Corpo gelatinoso e trasparente, trascinato dalle correnti: chi non le conosce le scambia talvolta per meduse. Sono in realtà salpe (Salpa maxima il nome scientifico), organismi filtratori, ordine dei Taliacei, quelle immortalate nel mare di Portofino dal fotografo subacqueo Alessandro Grasso ad una profondità di trentacinque metri, nell’area della cosiddetta secca dell’Isuela. “In trent’anni di immersioni non ne avevo mai viste di così grandi”, racconta Grasso. Non è raro, soprattutto in occasione dei cosiddetti bloom primaverili, imbattersi nelle salpe, organismi che si muovono contraendosi e pompando l’acqua attraverso il corpo, che lascia intravedere fondali colorati, come nel caso di uno degli scatti di Grasso, dominato dal rosso delle gorgonie. A volte si osservano singoli esemplari, altre volte colonie composte, come nel caso delle foto di Portofino, da una lunga catena, per certi versi sorprendente.
“Innocue e nostre lontane parenti”
“Gli individui rimangono attaccati tra loro, e ciascuno cresce e si riproduce asessualmente”, spiega Ferdinando Boero, già ordinario di zoologia all’Università di Napoli Federico II e presidente della Fondazione Dohrn: più volte si è occupato, in passato, di proliferazioni di organismi del genere, che sono autoctoni. “Le salpe sono filtratrici mucociliari, proprio come le cozze. – annota – Mangiano batteri, virus, fitoplancton, particolato sospeso. Lo intrappolano nel muco e lo ingeriscono. Sono perfettamente innocue per noi, e sono nostre lontane parenti: appartengono infatti al nostro stesso phylum, i cordati. In primavera, quando ci sono i bloom di fitoplancton, ci sono le condizioni ottimali per i bloom di questi filtratori, che competono con i copepodi, i piccoli crostacei di cui si nutrono le larve e i giovanili di pesci”.
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Il precedente in Salento
In letteratura scientifica, ha in particolare fatto notizia una massiccia fioritura di Salpa maxima tra il marzo e il maggio 2013 lungo la costa jonica e adriatica, in Salento: in quell’occasione molte furono le segnalazioni dei cittadini e dei pescatori, con le catene che avevano intasato le reti, compromettendo in parte le attività di pesca. “I bagnanti – ricorda Boero – erano spaventati dall’aspetto gelatinoso delle salpe e le scambiavano per meduse. Al termine della fioritura, i corpi morti delle colonie, lunghi fino a 6-7 metri, si accumularono lungo la costa e furono trasportati dalle onde, ricoprendo decine di chilometri di costa”.
Stavolta, l’osservazione è soprattutto una interessante documentazione della biodiversità dei nostri mari. “Non sono altro che sistemi, che funzionano attraverso cosiddette ‘pulsazioni’: prima c’è quella del fitoplancton, in primavera, poi quella dello zooplancton erbivoro – che comprende copepodi e salpe – e poi arrivano i pesci che mangiano i copepodi e crescono, mangiandosi l’un l’altro. – spiega ancora lo zoologo – Si parla di sistemi a lotteria: a seconda di chi vince, la vita si esprime in modo differente”. E affascinante, senza dubbio.