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La conservazione della natura voluta dalla Ue non compromette le attività economiche

Ripristino della natura e produttività economica possono andare di pari passo? Le misure previste dalla tanto contestata Nature Restoration Law rischiano di penalizzale gli agricoltori, gli allevatori e l’industria del legno in Europa? Uno studio pubblicato oggi sulla rivista Nature Ecology & Evolution dà una risposta scientifica: l’ambizioso Regolamento dell’Unione europea, essenziale per raggiungere gli obiettivi di conservazione della biodiversità e di mitigazione dei cambiamenti climatici, potrebbe essere attuato senza compromettere l’approvvigionamento di prodotti agricoli e forestali.

“Ci siamo chiesti quali dovrebbero essere le aree dedicate ad attività agricole o forestali per soddisfare l’attuale domanda interna e le attuali esportazioni di prodotti agricoli e forestali europei”, spiega Pietro Visconti, a capo del gruppo che ha condotto la ricerca e che guida il gruppo Biodiversità, ecologia e conservazione presso l’International Institute for Applied Systems Analysis di Vienna. “Abbiamo immaginato diversi livelli di intensità nell’uso ti tali aree. Per l’agricoltura: estensiva, intermedia e intensiva. Poi due categorie possibili per i pascoli e altrettante per le foreste. Ci siamo assicurati che non solo per ogni Paese, ma anche per ogni regione questa domanda di uso del suolo fosse soddisfatta. Siamo arrivati alla conclusione che lo spazio c’è, non è vero che ripristinando una quota di natura si mette a repentaglio la sicurezza alimentare europea. Ce n’è abbastanza per soddisfare il fabbisogno di prodotti agricoli e forestali e per mettere a ripristino un 15% di aree che sono attualmente occupate da queste attività”.

Unione europea

Approvata a sorpresa la Nature Restoration Law. Esultano gli ambientalisti

17 Giugno 2024

L’obiettivo indicato dalla Nature Restoration Law è quello di ripristinare il 20% del suolo e delle acque entro il 2030. Nelle settimane che precedettero la sua approvazione, poco più di un anno fa, montò la protesta di parte degli agricoltori, con tanto di trattori che invasero Bruxelles. Ma saranno in realtà i governi dei singoli Paesi membri dell’Unione, attraverso i rispettivi Piani nazionali di ripristino a decidere quali aree (che si tratti di terreni, fiumi, tratti di mare) “restaurare” e con quali interventi. “Il nostro studio risponde alla domanda: si può fare? Ebbene sì, è fattibile”, continua Visconti. E allora i timori degli agricoltori? “Quelli che hanno osteggiato il Regolamento purtroppo sono stati male informati dalle lobby dei fertilizzanti e dei pesticidi, le uniche che ci vanno davvero a perdere”, risponde lo studioso. “Ripristino non significa cessazione di qualsiasi attività di sfruttamento. Nelle aree forestali, per esempio, si può passare dal taglio “a raso” a un taglio selettivo, oppure i tagli si possono fare con cadenze più lunghe (60 anni anziché 40): questo si qualifica comunque come restauro ambientale, perché favorisce la rigenerazione dei suoli e più in generale degli habitat, pur continuando a produrre reddito”. Lo studio conferma anche i grandi benefici che le misure previste dalla Nature Restoration Law darebbero nella lotta ai cambiamenti climatici e al declino della biodiversità: lo stock di carbonio nei suoli e nella biomassa vegetale aumenterebbe del 6-19%, i nuovi habitat migliorerebbero lo stato di conservazione del 25-42% delle specie minacciate. “Questo lavoro, e studi simili condotti su scala nazionale, possono aiutare a identificare le aree su cui concentrarsi per il ripristino e la conservazione, a valutare come i Piani nazionali potrebbero influire su settori come l’agricoltura o la silvicoltura”, conclude Visconti.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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