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    Biocatrame, da rifiuto tossico a fonte di energia pulita

    È un residuo “scomodo” derivante dal processo di riscaldamento della biomassa – legno, residui colturali e altre materie organiche – per la produzione di energia: si chiama bio-tar, o biocatrame, e si tratta di un sottoprodotto appiccicoso e tossico che ostruisce facilmente le condutture, danneggia le attrezzature e inquina l’atmosfera. Per decenni i ricercatori hanno cercato modi per neutralizzarlo o eliminarlo, e oggi forse ci sono riusciti: un gruppo di scienziati della Chinese Academy of Agricultural Science sostiene infatti di aver finalmente ideato un nuovo approccio non solo per sbarazzarsene, ma per trasformarlo in risorsa. In un articolo pubblicato sulla rivista Biochar, gli esperti cinesi hanno infatti illustrato un metodo per trasformare il biocatrame in “biocarbonio”, un materiale che potrebbe trovare applicazioni nel settore della purificazione dell’acqua e dello stoccaggio di energia.

    “Il nostro lavoro” ha spiegato Zonglu Yao, uno degli autori della ricerca appena pubblicata, “mostra che la trasformazione del biocatrame in biocarbonio non solo risolva un problema tecnico per l’industria bioenergetica, ma apra le porte alla produzione di materiali carboniosi avanzati con elevato valore economico”.

    Nel loro lavoro, gli scienziati hanno esaminato attentamente le reazioni chimiche e i componenti del biocatrame, in particolare quelli ricchi di ossigeno come carbonili e furani: si tratta di sostanze che promuovono naturalmente la polimerizzazione, il processo in cui molecole piccole si legano tra loro per formare strutture più grandi e stabili. L’analisi ha mostrato che regolando attentamente temperatura, tempo di reazione e additivi è possibile “trasformare” il biocatrame in biocarbonio con proprietà personalizzate, in particolare elevato contenuto di carbonio, basso contenuto di ceneri e altre caratteristiche strutturali che lo rendono particolarmente adatto al riutilizzo in altri ambiti.

    Secondo i ricercatori, il biocarbonio così ottenuto potrebbe fungere da base per assorbenti per la purificazione di acqua e aria, intrappolando nutrienti pesanti e contaminanti organici, ma anche da materiale per elettrodi per supercondensatori di nuova generazione (essenziali per l’accumulo di energia rinnovabile) e per catalizzatori che accelerano le reazioni chimiche industriali in modo più sostenibile rispetto alle opzioni “tradizionali” basate sui combustibili fossili. Infine, ultimo ma non meno importante, il biocarbonio potrebbe essere usato anche per la realizzazione di combustibili con minori emissioni di ossidi di azoto e di zolfo e di altre sostanze nocive.

    A fare da contraltare a queste promesse, però, restano ancora da risolvere diverse sfide e complessità scientifiche e tecnologiche. Il processo suggerito per la conversione del biocatrame e per il controllo completo del processo di polimerizzazione richiede un’alta precisione e al momento ancora non è possibile pensare a una sua estensione su larga scala: a questo proposito, gli autori del lavoro hanno in mente, come prossima fase della ricerca, di combinare nuovi esperimenti di laboratorio con simulazioni computerizzate per ottimizzare i percorsi di reazione e progettare biocarbonio con funzioni più specifiche.

    “La polimerizzazione del biocatrame”, ha concluso Yuxan Sun, un altro ricercatore coinvolto nello studio, corroborando quanto affermato del suo co-autore, “non ha solo a che fare con il trattamento di questa sostanza di scarto, ma rappresenta anche una nuova frontiera per la creazione di nuovi materiali sostenibili a base di carbonio. Speriamo che con ulteriori ricerche questo approccio possa migliorare significativamente l’efficienza dei sistemi energetici a biomassa, fornendo al contempo nuovi strumenti per la tutela ambientale e per le tecnologie pulite”. LEGGI TUTTO

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    Daniel Gros: “Non saranno i dazi di Trump a fermare la globalizzazione”

    LUCCA – “La globalizzazione è finita?”. “No.”, risponde secco il professor Daniel Gros sul palco della Sala Tobino di Palazzo Ducale ospite, con Marianna D’Aprile, del Pianeta Terra Festival di Lucca, un incontro a cura di Sofidel. E sgombra subito il campo dai dubbi: “Non lo ha fatto la Brexit e non lo farà Donald Trump: la globalizzazione non si fermerà. Perché conviene. Alla fine si torna sempre a scambiare le merci e le idee per guadagnare in efficienza e vivere tutti un po’ meglio”.

    L’economista tedesco dirige l’Institute for European Policymaking dell’Università Bocconi di Milano ed è consulente del Parlamento europeo. Ha lavorato presso il Fondo Monetario Internazionale e si può dire che ha visto nascere l’Euro, come consulente del Comitato Delors, che introdusse la moneta unica in circolazione dal 2002.

    Nel 2001 ci fu il G8, ricorda Marianna D’Aprile al professore, sul palco per spiegare gli effetti e la vitalità della globalizzazione in un contesto geopolitico ed economico profondamente mutato. Allora i No Global misero a ferro e fuoco Genova per protestare contro un nemico. Oggi la globalizzazione non lo è più? “In realtà non si sapeva bene cosa sarebbe accaduto. Le grandi multinazionali non erano quelle di oggi. Il mondo non ha mai uno sviluppo lineare.”, spiega Gros – “Guardando indietro, abbiamo avuto venti anni di cambiamenti tutto sommato lenti, ad eccezione della Cina, che ha visto una crescita esponenziale, diventando in poco tempo una potenza economica pari alla somma di Stati Uniti ed Europa”.

    Il racconto

    Paolo Giordano: “Noi, nel tempo delle crisi”

    dalla nostra inviata Gaia Scorza Barcellona

    04 Ottobre 2025

    Poi, ci siamo accorti che il mondo stava cambiando davvero, tra guerre commerciali, dazi americani e sovranismi. Ma qual è il meccanismo che ci ha portato a questo? Il consumismo è la leva principale. “I giganti Tech di oggi, ad esempio, lo sono diventati perché ciascuno di noi li usa. È su questo ‘egoismo’ individuale che si basa il successo di pochi”. Facebook si è fatto largo senza lasciare posto a nessun altro social network, fino a diventare Meta e ad assorbire i “nani” come Whatsapp e Instagram. Lo stesso vale per il monopolio di Google. Ma avrebbero potuto essere altre aziende, e comunque non sappiamo quanto ancora durerà questa ribalta. Sostanzialmente, la ricetta del successo globale di Mark Zuckerberg, come quello di altri nati e cresciuti a dismisura nella Silicon Valley, si basa su un ingrediente fondamentale: il tempismo.

    Quello che spaventa ora, però, è che questi Big Tech con i loro investimenti siedono a cena con Donald Trump. Quanto incide la finanza sulla politica? La domanda sarà anche ingenua ma porta dritta alla questione dei dazi imposti dal presidente tycoon, in un quadro geopolitico sempre più offuscato dai conflitti permanenti e in continua trasformazione.
    La strategia dei dazi di Trump? Un autogol
    L’ultimo annuncio di Trump interessa la pasta, bene primario del paniere nostrano sul quale calerà la mannaia americana del 106,67%. Ma che effetto hanno avuto finora i dazi e cosa dobbiamo aspettarci? “Trump sarà anche un peso massimo negli Usa e avrà anche un ruolo cruciale nella guerra in Ucraina”, ma per quanto riguarda i dazi, Gros non ha dubbi: “Possiamo ignorarlo. Perché non è con i dazi che incide sulla bilancia dei commerci internazionali. Certo, potrà accadere forse negli States, perché i prezzi aumentano sulle produzioni ormai dismesse da anni (come l’automobile, ndr). Ma per tutti gli altri Paesi dobbiamo calcolare una media effettiva del 10-15%, mentre per la Cina tocca il 60%. Se pensiamo alle auto cinesi esportate in America, allora sì: questo può avere un impatto”.

    Quanto alla tassa sul grano duro che spaventa gli italiani, stando a Gros non va considerata più di uno spauracchio che rientra nella strategia trumpiana per restare ben saldo al centro dell’attenzione globale. “Nei dazi, in realtà, vedo più opportunità che pericoli per noi”, insiste il professore rimandando alla questione mediatica. Perché tutto sommato mass media e istituzioni fanno il suo gioco, amplificano la sua strategia, anche solo trasmettendo i rischi collegati a una misura economica che sembra a tutti gli effetti adottata “contro tutti”. Così l’opinione pubblica tende a percepire un danno prima ancora di averlo subito. “Se invece vedessimo nei dazi il potenziale danno al Paese di origine, il punto di vista economico cambierebbe radicalmente. Trump ha dato forma a questa follia, ma nessuno ha intenzione di imitarlo nel mondo. Basta non seguire l’esempio e attendere. Penso che prima o poi ci andrà a perdere”.

    Il dibattito

    “L’instabilità del Mediterraneo coincide con l’emergenza ambientale”

    dalla nostra inviata Gaia Scorza Barcellona

    04 Ottobre 2025

    Nella bilancia commerciale l’Europa può stare (quasi) tranquilla. “Cifre alla mano, paghiamo già per i servizi, anche se con flussi finanziari opachi. L’unico deficit reale che abbiamo nei confronti dell’America è sulla proprietà intellettuale. Va considerato anche che si tratta di un Paese con una lunga tradizione di isolazionismo economico, che in parte può ancora permettersi. Per esempio, grazie all’indipendenza energetica”.

    “L’Europa? Non si sa vendere”
    “L’Europa – che un suo peso politico ma non lo sa vendere – poteva svegliarsi prima, certo, ma almeno possiamo dire che non ha commesso gli errori di Trump. Il motivo è che la crescita economica è legata agli interessi degli Stati membri, che hanno sempre una visione a breve termine. Sulla geopolitica posso dire che l’Ue viene molto sottovalutata, perché è una forza in grado di mantenere un mercato aperto, soprattutto rispetto alla Cina. Mentre la guerra in Ucraina sarà determinante per il futuro dell’Europa che si gioca tanto, avendo fatto quanto l’America per gli aiuti economici, e che quindi continua a pagare”.

    E i sovranismi che spaccano l’Ue? “L’economia insegna appunto, che ciascuno fa i propri interessi. Questi possono convergere in caso di crisi. Dal punto di vista economico più che di crisi parlerei del famoso piano inclinato. La crisi del 2012 ha dimostrato che i Paesi sanno muoversi assieme quando serve. Gli ostacoli sono a livello nazionale ed è lì che bisogna convincere gli Stati come il loro interesse possa convergere con quello comune, perché conviene a tutti”. LEGGI TUTTO

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    Il wc che funziona senza acqua, grazie ai funghi

    Non chiamiamolo più semplicemente, fungo. Il mondo della ricerca internazionale ha scoperto che questo organismo vivente, in particolare il micelio, l’apparato vegetativo dei funghi, può essere trasformato in diverse applicazioni innovative e sostenibili. Questo perché le sue proprie uniche, gli consentono di crescere autonomamente, degradare materiali complessi e formare strutture reticolari, che lo rendono un oggetto di studio e un biomateriale sostenibile molto promettente. Di più, la sua funzione naturale di decompositore è stata studiata anche per la gestione e il trattamento dei rifiuti: in particolare come acceleratore nella scomposizione di rifiuti organici, inclusi quelli fisiologici umani. È il caso di MycoToilet, un wc in grado di funzionare senza acqua. Il primo prototipo al mondo.

    Ricerca

    Un nuovo materiale per padelle antiaderenti senza Pfas

    di Mara Magistroni

    26 Settembre 2025

    Questa ricerca ci porta alla University of British Columbia negli Stati Uniti dove è stato sviluppato un prototipo di water che tramite il micelio può trasformare i rifiuti umani in compost ricco di nutrienti. “Volevamo trasformare una routine quotidiana che tutti conoscono in un’esperienza piacevole che ci ricordasse la nostra connessione con i cicli ecologici,” ha detto Joseph Dahmen, professore associato presso la scuola di architettura e architettura del paesaggio dell’ateneo americano. “I bagni a compostaggio spesso portano associazioni negative. Il nostro obiettivo era creare un sistema che fosse pulito, confortevole e facile da usare”. In effetti i bagni chimici, spesso usati durante i grandi eventi all’aperto, come i concerti o in aree dove non è stata costruita la rete fognaria, sono certamente indispensabili, ma poco gradevoli da utilizzare.

    Invece MycoToilet è stato ideato per essere ecologico, ed esteticamente piacevole. La struttura di sostegno e che ospita il water al suo interno è fatta in legno color naturale, la ventilazione è integrata da una ventola a bassa potenza ed il design è stato concepito per essere modulare. La grande innovazione di questo bagno portatile è che a differenza dei bagni chimici convenzionali – che contengono formaldeide e altre sostanze chimiche da trattare come rifiuti tossici – il MycoToilet offre un’alternativa sicura ed ecologica. Tornando alla struttura, il tetto color verde ospita piante e animali selvatici locali e si mimetizza perfettamente, mentre l’illuminazione proviene dai lucernari; una rampa consente anche alle persone con disabilità di avere accesso ed utilizzare il bagno. Infine, la struttura in legno di cedro, assorbe gli odori tipici dei bagni chimici ed evita la putrefazione.

    Ma come funziona questo prototipo che attualmente si trova nell’Orto Botanico del campus? Sul retro, un sistema separa i rifiuti liquidi dai rifiuti solidi: quelli solidi entrano in uno scomparto rivestito di micelio, dove i funghi assorbono gli odori e i microbi li scompongono in compost. La decomposizione di agenti patogeni nocivi tramite micelio richiede circa la metà del tempo rispetto alle toilette a compostaggio tradizionali, con un consumo energetico minimo. Una peculiarità non da poco, visto che a livello planetario i rifiuti umani non trattati sono una delle principali cause di malattia e mortalità tra i 2,3 miliardi di persone che non hanno accesso a servizi igienici adeguati. I ricercatori americani hanno svolto un lavoro importante, anche in quella direzione, visto che gli attuali approcci al trattamento dei rifiuti sono o ad alta intensità energetica e consumo di acqua o come nel caso dei bagni chimici, riducono sostanze chimiche tossiche che creano problemi di smaltimento.

    Inquinamento

    Sheyna, a 14 anni crea un gel che elimina oltre il 90% delle microplastiche nell’acqua

    di Gabriella Rocco

    01 Ottobre 2025

    I funghi sono molto efficaci nella scomposizione della biomassa, inclusi i rifiuti umani e animali, perché producono enzimi che trasformano il materiale in composti più semplici sostenendo al contempo le comunità microbiche che accelerano la decomposizione. Inoltre dai test svolti in laboratorio è emerso che il micelio rimuove oltre il 90% dei composti che causano cattivi odori. A fine settembre è iniziata la fase pilota di MycoToilet che per sei settimane metterà alla prova il sistema con utenti reali monitorando la trasformazione del micelio. Quando diventerà pienamente operativo, si prevede che sarà in grado di produrre circa 600 litri di terriccio e 2.000 litri di fertilizzante liquido all’anno.

    Insomma, gli inventori di questo bagno ecologico sono convinti che MycoToilet potrebbe fornire una soluzione autonoma ed economica per la gestione dei rifiuti non solo in habitat naturali, come i parchi, nei campi profughi, in caso di calamità naturali e in altre zone prive di infrastrutture per il trattamento dell’acqua e dei rifiuti, come comunità remote o regioni in via di sviluppo. LEGGI TUTTO

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    “La Terra in fiamme” di Sunil Amrith è la nostra storia

    LUCCA – Sunil Amrith, 46 anni, è nato in Kenya da genitori indiani e cresciuto a Singapore, viaggiando tra India e Sud-est Asiatico. Ha studiato all’Università di Cambridge e ora insegna storia a Yale. Il suo ultimo libro, La Terra in fiamme (Laterza, 2025) racchiude 500 anni di storia dell’umanità intrecciata a quella dell’ambiente. La sua lecture all’Auditorium del Suffragio nella cornice del Pianeta Terra Festival di Lucca ha illuminato la platea.

    Il racconto

    Paolo Giordano: “Noi, nel tempo delle crisi”

    04 Ottobre 2025

    “Nel 2012 ho cominciato a scrivere questo libro a Bangkok, senza saperlo. Mi hanno sempre appassionato i mix culturali e le città portuali, ma quella sera ho avuto un’illuminazione. C’era appena stata la peggiore alluvione nella storia della città, eppure passeggiando sul fiume non ne trovavo alcuna traccia. Vedevo solo, grattacielo dopo grattacielo, che la vita aveva ripreso come se niente fosse. Mi sono chiesto, resilienza o negazione? Il mio libro è nato così”.

    Due le pietre miliari che danno il via al racconto. “Il 1217, quando viene redatta la Carta della Foresta per ristabilire il diritto d’uso dei boschi restituito ai cittadini”, dopo che Guglielmo il Conquistatore e li aveva fatti suoi. “Ai tempi della Magna Carta viene così affermato un diritto comune, aprendo però a possibili recriminazioni della proprietà di una porzione della foresta da parte dei singoli. Non è certo un documento di difesa dell’ambiente, quanto l’attestazione che l’umanità ne ha bisogno per sopravvivere”, ricostruisce Amrith.

    “Ne troviamo conferma molti anni dopo, nel 2001 nella Carta della Terra – la seconda data – presentata da Michail Gorbacëv in un momento critico, quando l’umanità comincia a fare i conti con l’estinzione delle specie e la riduzione delle risorse”. In questo arco di tempo si svolge la storia che Amrith definisce “oblio”: “Credete che il prosperare dell’umanità dipenda da acqua, natura, specie? Diremmo di sì, eppure l’uomo non ne ha tenuto conto per anni e anni nei documenti ufficiali, una sorta di pensiero magico”. LEGGI TUTTO

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    Paolo Giordano: “Noi, nel tempo delle crisi”

    LUCCA – Verrebbe facile definire Paolo Giordano un inviato nelle zone di crisi. Ma non è così, lui stesso tiene a specificare: “‘Mi interessa andare nei posti per comprendere la mia mutata percezione degli eventi. A differenza di un giornalista inviato, io vado per capire me stesso”.

    La verità sulle guerre
    Dietro ai suoi reportage dall’Ucraina c’è tutta l’urgenza di comprendere meglio il mondo là dove qualcosa si è spezzato. Nella Chiesa di San Francesco, ospite a Lucca del Pianeta Terra Festival dedicato quest’anno ai “Sistemi instabili”, Paolo Giordano ha scelto di raccontare la sua inclinazione per il tragico, l’incombente. Sulla instabilità Giordano, che dal Covid-19 (narrato nel saggio Nel Contagio, Einaudi, 2020) fino ai territori occupati di Gaza raggiunti un mese e mezzo dopo il massacro del 7 ottobre 2023, come scrittore ha dato voce alle crisi più buie degli ultimi anni, ha molto da raccontare.

    Giordano è autore di diversi romanzi, tra cui La solitudine dei numeri primi (Mondadori, 2016) e il più recente Tasmania (Einaudi, 2022). “In alcuni scrittori c’è una ricerca del dolore.”, – spiega dal palco dialogando con Stefano Catucci. – “Ma quel che accade più spesso nella vita di uno scrittore è che a un certo punto si ha bisogno di materiale umano, perché la scrittura è un’attività estremamente estrattiva. Il mio è stato un processo graduale, che mi ha portato a guardare fuori, perdendo via via interesse nella mia biografia per andare lontano. Poi, c’è da considerare un altro aspetto legato al presente, ossia quel giornalismo diffuso che negli ultimi dieci anni abbiamo scoperto non essere più affidabile e sufficiente. D’altra parte, il livello di pervasività che è stato raggiunto dalle tecnologie portabili ci obbliga a un bisogno profondo di verificare quanto di questa realtà che abbiamo sempre in tasca sia vero. E oggi, con due guerre così lunghe e complesse, siamo obbligati a riscoprire la testimonianza autorevole, diretta, per poter capire meglio i fatti. Da questa distanza tra il reale e la sua rappresentazione è nato il mio bisogno di andare, di disintermediare”. Oggi Gaza ha reso questa urgenza una necessità ineludibile.

    Lo scrittore con Stefano Catucci nella chiesa di San Francesco di Lucca  LEGGI TUTTO

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    L’ecofestival dei Tazenda. “Madre Terra, il nostro manifesto d’amore per il Pianeta”

    Cantare la terra, la propria. Pochi gruppi musicali ci sono riusciti come hanno fatto i Tazenda con la Sardegna, portando sui maggiori palcoscenici italiani e internazionali l’identità di una regione solo apparentemente chiusa in se stessa. Tradizioni, popoli, miti ma anche il respiro, i suoni e i profumi dell’isola felice sono entrati nelle loro canzoni. Da qualche anno i Tazenda – Gino Marielli, Gigi Camedda e Serena Carta Mantilla – hanno deciso che non era più sufficiente solo celebrare la Sardegna ed hanno iniziato a tutelarla e ad invitare tutti a rispettarla. Come? Dando vita, sono alla seconda edizione, all’Ecofestival un evento itinerante di musica e tanto green. LEGGI TUTTO

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    Cristina Casali: “Organizzo avventure accessibili perché il turismo sostenibile sia senza barriere”

    Mancanza di informazioni chiare e verificate sull’accessibilità, difficoltà a trovare mete e strutture inclusive, paura di affrontare un viaggio senza supporto: per le persone con disabilità viaggiare spesso è un ostacolo e un privilegio. Da una nuova startup arriva un messaggio culturale e sociale: l’inclusione è possibile anche quando si parla di turismo sostenibile, stiamo parlando di Avventure Accessibili che contribuisce ad un cambio di passo, mettendo al centro le persone, migliorando la qualità dell’esperienza turistica e sensibilizzando il settore a diventare più efficiente, innovativo e responsabile.

    Cristina Casali, fondatrice della startup “Avventure accessibili”  LEGGI TUTTO

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    Olio esausto, come smaltirlo nel modo giusto

    Viene impiegato per friggere le patate, per conservare il tonno o i carciofini, per realizzare i prodotti di bellezza. È l’olio che, una volta esausto, diventa uno dei rifiuti domestici più inquinanti.

    Secondo il Consorzio nazionale raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti (Conoe), in Italia si producono circa 260mila tonnellate di olio alimentare usato all’anno, delle quali circa i due terzi provengono da abitazioni private e meno del 10% viene recuperato. Dati, questi, confermati da quelli recentemente forniti dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), secondo i quali la media raccolta a livello domestico sarebbe di 0,24 litri per abitante.

    Gli errori più comuni
    Diffusa, e del tutto errata, l’abitudine di buttare nel lavandino o nel wc questo rifiuto, che non si degrada e inquina le acque. Come afferma il ministero dell’Ambiente, “basta, infatti, un solo litro d’olio usato per contaminare un milione di litri d’acqua”. Senza contare che questo liquido può ostruire le tubature e persino compromettere il funzionamento degli impianti di depurazione.

    Sbagliato anche asciugare l’olio con carta assorbente e gettarlo nell’indifferenziata o nell’umido oppure lasciarlo nel vasetto e gettare entrambi nel contenitore del vetro.

    Sarebbero da evitare anche i prodotti per la solidificazione dell’olio, come Fry Away, che contengono sostanze chimiche in scaglie. Una soluzione comoda, ma non certo ecologica, dato che il tutto va a finire nel bidone dell’indifferenziata.

    I vantaggi del riciclo
    In realtà l’olio esausto, se raccolto e smaltito correttamente, può essere rigenerato e trasformato in nuove risorse con benefici ambientali ed economici. Può anzitutto essere utilizzato per produrre biodiesel, un carburante rinnovabile in grado di sostituire quelli di origine fossile. Ma può anche essere impiegato per realizzare, per esempio, biolubrificanti, saponi e detergenti, cosmetici, inchiostri, grassi per la concia, cere per auto.

    Secondo il Conoe, se ogni anno in Italia tutti gli oli vegetali esausti venissero trasformati in biodiesel, si eviterebbe l’emissione di circa 790mila tonnellate di anidride carbonica e si risparmierebbero circa 282mila metri cubi di acqua.

    Pochi passaggi fanno la differenza
    Per fare in modo che questi importanti vantaggi si concretizzino basta effettuare una corretta raccolta domestica dell’olio usato. Anzitutto occorre, qualora fosse necessario, lasciarlo raffreddare. Quindi versarlo, con l’aiuto di un imbuto, in una bottiglia di plastica pulita, come quelle dell’acqua o dei succhi di frutta, che non si rompono. Infine, dopo avere chiuso bene il tappo, bisogna conferire la bottiglia, una volta piena, negli appositi centri di raccolta presenti nel proprio Comune.

    Più punti di raccolta e più informazione
    Per fare il punto su questo tema e proporre eventuali soluzioni, nel giugno del 2025 Altroconsumo ha condotto un’indagine su dieci Comuni. I più virtuosi sono risultati quelli di Torino e Genova, che hanno installato più punti di raccolta dedicati sul territorio. Bene anche le amministrazioni comunali di Roma, con punti di raccolta nelle scuole, di Milano nei supermercati e mercati comunali o di Bari nelle parrocchie. Iniziative lodevoli, che però, secondo l’analisi, restano pratiche isolate.

    “Dalla nostra ricerca è emerso che uno dei principali ostacoli al corretto conferimento dell’olio usato è proprio l’inaccessibilità dei punti di raccolta, pochi e spesso lontani da casa”, sostengono gli esperti dell’associazione. “Per superare questa criticità, è necessaria l’introduzione a livello nazionale di standard minimi che tutti i Comuni sono obbligati a rispettare. Importante anche puntare di più sull’informazione, realizzando campagne di sensibilizzazione e comunicazione rivolte ai cittadini”. LEGGI TUTTO