L’avvocato degli animali si chiama Giada Bernardi e con gli animali ha sempre avuto, in fondo, un rapporto privilegiato. “Sì, mia mamma mi racconta sempre che a sei mesi ero in grado di riprodurre tutti i versi. – racconta – Un destino, il mio, segnato dalla nascita: nella mia famiglia ci sono sempre stati animali: cani, tartarughe, gatti, pesci, criceti. Piccoli e grandi amici, compagni del percorso di vita compiuto dalla bambina, dall’adolescente, dalla ragazza e dalla donna che nel corso degli anni sono diventata”.
Oggi che li difende – tutti, indistintamente – Giada Bernardi è diventata un simbolo, su scala nazionale. “Chiariamo subito una cosa. – dice – Sono un avvocato proprio come gli altri, con tanto di laurea in giurisprudenza e di esame di stato superato, ma i miei clienti non sono né persone che divorziano, né vittime di incidenti stradali, né società che devono rimettere insieme i cocci, né lavoratori insoddisfatti. Hanno peli e piume invece che abiti, zoccoli e cuscinetti al posto delle scarpe, zampe, ali e pinne come braccia. Ecco, io difendo gli animali come fossero persone in un Paese che ancora troppo spesso li considera come cose”.
E L’avvocato degli animali è anche il titolo del libro, appassionato, che ha appena pubblicato con Edizioni Le Lucerne: parla – tra l’altro – di affidi, separazioni, contenziosi contro allevatori e pensioni, denunce per maltrattamenti e canili lager, ma anche di campagne per la salvaguardia della fauna selvatica. Lei, già fondatrice di “GiustiziAnimale”, studio legale votato alla difesa degli animali e colonna dell’organizzazione di volontariato “Zampe che danno una mano Odv”, che si prodiga per la protezione e il benessere animale, ha deciso anche di diventare divulgatrice.
Quando ha capito che la sua passione per gli animali poteva intrecciarsi con il suo percorso professionale?
“Molto presto, a dire il vero. A 12 anni, figlia di medico, mi imbattei in una cagnetta nera imprigionata, con quattro piccoli. ‘Un giorno – mi ripromisi – farò qualcosa per quelli come te’.Avrei voluto fare veterinaria, ma mi frenava il mio innato terrore per gli aghi. Ho scelto giurisprudenza, e compreso presto che tutelare i diritti degli animali poteva aprire un mondo”.
Quando fece la sua prima denuncia per maltrattamento di animale?
“Nel 1997, quando ero ancora praticante e l’art. 544 ter del Codice Penale – la norma che oggi punisce chi commette questo reato – non era ancora nemmeno una fantasia. All’inizio nei Tribunali accadeva spesso che facessero spallucce, dicendomi che ‘in fin dei conti è solo un animale’. Ecco, l’idea che l’animale debba essere tutelato in modo diretto è, in fondo, una conquista di questi anni. E c’è ancora tanto da fare, in particolare per l’inasprimento delle pene”.
Ci racconta qualche caso che l’ha particolarmente segnata?
“Uno degli ultimi: l’uccisione di un cane meticcio, Giacomo, di 17 anni, a Santa Teresa di Gallura. Un cane sordo, cieco, anziano, ucciso dal vicino della proprietaria, che si appellava alla legittima difesa. Il tribunale di Tempio Pausania l’ha condannato a quattro mesi di carcere: un buon segnale, in una regione – la Sardegna – dove gli animali sono spesso protagonisti di storie controverse. All’appello, la Procura ha chiesto l’assoluzione: io ho fatto fuoco e fiamme, opponendomi”.
Conferma che esiste una sensibilità crescente nell’ambito del benessere degli animali che mangiamo?
“Non mi sono mai occupata di allevamenti intensivi, ho però sensibilizzato con forza contro il consumo della carne di cavallo, che è fortunatamente in calo. E mi sono occupata del maltrattamento, da parte del gestore di un ristorante, di astici vivi costretti, con le chele legate, a stare sul ghiaccio. Con una serie di sentenze di condanna, abbiamo infranto un tabù: anche i crostacei avverto il dolore. E sa una cosa?”.
Prego, cosa?
“Molto spesso sono i diretti interessati, involontariamente, ad autodenunciarsi, postando sui social episodi di maltrattamento, per goliardia o perché non si ha percezione di quel che si fa”.
Come nel caso della pescivendola di TikTok, vera e propria influencer, che “giocava” con polpi e aragoste.
“Esattamente. C’è una questione legata alla noia, all’esibizionismo, persino alla tendenza a pubblicizzare episodi cruenti, soprattutto in età adolescenziale”.
Nel suo libro, parla anche di abbattimenti selettivi di orsi e lupi, in sostanza condannandoli.
“Dico soprattutto due cose: che anche gli orsi problematici hanno diritto a processi e che l’abbattimento indiscriminato di esemplari a caso di un branco può portare a problematiche decuplicate rispetto a quelle che con un provvedimento capestro si cerca di risolvere”.
Sarà in aula, con la sua associazione, nel processo contro il cittadino abruzzese che ha ucciso l’orso Amarena in Abruzzo. Che posizione ha?
“Amarena non era un’orsa qualsiasi: era un’icona, un’ambasciatrice della bellezza e della vulnerabilità della natura selvaggia. La sua presenza, spesso accompagnata dai suoi piccoli, era un’emozione per chiunque avesse la fortuna di incontrarla, un segno tangibile di una coesistenza possibile. L’uomo che ha ammesso di averle sparato ha dichiarato di aver agito per paura, sostenendo di averla trovata nel suo giardino. Ma l’orsa era di spalle e non posizione di attacco: resta un atto di inaudita violenza e un grave danno per la conservazione di una specie a forte rischio di estinzione. La morte di Amarena ha sollevato interrogativi cruciali sulla gestione della fauna selvatica, sulla necessità di una maggiore informazione e sensibilizzazione della popolazione locale e sull’efficacia delle misure di prevenzione per evitare incontri pericolosi tra uomo e orso. Noi saremo in aula per gli animali. Per cambiare”.
Uno dei temi che affronta nel libro è la detenzione in cattività di specie esotiche: spesso finisce male.
“Si tratta sovente di animali importanti di nascosto, attraverso viaggi pazzeschi. Mi è capitata la storia di un proprietario di un coccodrillo, che a un certo punto di accorse di non poterlo tenere più. In fondo, accade quasi sempre che si scelgano specie particolari per postare foto sui social. Bisogna intervenire a monte, sull’approccio culturale”.
Che considerazione ha per zoo e acquari?
“Non li amo, né ci ho mai portato mio figlio. Credo che gli animali debbano vivere nei loro habitat, e che in recinzioni e in gabbia sviluppino comportamenti stereotipati e diventino attrazioni. Capisco il ruolo che possono avere per la conservazione di alcune specie, e riconosco un miglioramento nella tutela del benessere degli animali, ma resto contraria”.
Tema cruciale è anche quello dei diritti degli animali nelle nostre città.
“Abbiamo spesso regolamenti comunali arretrati, penso ai parchi in cui è vietato l’ingresso ai cani e a metropoli in cui mancano le aree a loro dedicate. Ancora: alle spiagge di molte destinazioni turistiche che sono precluse ai nostri amici a quattro zampe, quando basterebbe destinarne alcune aree, naturalmente con regolamenti ad hoc. La strada da percorrere è ancora lunga”.
In giro per l’Italia, gli animali sono ancora molto spesso utilizzati per palii, sagre e manifestazioni religiose.
“Sì, troppo spesso tormentati in ragione di una spettacolarizzazione legata a tradizioni anacronistiche. Andrebbero sostituiti. Come vanno sostituiti nei circhi, in ottemperanza alla legge 106 del 2022: lì danno vita a spettacoli tristi e deprimenti, in attesa dei decreti attuativi c’è ancora una deroga per la loro eliminazione dagli spettacoli. Viviamo una fase di stallo, che dovrebbe dare la possibilità – entro fine anno – di trovare alternative valide, che riportino magari al circo anche tutti gli animalisti che oggi lo disdegnano”.
Parla anche, spesso, di cimiteri per cani e gatti.
“Credo sia un segnale di civiltà, che peraltro in America è già diffuso e che in Italia – penso a città come Milano, Torino e Roma – inizia a prendere piede. In molte famiglie, gli animali sono come un congiunto. E dove vige un divieto di seppellirli, l’illegalità si sfrega le mani: sa che ci sono strutture abusive che affittano spazi per seppellire cani e cani a fronte di canoni di locazioni annuali?”.
Quanto è importante continuare a battagliare per il “diritto degli animali”?
“Vede, Il diritto degli animali è un mosaico a cui ogni giorno si aggiunge un tassello estratto faticosamente da un groviglio di leggi, normative, ordinanze e decreti che per avere efficacia devono essere letti insieme tra di loro e che ancora oggi non sono adeguati ad approntare una tutela degna di tale nome. Rilevo però che l’Italia sta piano piano accettando l’idea che possa essere loro assegnata una personalità giuridica, anche se questo comporterebbe una serie di questioni a settori come allevamento e vendita, e una distinzione tra specie e specie. Vanno certamente cambiati prima cuore e testa, e poi le leggi. Ma rendere gli animali soggetti giuridici vuol dire anche ostacolare i tanti che ancora oggi maltrattano o li massacrano”.

