Uno sguardo diverso sul tema del fuoco che lo consideri un alleato dell’ambiente, nella sua relazione con la Terra e nel suo potenziale ecologico, recuperando conoscenze e pratiche tradizionali in chiave inventiva, immaginando l’utilizzo di fonti di energia alternative ai combustibili fossili. È la proposta (controcorrente) di una ventina di scrittori, scienziati, filosofi, registi, architetti, paesaggisti, condensata nel volume Dalla parte del fuoco, edito dalla Fondazione Benetton – istituzione culturale che dal 1987 si occupa di tematiche legate alla cultura del paesaggio, all’etica ambientale, alle questioni ecologiche – e curato da Luigi Latini e Simonetta Zanon. Si dichiara con solide argomentazioni come il fuoco costituisca una presenza costante del nostro ambiente di vita, anche nelle pratiche di gestione e cura del paesaggio, e debba essere riscoperto e valorizzato. La proposta può sembrare una provocazione, ma, in realtà, rappresenta una sfida. D’altra parte, gli incendi più violenti sono spesso causati, paradossalmente, dall’assenza di combustioni, naturali o generate e controllate dall’uomo, alle quali i paesaggi, nel tempo, si erano adattati.
Simonetta Zanon, responsabile dell’area di ricerca Progetti paesaggio della Fondazione Benetton e curatrice dell’opera, racconta a l’origine e il senso del saggio. “Il libro nasce dall’esperienza delle giornate di studio sul disegno del paesaggio del 2023 e costituisce un passo ulteriore sul tema del fuoco, con il quale ci stiamo confrontando ormai da tre anni. Ammetto che sia difficile affrontare un argomento complesso come questo, anche alla luce del riscaldamento climatico, di incendi sempre più intensi, più spaventosi e di eruzioni vulcaniche distruttive”. Ma, ragiona Zanon, “ci rendiamo conto che la pericolosità del fuoco viene amplificata dal nostro modo di abitare il paesaggio”. La dimensione distruttiva è dovuta anche al degrado ecologico e all’abbandono della cura dell’ambiente: “nei boschi lasciati a loro stessi si accumula una grande quantità di massa infiammabile, gli ambienti urbani si confondono con le foreste, costruiamo interi paesi a ridosso dei vulcani”. Il lavoro della Fondazione illustra numerosi interventi propositivi, nei quali l’utilizzo del fuoco e la prevenzione di incendi devastanti prevale sulla logica militare delle tecniche antincendio. Nella storia dell’uomo, in agricoltura e nella gestione forestale, l’uso sapiente del fuoco è sempre stato una delle pratiche più utili e utilizzate. Simonetta Zanon ce ne ricorda uno, ampiamente praticato anche in Italia: “Nei paesaggi umidi bruciare l’enorme massa vegetale prodotta ogni anno dalle piante, significa consentire la rigenerazione della vegetazione, che altrimenti faticherebbe a germogliare”. Una precisazione necessaria: “tutti gli interventi raccontati nel libro sono assolutamente controllati e a piccola scala”. Ecco alcuni esempi.
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21 Marzo 2025
Le savane dell’isola della Réunion
Serge Briffaud – professore presso l’École Nationale Superieure d’Architecture et de Paysage di Bordeaux e ricercatore del Centre National de la Recherche Scientifique – e Quentin Rivière – geografo e ricercatore – dal 2016 hanno contribuito all’avvio e all’attuazione di una campagna di fuoco controllato nelle savane dell’isola francese della Réunion, nell’Oceano Indiano a est del Madagascar, dove questa tecnica non era mai stata utilizzata prima. L’hanno fatto nell’ambito di un progetto di ricerca e azione a lungo termine, finanziato dal Conservatoire du littoral e dalla Fondation de France. Le savane de La Réunion si estendono tra la costa e un’altitudine di 300-400 metri. Oggi costituiscono un paesaggio e un ambiente a rischio di estinzione, all’interno di un territorio costiero segnato da un forte sviluppo dell’urbanizzazione. Per tre secoli, il desiderio di avere un pascolo permanente ha portato gli allevatori a utilizzare il fuoco. Il suo utilizzo regolare ha permesso il mantenimento di una savana erbosa o leggermente boscosa, ma il restringimento delle aree di savana e il notevole declino dell’allevamento negli ultimi decenni hanno deregolamentato questo sistema, provocando importanti cambiamenti paesaggistici ed ecologici. Il progetto di ricerca ha dimostrato che le aree biologicamente più ricche corrispondono a quelle in cui sono state mantenute in vita le tradizionali pratiche piro-pastorali: con l’utilizzo del fuoco si è riusciti a rinnovare il potere nutritivo delle graminacee, che negli anni va diminuendo. Le fiamme vengono appiccate alla fine della stagione secca, in ottobre o novembre, e l’erba ricresce alle prime piogge, diventando nuovamente appetibile tre o quattro mesi dopo.
Storie di fuoco nel paesaggio australiano
Il Progetto Cultivated by Fire, tra disegno del paesaggio e arte, esplora l’antica pratica aborigena di gestione della terra nota come fire-stick farming (l’utilizzo di piccoli incendi controllati). È stato realizzato da Kate Cullity – architetta paesaggista e artista ambientale – e da Marni Elder – artista e designer. Un’installazione artistica, che comprende fiamme vere, è stata allestita in forma permanente a Berlino, tra i “Giardini del mondo” del grande parco nel quartiere Marzahn. Cultivated by Fire nasce dall’immagine satellitare di una mappa termica delle terre d’origine dei Martu, nell’Australia occidentale, che sono state bruciate in maniera selettiva e a bassa intensità dalle popolazioni native, per ridurre il rischio di incendi più grandi e distruttivi, allontanare gli animali e, allo stesso tempo, rigenerare il terreno in vista di una ricrescita. Il disegno crea essenzialmente un mosaico, che ricorda sia ciò che è stato bruciato, sia ciò che si è rigenerato, proprio come nelle aree dell’Australia dove tuttora è in uso questa pratica di gestione degli incendi. Il progetto, tra i numerosi spunti, riconosce l’incredibile capacità degli eucalipti di rigenerarsi dopo un incendio attraverso due strategie di sopravvivenza: la ricrescita dalle radici e la germinazione dei semi. Dopo una distruzione di enorme portata, possono essere generate fino a due milioni e mezzo di nuove giovani piante per ettaro.
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21 Marzo 2025
Coltivare il paesaggio mediterraneo
Nell’ambito di Renaissance, progetto di recupero di un bosco bruciato nel 2019 nel comune di Générac (Francia meridionale, tra Montpellier e la Camargue), naturalisti, forestali, agricoltori, politici, tecnici e associazioni hanno lavorato per pensare al futuro di 80 ettari di terreno comunale tra vigneti e stagni. La coordinatrice, Véronique Mure, botanica e ingegnere agronomo tropicale, scrive che “ricostruire questo bosco ha significato anche condividere con gli abitanti del luogo, bambini e adulti, una certa cultura del fuoco e la comprensione del funzionamento delle piante pirofite e dei piro-paesaggi, in modo tale che il bosco non sia più visto solo come un rischio, ma come uno spazio vitale”. Il lavoro è servito a mettere in luce come molte specie vegetali abbiano sviluppato strategie per sopravvivere al fuoco, o anche per trarne vantaggio. Tra le pirofite mediterranee, sono da considerare, innanzitutto, le piante che ricrescono a svilupparsi rapidamente dopo un incendio grazie a profondi organi sotterranei, come i polloni della quercia spinosa (Quercus coccifera) o il lignotubero del corbezzolo (Arbutus unedo), l’erica (Erica arborea) e la fillirea (Phillyrea angustifolia). Altre piante si proteggono grazie a un’epidermide molto spessa che tiene al riparo dalle fiamme i loro tessuti interni e i vasi conduttori. La quercia da sughero (Quercus suber) è un esempio ben noto. Il pino d’Aleppo (Pinus halepensis) e il cisto (Cistus sp.) si affidano invece a una strategia attiva di ricolonizzazione degli ambienti attraverso i loro semi, subito dopo un incendio. La quiescenza dei loro semi viene infatti interrotta dallo stress termico o dall’effetto chimico della cenere. Oltre alle esperienze progettuali, artistiche, naturalistiche, Dalla parte del fuoco si occupa anche degli aspetti storici, delle ragioni simboliche e dell’importanza del fuoco per l’evoluzione della specie umana. Marco Belpoliti, nell’introduzione, cita l’antico mito di Prometeo nel quale il fuoco è di natura divina, per averlo occorre rubarlo agli dèi, confliggere con loro, e quindi rischiare la vita, e ricorda come l’inizio dell’età del fuoco risalga a 400mila anni fa, quando l’Homo erectus ne faceva uso, ben prima della comparsa dell’Homo sapiens. Con un salto temporale notevole, si arriva a Italo Calvino, affascinato dall’uso del fuoco dopo un viaggio in Persia, dove lo scrittore ligure incontra l’antica religione di Zoroastro, praticata ancora oggi in Iran e nella vicina India da alcune migliaia di fedeli. I parsi custodiscono nel loro sacrario il fuoco che arde da secoli nel tempio dedicato ad Ahura Mazda, la divinità creatrice del mondo, divinità ignea. Calvino, catturato da quelle pratiche religiose, trasferisce il suo sguardo al cosmo e sancisce: “l’universo è un incendio”.