Che cosa hanno in comune il regista del “Signore degli Anelli”, un’antica comunità indigena maori e una società di biotecnologie e ingegneria genetica? Un sogno proibito, fortemente criticato e per molti impossibile da realizzare: riportare in vita il Moa gigante, un uccello alto 3,6 metri , pesante oltre 230 chilogrammi ed estinto circa 600 anni fa. Come fosse un suo film di fantascienza, il regista Peter Jackson ha deciso di finanziare, insieme al contributo del Canterbury Museum e il Ng?i Tahu Research Centre, una nuova missione di Colossal Biosciences, la società americana specializzata in “de-estinzione” e già nota per voler far rivivere il mammut lanoso, il dodo o la tigre della Tasmania e che, di recente, ha annunciato di aver riportato in vita un lupo del Paleocene, sorta di meta-lupo del Trono di spade.
“Riportato in vita il lupo del pleistocene”. Lo annuncia la biotech che vuole ricreare la preistoria
08 Aprile 2025
In un mondo dove 1 milione di specie animali e vegetali sono oggi a rischio, e dove la perdita di biodiversità ha un urgente bisogno di sforzi globali e finanziamenti sia pubblici che privati, il nuovo annuncio della società texana dal valore di mercato di 10 miliardi di dollari è destinato a far discutere, ma Colossal Biosciences e Peter Jackson (che ha investito 15 milioni di dollari) non vogliono sentire ragioni e hanno deciso di proseguire su una strada che, fra soli 15 anni, potrebbe “riportare in vita” il famoso Moa.
Il Moa gigante dell’Isola del Sud era un gigantesco uccello incapace di volare che fino al 1300 popolava le valli delle isole della Nuova Zelanda: secoli fa esistevano migliaia di esemplari prima che i Maori, tra caccia alla carne e alle uova e distruzione di habitat, portarono lentamente l’uccello all’estinzione, avvenuta tra il 1300 e il 1500. Per molti inglesi arrivati a Wellington, l’idea di quel volatile grande il doppio dell’uomo, all’inizio era soltanto una leggenda tramandata tra i popoli originari, ma dovettero ricredersi quando nel tempo ci furono più ritrovamenti degli scheletri, i frammenti di uova e le ossa appartenenti a questi animali, materiale che oggi offre una chance genetica per la “de-estinzione”. La base di partenza per riuscire a compiere questa complicatissima missione, per molti scienziati impossibile, sarà infatti il recupero e l’analisi del DNA antico di nove specie di Moa per comprendere in che modo il Moa gigante differisca da uccelli parenti e per decifrare il suo corredo genetico. Per riuscirci Colossal Bioscience collaborerà con il Ng?i Tahu Research Centre neozelandese, fondato per supportare i Ng?i Tahu, principale tribù Maori della regione meridionale della Nuova Zelanda.
Una impresa che secondo Ben Lamm, CEO e co-fondatore di Colossal Biosciences, servirà anche per aumentare lo studio dei genomi delle specie e dare un “prezioso contributo per informare gli sforzi di conservazione e comprendere il ruolo del cambiamento climatico e dell’attività umana nella perdita di biodiversità“.
Volto di questa operazione è già diventato Peter Jackson, regista neozelandese coinvolto nel progetto e appassionato di Moa, dato che possiede una delle più grandi collezioni private di ossa di Moa al mondo. “La speranza che tra qualche anno potremo rivedere un moa è per me una cosa che mi dà più piacere e soddisfazione di qualsiasi altro film” ha detto.
Secondo Scott MacDougall-Shackleton, cofondatore e direttore dell’Advanced Facility for Avian Research presso la Western University di London, grazie a numerose ossa, frammenti di gusci d’uovo e anche piume ancora conservate ci sono chance di ottenere importanti dati genetici ma sebbene l’idea di far rivivere il Moa sia “intellettualmente interessante, in realtà non dovrebbe essere una priorità. Se siamo preoccupati per la conservazione degli uccelli insulari, ci sono centinaia di specie minacciate e in grave pericolo di estinzione in Nuova Zelanda, Hawaii e altre isole del Pacifico che necessitano urgentemente di risorse per la conservazione” ha dichiarato alla Cnn.
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La preoccupazione dello scienziato segue quella di altri ricercatori che sostengono come questi progetti e promesse di “de-estinzione” talvolta siano false e possano distrarre dalla vera emergenza attuale, la perdita di biodiversità. Oltretutto, in un mondo con nuove temperature e habitat non più presenti, questi sforzi dal sapore fantascientifico non hanno garanzia di successo per le specie recuperate. Per Aroha Te Pareake Mead, che lavora per l’Iucn (Unione internazionale Conservazione Natura), la “de-estinzione è un termine improprio, una falsa promessa, radicata più nell’ego che in un autentico sforzo di conservazione delle specie. Riportare indietro il Moa? Dove? A quale qualità di vita? A vagare liberamente?” si chiede.
Più nel dettaglio Nic Rawlence, professore esperto di DNA antico dell’Università di Otago, ha raccontato su The Conversation perché secondo lui questa operazione non funzionerà: in primo luogo, spiega, gli uccelli sono più difficili da “de-estinguere” rispetto ai mammiferi placentati e per portare a termine la gravidanza servirebbe un uovo surrogato che nessun uccello in vita sarebbe in grado di ospitare. Inoltre, “anche se riportassimo in vita una specie estinta e tenessimo gli esemplari in una riserva di caccia, dovremmo produrne abbastanza (almeno 500) per evitare la consanguineità e la deriva genetica”. Insomma, un “Jurassic Park con pochissime probabilità di successo”. Per questo suggerisce che gli sforzi e la tecnologia di ingegneria genetica che Colossal sta sviluppando potrebbero essere usati eventualmente per benefici di conservazione di specie oggi a rischio.Effettivamente però Colossal ha anche promesso e promosso sforzi nella conservazione di varie specie oggi ancora in vita in Nuova Zelanda. Il fatto che punti a riportare alla luce animali estinti talvolta migliaia di anni fa, secondo alcuni esperti – se fatto anche con l’obiettivo di sensibilizzare le persone su quanto stiamo perdendo – potrebbe anche funzionare, afferma infine Scott Edwards, professore di biologia dell’Università di Harvard. “È importante che la scienza punti alle stelle – conclude – . Capisco le preoccupazioni etiche legate al riportare questi uccelli indietro, soprattutto se non c’è più posto per loro. Ma se funziona, l’umanità si renderà conto di quanto abbiamo perso”.