisiche potranno cumulare questo contributo con altri eventuali contributi in conto capitale, senza perdere nulla.

    Quanto vale la tariffa incentivante
    Il contributo a fondo perduto si aggiunge alla tariffa premio sull’energia condivisa incentivata ed al corrispettivo di valorizzazione, definito dall’Arera, importi erogati per 20 anni. La tariffa, costituita da una parte fissa e una variabile, è rapportata alla potenza dell’impianto e al prezzo di mercato dell’energia. L’importo va da un minimo di 60 euro/mgh a un massimo di 120 euro/mwh. A questa si aggiunge una ulteriore maggiorazione fino a 10 euro/mwh in funzione della localizzazione geografica dell’impianto. Il corrispettivo di Arera è oggi invece pari a circa 8 euro/mwh.
    Più tempo per completare i lavori
    Gli impianti incentivati dovranno essere realizzati entro il 30 giugno 2026, e non più entrare in esercizio entro quella data. Il termine ultimo infatti è di 24 mesi dal fine lavori, entro comunque il 31 dicembre 2027. In ogni caso le quote a saldo saranno erogate al completamento dei lavori, fatta salva la revoca se l’impianto non entra in esercizio. Inoltre è stato specificato che il contributo viene revocato in caso di mancata sottoscrizione del contratto per l’erogazione degli incentivi, ossia delle tariffe spettanti per l’autoconsumo.
    Chi ha già presentato la domanda
    Con il nuovo decreto arriva poi anche per le persone fisiche la possibilità di cumulo del contributo fondo perduto con altri contributi, per cui non ci sarà più il taglio. Fino al maggio scorso questa situazione di vantaggio era riservata a enti locali, religiosi, del terzo settore e ambientalisti. Il decreto prevede l’applicazione retroattiva delle nuove disposizioni ai progetti già presentati prima dell’entrata in vigore del provvedimento. Resta confermata al momento al 30 novembre la data ultima per la presentazione delle domande. Sul portale del GSE è a disposizione un simulatore per calcolare i vantaggi della costituzione di una CER o di un gruppo di autoconsumo. LEGGI TUTTO

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    Piante che purificano l’aria: mito o realtà?

    Polveri sottili, scarichi delle auto, residui industriali, particelle di metalli pesanti. L’aria delle città è satura di sostanze invisibili e non certo innocue: le respiriamo camminando, aspettando l’autobus, sostando a un semaforo. Ma cercare riparo nei luoghi chiusi per sfuggire a smog e inquinamento sarebbe un errore perché è proprio in casa, in ufficio, a scuola, dove tra l’altro trascorriamo la maggior parte del tempo, che l’ambiente è meno salubre. Come evidenzia Altroconsumo, tra gli inquinanti indoor si rilevano soprattutto composti organici volatili, molecole tossiche a base di carbonio generate da combustione, detersivi, vernici, solventi, colle, arredi, materiali isolanti, stampanti, che evaporano con facilità a temperatura ambiente. Alcune di queste sono classificate come cancerogene, per esempio formaldeide e benzene, o potenzialmente cancerogene, come il tricloroetilene.

    Dal ficus al filodendro
    Di fronte a queste evidenze preoccupanti, molti credono che possano venire in aiuto le piante ornamentali, come pothos, ficus, spatifillo, dracena, sansevieria, filodendro, aloe vera, edera, gerbera, orchidea, a cui vari studi attribuiscono la capacità di assorbire gli agenti contaminanti, mantenendo così pulita l’aria domestica. Se da un lato è vero che la vegetazione da appartamento migliora la qualità dell’atmosfera attraverso sia la fotosintesi clorofilliana, che trasforma l’anidride carbonica in ossigeno, sia gli stomi delle foglie, che catturano alcuni composti e una piccola parte di particolato, dall’altro uno o due vasi non bastano a spazzare via gli elementi nocivi, perché il loro effetto depurativo è estremamente limitato.

    Lo studio della Nasa
    L’idea delle piante detox viene da lontano. Per la precisione dalla fine degli anni Ottanta, quando la Nasa realizzò uno studio mirato a verificare la capacità di alcune piante comuni di migliorare l’aria, in vista di un loro impiego nelle missioni nello spazio. Ebbene, la ricerca dimostrò che effettivamente gli esemplari verdi possono assorbire formaldeide, benzene, tricloroetilene. Il problema è che tale analisi venne svolta in ambienti sigillati, come le navicelle spaziali, con luce e temperatura controllate: uno scenario ben diverso da quello che si verifica quotidianamente nelle nostre abitazioni.

    Non basta il verde per aria salubre
    Nei decenni seguenti, sono state condotte molte altre ricerche sul tema. Tra queste è di particolare rilievo una revisione pubblicata nel 2019 sul “Journal of Exposure Science & Environmental Epidemiology” e condotta dai ricercatori dell’Università di Drexel, a Philadelphia, negli Stati Uniti, che, analizzando 12 studi, hanno concluso che per neutralizzare effettivamente gli inquinanti servirebbero da 10 a 1.000 piante per metro quadrato di pavimento. Il che equivarrebbe a trasformare la casa in una sorta di giungla. Ma anche ipotizzando di vivere in una foresta da interni, si rischierebbe di creare un clima poco salutare: l’eccesso di vegetazione aumenta, infatti, l’umidità favorendo muffe, mentre terriccio e foglie secche possono liberare polveri fini. Senza contare che l’uso di concimi o antiparassitari sintetici introduce nuove sostanze potenzialmente tossiche. Da notare infine che, durante la notte, le piante cessano la fotosintesi e rilasciano anidride carbonica: nulla di allarmante, ma è sconsigliato trasformare la camera da letto in una serra.

    Meglio arieggiare e ridurre i detersivi
    Considerato ciò, la soluzione più efficace resta la più semplice: aerare spesso i locali. Che sia estate o inverno poco importa: aprire le finestre più volte durante la giornata, per dieci-venti minuti, possibilmente nei momenti di minore traffico sulle strade, garantisce un’aria il più possibile sana e pulita. Oltre a questo, ci sono anche altri consigli per migliorare l’atmosfera interna, come suggerisce l’associazione dei consumatori. Anzitutto usare meno prodotti chimici e detersivi, evitando quelli nocivi, come l’ammoniaca, o inutili, come i diffusori di profumi, e scegliendo quelli green. Poi ridurre le possibili sorgenti di inquinamento, come sigarette, fornelli a gas, incensi e candele. Infine, utilizzare, se necessario, un purificatore. Ciò non significa, ovviamente, rinunciare alle piante che, oltre a rendere gli ambienti più belli e accoglienti, hanno anche effetti positivi sul benessere psicologico, riducendo lo stress e migliorando l’umore. LEGGI TUTTO

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    L’Europa nella morsa della prima ondata di calore 2025: temperature sopra i 42°C

    L’Europa sta fronteggiando la prima ondata di calore 2025. Oggi in Spagna a El Granado nella provincia di Huelva è stata raggiunta una temperatura record di 46°C, il valore più alto mai registrato nel mese di giugno in Spagna. Ma, secondo i meteorologi è tutta l’Europa investita da un’ondata di calore tra le più precoci e intense degli ultimi vent’anni. Un vasto anticiclone africano infatti continua a stazionare sull’Europa da Nord a Sud facendo registrare temperature fino a 10° C oltre la media stagionale. Travolte anche Belgio, Svizzera e Gran Bretagna. Nel Regno Unito le autorità hanno dichiarato un’allerta arancione in cinque regioni tra cui quella di Londra dove aveva appena preso il via la prima giornata del torneo internazionale di Wimbledon (terza prova stagionale del grande Slam) che ha registrato la giornata più calda mai vista, arrivati a 31°C. Il caldo ha imposto misure precauzionali per pubblico, staff e giocatori.
    In Francia, Parigi ha vissuto una giornata infernale a 42,6°C. Il premier Bayrou ha deciso di rinviare i suoi impegni per seguire da vicino l’evolversi dell’emergenza caldo.
    In Svizzera, giugno 2025 verrà ricordato come uno dei mesi più caldi di sempre: 35°C a Zurigo e Ginevra.
    Non è prevista una pausa. Il caldo intenso si protrarrà, fino al 3 luglio. In Italia, dove le minime non scendono sotto i 25°C, il ministero della Salute ha diramato il bollino rosso per 21 città. Gli abitanti di alcune zone della Pianura Padana e lungo le coste stanno vivendo quelle definite “notti tropicali” con 30°C di minima.

    L’intervista

    John Vaillant: “La crisi del clima ha reso gli incendi più aggressivi, cambiamo o saremo puniti”

    di Luca Fraioli

    15 Gennaio 2025

    Gli esperti temono che questa sia solo la prima di una serie di ondate di calore previste per questa estate in un contesto climatico sempre più instabile. È la conferma della tendenza alla precocità e intensità crescente del caldo estremo, amplificate dai cambiamenti climatici.

    Dalla Spagna ai Balcani
    Dalla Spagna e Portogallo fino ai Balcani milioni di persone stanno affrontando giornate di afa estrema con temperature che in alcune aree hanno già superato di 42 C. L’ufficio meteorologico statale spagnolo, Aemet, ha attivato un piano speciale per il rischio incendi mentre il Ministero della Salute consiglia ad anziani, bambini e le altre categorie a rischio di fare particolare attenzione. Così anche in Francia dove numerose città, tra cui Tolosa e Marsiglia (dove le temperature sono arrivate per giorni a 40°C), hanno vietato le attività fisiche all’aperto nelle ore più calde e aperto gratuitamente piscine e centri climatizzati per i cittadini considerati nelle fasce vulnerabili.

    Ondate di calore

    Dagli Usa all’Europa, estate già bollente. Ora in Italia attenzione alle notti tropicali

    di Giacomo Talignani

    24 Giugno 2025

    Sempre in Francia, i vigili del fuoco sono stati mobilitati per affrontare gli incendi di inizio estate, poiché 84 delle 101 aree amministrative del paese sono state messe in allerta per ondate di calore fino a metà settimana. Incendi sono scoppiati nella zona di Corbières, nell’Aude, nel sud-ovest, dove le temperature hanno superato i 40°C, costringendo all’evacuazione precauzionale di un campeggio e di un’abbazia. Incendi a sud Atene dove la polizia ha chiuso un tratto della strada costiera che collega la capitale greca a Sunio, sede dell’antico Tempio di Poseidone, una delle principali attrazioni turistiche.
    In Italia
    Mentre il Ministero della salute ha diramato il bollino rosso per 21 città tra cui Roma, Firenze Bologna Napoli. A Firenze il termometro da cinque giorni non scende sotto i 40°, un evento che non si ricorda negli archivi meteo della città. In alcune regioni come la Sicilia – dove sono state registrate punte superiori a 43°C – e la Liguria è stato vietato di lavorare all’aperto nelle ore più calde della giornata. Le organizzazioni sindacali stanno conducendo una campagna per estendere la misura ad altre regioni. Torna l’allarme incendi in Sardegna dove la Protezione civile ha attivato l’allerta in diverse zone interne.

    Sulle Alpi ghiacciai in sofferenza
    Sulle Alpi la quota dello zero termico che lo scorso fine settimana era prossima ai 5.000 metri di altitudine sta diminuendo e adesso oscilla intorno ai 4.200 metri. Le temperature minime e massime, pur diminuendo di qualche grado, risultano ancora sopra la media del periodo. Previsioni: precipitazioni abbondanti in poco tempo su aree ristrette, fanno sapere i metereologi.

    L’iniziativa

    “Che caldo che fa!”, al via la campagna di Legambiente nelle periferie urbane

    a cura della redazione di Green&Blue

    24 Giugno 2025

    L’anno scorso danni per 300 miliardi di dollari
    L’anno scorso è stato il più caldo della storia finora registrato e ha portato a disastri mondiali, con un costo di oltre 300 miliardi di dollari. Secondo il The Guardian uno studio di Lancet Public Health ha rilevato che le morti per caldo in Europa potrebbero triplicare entro la fine del secolo, con numeri in aumento sproporzionato nei paesi meridionali come Italia, Grecia e Spagna. Il caldo potrebbe uccidere 129.000 persone all’anno se le temperature salissero di 3°C rispetto ai livelli preindustriali. Oggi, i decessi legati al caldo in Europa sono 44.000.
    Devastate anche dal caldo le zone di guerre
    Secondo l’Organizzazione mondiale delle Meteorologia il caldo intenso sta colpendo anche le zone di guerra in Medio Oriente aumentando i rischi per la salute. A Gaza le temperature hanno raggiunto i 40°C aggravando ancora di più la situazione della popolazione ormai allo stremo. Tende surriscaldate, scarsità d’acqua e elettricità rendono impossibili anche idratarsi e usare i condizionatori per rinfrescarsi. Un’ulteriore sofferenza per chi vive già sotto le bombe. LEGGI TUTTO

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    Green science e prodotti ricaricabili: bellezza a impatto zero

    “Credo fermamente che la scienza salverà il pianeta”. Ana Kljuic è vicepresidente del settore ricerca e innovazione (R&I) di L’Oréal for the Future e Green Sciences. Ricercatrice di genetica e dermatologia alla Colombia University, ha realizzato nove brevetti firmati l’Oréal. Guarda al futuro con fiducia – si definisce “un’ottimista curiosa” – e pare non aver mai smesso di credere alla possibilità di costruire un mondo più sostenibile. Con l’Oréal “stiamo attivamente lavorando per trasformare gli ingredienti attraverso le scienze verdi. Attualmente, il 66% proviene da fonti naturali o riciclate,” spiega. “Stiamo vivendo un momento complesso ma estremamente entusiasmante, in cui natura, scienza e tecnologia si intersecano, permettendoci di investire sempre più nelle scienze verdi e di utilizzare la natura per creare nuovi ingredienti e offrire prestazioni inedite, sia a livello cosmetico che ambientale”, afferma.

    Green Science
    Kljuic coordina un’équipe di scienziate e scienziati, con almeno due missioni: “Tradurre in azioni concrete gli obiettivi di sostenibilità che il Gruppo ha stabilito per il 2030 e approfondire l’impatto dei nostri ingredienti, per individuare nuove soluzioni da sviluppare”.
    Un esempio tangibile è la produzione della Vitamina C: “Per anni è stata prodotta sinteticamente, oggi, grazie a biotecnologie e chimica verde, ne abbiamo una di origine naturale”. La manager spiega che esempi di questo tipo saranno sempre più frequenti, anche grazie al progredire delle biotecnologie, che “oggi si basano molto sui batteri, ma stiamo esplorando l’uso di microalghe, di piante e parti di esse, come le radici, per produrre nuovi componenti”.
    Se si chiede alla ricercatrice l’obiettivo scientifico che sogna raggiungere, risponde: “La sfida più grande è l’integrazione. Abbiamo progetti nel campo dell’agricoltura sostenibile, delle biotecnologie, della chimica verde. L’obiettivo è connettere tutti questi filoni per costruire un portafoglio di ingredienti che sia interamente, o in gran parte, di origine naturale, riciclato, tracciabile e che offra nuove esperienze e prestazioni ai nostri consumatori”, conclude. LEGGI TUTTO

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    Digitalizzazione: la strada maestra per una transizione sicura

    La transizione energetica europea è entrata in una nuova fase. Alla corsa per aumentare la produzione di energie rinnovabili si affianca oggi un’altra sfida cruciale: rendere le reti elettriche più resilienti, intelligenti e pronte a rispondere a una domanda in crescita costante. Il tutto in un contesto geopolitico che richiede maggiore indipendenza energetica e minori emissioni. In questo scenario, le tecnologie si stanno affermando come alleati fondamentali. “La digitalizzazione può essere la chiave di volta per evitare nuovi blackout come quelli che nei mesi scorsi hanno colpito Spagna e in Portogallo e che sempre più spesso si verificano nei picchi della domanda, come in estate. Ma la tecnologia – da sola – non è risolutiva: occorre una strategia che sappia far collaborare istituzioni e ricerca d’impresa per garantire la resilienza delle reti”. È la convinzione di Gwenaelle Avice-Huet, senior vice president di Schneider Electric Europa, intervistata nel corso della sua visita a Stezzano (Bergamo) per l’inaugurazione dell’headquarter italiano della multinazionale, che è stato completamente riqualificato dal punto di vista energetico, nell’ambito del progetto di efficientamento e decarbonizzazione del dispositivo industriale italiano della multinazionale, che conta cinque siti.

    Le sfide europee: resilienza, indipendenza e digitalizzazione
    A livello comunitario, la sfida non è solo tecnica, ma anche politica. Dopo anni in cui le strategie hanno puntato principalmente sulla produzione di energia rinnovabile, la Commissione Ue ha iniziato a riconoscere la necessità di rafforzare le reti elettriche. Questo perché una rete fragile può compromettere l’intero sistema, anche se la produzione da fonti rinnovabili è in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione. “Resilienza delle reti, indipendenza energetica e transizione digitale sono temi interconnessi, e il digitale è lo strumento che permette di affrontarli in modo sostenibile, economico e scalabile”, spiega la manager. “Tecnologie come One Digital Grid o le infrastrutture per i data center per l’IA sono esempi concreti di come l’intelligenza artificiale possa supportare una rete più stabile, flessibile e ottimizzata”.

    La strada delle partnership
    “Il blackout che ha colpito la Penisola iberica ha evidenziato ancora di più l’importanza di pianificare la generazione di elettricità e la difficoltà di bilanciare la rete, un aspetto – quest’ultimo – particolarmente delicato quando si tratta di gestire l’energia rinnovabile, che per sua natura è intermittente”, aggiunge la manager. La quale sottolinea che lungo le frontiere dell’innovazione è fondamentale riuscire a stabilire delle partnership con realtà d’eccellenza nei rispettivi settori, in modo da trovare soluzioni innovative. In questa direzione Schneider Electric si muove anche in Italia. È il caso di A2A, che ha adottato una piattaforma digitale per la gestione della rete elettrica e, in collaborazione con Schneider, ha realizzato le prime cabine elettriche digitali underground, un’innovazione che permette di aumentare la capacità della rete in contesti urbani senza occupare spazio in superficie.

    Con Terna, il gestore della rete ad alta tensione, Schneider lavora invece su tecnologie di monitoraggio per garantire la qualità dell’energia erogata e la tenuta della rete in situazioni critiche. Anche Enel è tra i partner strategici: le due aziende collaborano per sviluppare software di ottimizzazione energetica, capaci di bilanciare in tempo reale produzione e consumo su una rete sempre più decentrata e alimentata da fonti intermittenti. “Un approccio al lavoro che abbiamo seguito anche quando si è trattato di siglare accordi con altri operatori italiani come Unareti, A2A ed Edyna, società che distribuisce l’energia in Alto Adige”, aggiunge.

    Il ruolo dell’Italia tra ricerca e produzione
    La multinazionale, reduce dal riconoscimento “World Most Sustainable Corporation 2025”, assegnato da Corporate Knights (è l’unica azienda nella storia ad ottenere il primo posto per la seconda volta) ha in Italia non solo cinque stabilimenti produttivi, ma otto uffici commerciali e quattro innovation hub, con quelli di Casalecchio di Reno (Bologna), Casavatore (Napoli) e Pieve d’Alpago (Belluno) che si affiancano alla struttura di Stezzano. Oltre a un centro logistico integrato a Venaria e un centro di eccellenza per tecnologie di illuminazione d’emergenza a Pieve di Cento (Bologna). “Siamo presenti in Italia dall’inizio del secolo scorso, ci piace ricordare, avendo dato continuità alle attività di aziende storiche dell’elettrotecnica italiana. Qui produciamo non solo per l’Italia ma anche, come nel caso dei quadri Airset di nuova generazione, per Spagna e Portogallo. Abbiamo scelto di ubicare in Italia alcuni centri di eccellenza, proprio a riconoscimento della competenza tecnica dei nostri specialisti”, conclude. LEGGI TUTTO

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    Nelle mense si gettano via 38mila tonnellate di cibo all’anno. Una startup previene lo spreco

    Cinquanta grammi di cibo sembrano pochi, quando restano nel piatto di chi va a pranzo in mensa e senza pensarci vi lascia degli avanzi: un panino non mangiato, un secondo appena assaggiato. Ma se si moltiplica quell’esigua quantità per il numero di italiani che ogni giorno mangiano a mensa, i numeri sono impressionanti. Si tratta di 38mila tonnellate di cibo sprecato ogni anno (fonte: Oricon, Osservatorio Ristorazione Collettiva e Nutrizione). Per questo la startup Behavix – insediata nel Polo Tecnologico di Trentino Sviluppo a Trento – ha studiato una soluzione innovativa che mira a comprendere a fondo i motivi per cui gli utenti non consumano tutto il cibo, cercando di aiutare a risolvere il problema alla radice, prima ancora che altre aziende si occupino di ridistribuire o riutilizzare tutto quel cibo avanzato.

    Il sondaggio

    Dal frigo alla tavola, ecco come sprechiamo il cibo e cosa fare per evitarlo

    di Paolo Travisi

    04 Giugno 2025

    Il cuore del progetto è un software, supportato da una web app, con cui vengono profilati gli utenti delle mense e somministrati questionari interattivi. I dati raccolti vengono elaborati da un algoritmo di intelligenza artificiale capace di individuare correlazioni tra abitudini, preferenze e contesto ambientale. Attraverso questa analisi, il sistema fornisce indicazioni pratiche alle aziende di ristorazione per intervenire sulle cause dello spreco, spesso legate non solo alla qualità del cibo, ma anche a fattori come stress, tempi ristretti e clima organizzativo.

    La startup che riduce lo spreco nelle mense
    L’esigenza nasce dall’esperienza personale di Massimiliano Carraro – ingegnere ambientale – che nel 2023 lavorava per una grande azienda e accorgendosi di quanto cibo veniva lasciato alla fine del pasto nei vassoi della mensa, si è messo d’accordo con il personale della ristorazione per misurarli, constatando che gli utenti sprecavano ogni giorno una quantità considerevole a testa. Per questo, quando ha incontrato Stefania Malfatti – economista comportamentale appassionata d’innovazione – è nata l’idea di unire le rispettive competenze per fondare Behavix, startup che sfrutta intelligenza artificiale e analisi comportamentale per capire più a fondo i motivi per cui gli utenti gettano via cibo perfettamente commestibile.

    Massimiliano Carraro e Stefania Malfatti, co-founder di Behavix  LEGGI TUTTO