La caccia alle “olive” è partita. E può contribuire a far rifiorire le praterie di Posidonia oceanica nel golfo di Napoli, sensibilmente ridotte dagli ancoraggi selvaggi degli ultimi decenni. Così, per riforestare i fondali di Posillipo, partendo da quel piccolo e prezioso laboratorio che è l’area marina protetta Parco Sommerso di Gaiola, parte un progetto che chiede una mano a tutti, ricorrendo alla citizen science. “Basta raccogliere il frutto della Posidonia, comunemente chiamato ‘oliva di mare’ per la sua somiglianza con le classiche olive, che spesso tende a spiaggiarsi e sarebbe dunque destinato a essiccarsi al sole, e consegnarcelo”, dice Maurizio Simeone, che dell’area marina protetta è il direttore. Già, perché una volta giunto a maturazione il frutto si stacca dalla pianta e sale in superficie, lasciandosi trasportate dalle correnti: una strategia attuata dalla pianta per colonizzare nuove aree, anche a distanza dalla “prateria madre”. Liberandosi della “buccia”, o più propriamente del pericarpo, il frutto libera infatti il seme, che si deposita sul fondale. “Ma questo non avviene, naturalmente, se le olive finiscono lungo le nostre coste”, annota Simeone.
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L’idea che ha così animato il progetto PosiFarm è in fondo semplice: raccogliere i semi, con l’aiuto dei cittadini (e di aree marine protette vicine, come il Regno di Nettuno), e farli geminare in laboratorio, per poi piantare le piccole plantule una volta fortificate, sui fondali di Gaiola, dove dal 2023 è peraltro già in corso un altro progetto di riforestazione dei fondali tramite talee. L’obiettivo è di ricreare un hotspot di biodiversità e contribuendo alla salute del pianeta: attraverso la fotosintesi clorofilliana, la Posidonia oceanica genera fino a 20 litri di ossigeno al giorno per metro quadrato, assorbendo enormi quantità di anidride carbonica: un contributo importante per mitigare l’acidificazione degli oceani.
Dodici vasche da 500 litri
E per farlo scende in campo, con l’area marina protetta, la Stazione Zoologica Anton Dohrn. Gabriele Procaccini è dirigente di ricerca del dipartimento di Ecologia Marina Integrata: si occupa da decenni di Posidonia oceanica. “Negli ultimi anni – annota – si è registrata una fioritura più frequente delle piante, alle nostre latitudini. C’entra il climate change, ma – a dispetto di come appaia – non è detto che sia una buona notizia: la pianta risponde così agli stress, investendo nella riproduzione e alterando i suoi cicli. Con conseguenze a lungo termine che potrebbero essere negative”. La buona notizia, invece, è che il boom di fioriture, concentrate tra settembre e ottobre, con frutti che si staccano proprio in questo periodo, tra aprile e maggio, ha dato il via libera al progetto. “Proprio così. – annuisce Procaccini – A settembre abbiamo registrato una fioritura imponente nelle isole del golfo di Napoli e lungo la costa flegrea, così come in Puglia, dalle Tremiti in giù, in Sicilia e in Calabria. Questo ci ha suggerito di approfittare della congiuntura favorevole, preparandoci per tempo alla raccolta dei frutti, da cui ricavare plantule destinate alla riforestazione su base sperimentale del posidonieto della Gaiola”.
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I frutti, una volta raccolti dai ricercatori o da cittadini volontari, finiscono nelle dodici vasche nella sede del Dohrn e, in parte, in un laboratorio in fieri nell’area marina protetta: qui, raggiunto un grado di maturità idoneo e un’altezza di circa 15 centimetri, sono destinati alla fase successiva, il trapianto in mare. “Parte delle plantule finiranno nella zona B dell’area marina – annota Simeone – dove è consentita la balneazione. Così tutti potranno, facendo snorkeling, monitorarne la crescita, sempre in ottica di citizen science”.
“Piante più resistenti al caldo grazie all’evoluzione assistita”
E il prossimo gennaio parte ufficialmente un altro progetto, Seacovery, direttamente coordinato da Fabio Blanco Murillo, postdoc alla Dohrn, vincitore di un progetto di ricerca Marie Curie presso il laboratorio di Procaccini. “Il nostro obiettivo – dice – sarà quello di sperimentare metodologie diverse per il restauro o il recupero di praterie di Posidonia oceanica e di studiarne le basi scientifiche. In particolare, lavoreremo sull’evoluzione assistita dei semi germinati in laboratori, esponendoli a ondate di calore simulate. L’obiettivo è che sviluppino una maggiore resistenza alle condizioni ambientali del futuro, condizionate dalla crisi climatiche, e si rivelino più resistenti”. Contestualmente, arriveranno nel mare della Gaiola, a Napoli, anche semi provenienti dalla Puglia e dalla Sicilia. “Sì, lavoreremo sui pattern di variabilità genetica, verificando se esistano piante più resilienti alle condizioni che ci attendono”, aggiunge Procaccini.
Un lavoro che nasce dalle esperienze di un team variegato e che ha già raggiunto importanti risultati in tal senso, fra cui sono presenti le ricercatrici Jessica Pazzaglia, esperta di memoria delle piante e di evoluzione assistita, ed Emanuela Dattolo, esperta di genomica delle piante marine. “E chissà che non prenda forma, in un futuro non troppo lontano, un progetto di riforestazione di Posidonia più ampio, esteso all’intero golfo di Napoli, dove oggi la pianta è praticamente scomparsa a causa di una degradazione delle condizioni ambientali e di un diportismo nautico invasivo, che incide sulle piante attraverso gli ancoraggi”, aggiunge il dirigente di ricerca della Stazione Zoologica Anton Dohrn. Un passo alla volta, oggi si aspettano nuovi semi: trecento sono già arrivati dalle isole di Ischia e Procida, sui canali social degli enti coinvolti è partito l’appello ai cittadini. Basta una passeggiata con sguardo incuriosito lungo spiagge e litorali, in fondo, per contribuire al futuro della biodiversità nel golfo di Napoli.