“Oggi 1 milione di specie sono a rischio estinzione: di queste, il 50% potrebbe scomparire entro la fine del secolo. Rischiamo di veder sparire specie che non abbiamo ancora scoperto. E i fattori alla base di questa debacle sono connessi tra loro e dipendono tutti dalle attività umane: perdita di habitat, crisi climatica, sovrasfruttamento, inquinamento e diffusione di specie aliene”. Valeria Barbi è una naturalista e giornalista ambientale: autrice di Che cos’è la biodiversità oggi (Edizioni Ambiente) e di WANE – We Are Nature Expedition, un reportage con cui ha documentato il rapporto uomo-natura lungo la Panamericana. “Mi inquieta – dice – che ci si abitui alla perdita di biodiversità quasi sia nel naturale stato delle cose assistere all’estinzione di una specie per colpa nostra. Non sappiamo, ad oggi, il numero di specie animali che popolano la Terra: circa 2,2 milioni sono quelle catalogate, ma potrebbero essercene miliardi, nelle profondità oceaniche o negli angoli remoti delle foreste pluviali. Dall’inizio di questa intervista, è possibile che una specie si sia estinta ancor prima di essere stata scoperta”.
Partiamo dalla crisi climatica.
“Gli effetti sulla biodiversità sono diffusi in ogni angolo del Pianeta: si traducono nella fisiologia di diverse specie – alcuni uccelli migratori diventano più piccoli e con ali più grandi – e nella rottura di connessioni spaziali e temporali tra specie diverse, per esempio tra insetti impollinatori e fioriture o fra predatori e prede . Ma si registrano anche variazioni negative sul successo riproduttivo”.
I temi
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Quali sono le specie più a rischio?
“Un numero importante riguarda gli endemismi terrestri: l’84% potrebbe scomparire entro il 2100. A rischio soprattutto specie d’alta quota come lo stambecco: ha sviluppato caratteristiche evolutive che gli consentono di resistere a temperature rigide, controproducenti nell’era del global warming. Tra le conseguenze, una maggiore attività di notte che lo rende più vulnerabile alla predazione del lupo, e la riduzione dell’habitat – che potrebbe dimezzarsi entro il 2100 – con la necessità di spostarsi a quote sempre più alte, dove il foraggio ha minore qualità, il che influenza negativamente le cucciolate”.
Il tema del sovrasfruttamento è sempre attuale, in particolare con la pesca.
“Un terzo delle specie conosciute di squali e razze sono sull’orlo dell’estinzione: di alcune ci nutriamo, spesso inconsapevolmente. Oggi la criticità non è nella pesca artigianale delle piccole comunità ma nella pesca commerciale. La prima è anzi, se ben gestita, funzionale alla conservazione e alla definizione di aree marine protette: in Messico ho incontrato comunità di pescatori di squali che si sono trasformate in guide turistiche”.
Altro tema: come conciliare la tutela della biodiversità con l’overtourism?
“Alle Galapagos ho trovato un paradiso preso d’assalto dai turisti. Oggi, complici i social, anche aree remote come l’arcipelago caro a Darwin rischiano l’assedio dei turisti. Il problema è ancor più sentito nei Paesi dove la popolazione vive in condizioni di fragilità sociale: per mantenere la famiglia si è disposti a dare in pasto il proprio patrimonio naturale al turismo di massa. La parola chiave, ovunque, è educazione: va cambiato il paradigma secondo cui sia un diritto vedere il giaguaro o l’orso, nei loro habitat. Il turismo va regolamentato, soprattutto nelle aree protette, e alcune zone devono restargli precluse. Un caso virtuoso? Nel parco nazionale Madidi, in Bolivia, le comunità native hanno dato vita a un’offerta di turismo sostenibile che sta aiutando a frenare deforestazione e bracconaggio”.
Si parla molto di convivenza con le specie selvatiche.
“Ci troveremo sempre più a condividere gli spazi con le specie selvatiche: ne abbiamo eroso i confini, abbiamo cementificato i loro habitat. Dobbiamo educarci alla presenza della fauna selvatica. Senza pregiudizi. E questo vale anche per i grandi carnivori, da sempre stigmatizzati, come il lupo. A proposito: in Europa il lupo preda 65 mila capi di bestiame l’anno su circa 279 milioni di animali allevati per il consumo umano. L’errore è che sia la politica ad occuparsi di scienza, strumentalizzando le questioni, incapace di visioni a lungo termine. Come nel caso del declassamento del lupo: un contentino per pochi, non la soluzione ideale. L’abbattimento selettivo delle specie è selettivo quasi sempre solo sulla carta”.