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    Nelle città più verdi il caldo miete meno vittime

    Il caldo eccessivo è un importante fattore di rischio sia per la salute ambientale che per la salute umana. Le ondate di calore estremo possono infatti contribuire ad aggravare le malattie cardiovascolari, il diabete, l’asma e possono anche avere un impatto deleterio sulla salute mentale. E in città tutti questi effetti sono amplificati dal fenomeno delle isole di calore. Ma c’è qualcosa che possiamo fare per mitigare le conseguenze negative che il caldo, specialmente quello cittadino, può avere sulla salute: rendere le città più verdi. Molti studi indicano infatti che nelle città caratterizzate da una maggiore presenza di verde urbano si vive meglio, e una review appena pubblicata su BMJ Open lo conferma. Le autrici dello studio hanno analizzato i risultati di 12 ricerche pubblicate fra il 2000 e il 2022, riguardanti appunto gli effetti che gli spazi verdi urbani hanno sulla salute umana. Tre di questi 12 studi sono stati effettuati negli stati Uniti, quattro in Australia, uno a Hong Kong, uno in Vietnam, uno in Corea del Sud, uno in Giappone e uno in Portogallo. Si tratta sia di studi computazionali, per i quali sono stati utilizzati modelli e simulazioni, che di studi epidemiologici e ricerche sperimentali.

    Longform

    Cosa sono le isole di calore e come cambia la vita in città

    di Dario D’Elia, Matteo Marini, Cristina Nadotti

    03 Luglio 2023

    Globalmente, dal lavoro di revisione è emerso che gli spazi verdi urbani, come per esempio i parchi, possono contribuire a compensare gli effetti negativi delle alte temperature sulla salute. Le aree urbane più verdi, infatti, sono risultate essere caratterizzate da tassi più bassi di malattie e decessi legati al caldo, in particolare tra i gruppi vulnerabili, come gli anziani e le persone con patologie cardiovascolari o altri problemi di salute. Inoltre, il verde urbano è risultato essere associato a una migliore salute mentale.

    In generale, è noto che le aree verdi e soprattutto gli alberi sono in grado di contrastare il calore urbano grazie alle zone di ombra che creano e anche grazie al processo di traspirazione. Attraverso le foglie, infatti, le piante tendono a reimmettere nell’ambiente, sotto forma di vapore, l’acqua assorbita dalle radici. In questo modo contribuiscono a mitigare le temperature circostanti. Inoltre, alberi e piante sono fondamentali per tenere a bada i livelli di anidride carbonica presente nell’atmosfera, che, essendo un gas serra, contribuisce al riscaldamento globale. Ma non solo. Da uno studio pubblicato nel 2023 su Nature Climate Change era anche emerso che le aree verdi urbane possono contribuire persino a ridurre a monte le emissioni di CO2, per esempio favorendo gli spostamenti a piedi o in bicicletta e riducendo di conseguenza il numero di auto in circolazione.

    “È importante notare che sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno la portata dell’impatto del verde urbano sulla morbilità e la mortalità legate al caldo, e come questo interagisca con fattori come l’inquinamento atmosferico, lo stato socioeconomico e altri ancora”, si legge nelle ultime righe della review appena pubblicata. In ogni caso, concludono le autrici, “gli spazi verdi urbani svolgono un ruolo fondamentale nel mitigare i rischi per la salute legati al caldo, offrendo una potenziale strategia di pianificazione urbana per affrontare i cambiamenti climatici e migliorare la salute pubblica”. LEGGI TUTTO

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    Tessa Gelisio e le ricette salvapianeta: “Il cambiamento comincia nel piatto”

    Tessa Gelisio, 47 anni, conduttrice, blogger e imprenditrice vitivinicola, ama la natura in tutte le sue forme e nel suo ultimo libro “le mie ricette salvapianeta”, edito da Rizzoli, accompagna il lettore verso un percorso di consapevolezza a tavola.

    “Da piccolina – racconta Gelisio – il mio cane è stato il trait d’union tra me e la natura: insieme facevamo lunghe passeggiate nei boschi. I miei genitori sono ambientalisti. Durante le scuole medie andavo alle riunioni del WWF di zona e alle manifestazioni ambientaliste. Dai 14 anni ho svolto volontariato in un centro di conservazione della fauna selvatica: lì ho respirato un ambientalismo scientifico che ho portato avanti per tutta la vita”.

    La passione per la cucina sostenibile arriva dopo il liceo. «Quando mi sono trasferita a Milano – continua Gelisio – ho letto tanta saggistica e numerosi report sull’inquinamento dell’ambiente. Era chiaro ed evidente quanto la produzione agricola impattasse il nostro ecosistema. Da quando ho iniziato a fare la spesa da sola, a 20 anni, acquisto prodotti biologici e di stagione: i benefici coinvolgono sia l’ambiente sia la nostra salute».
    Il 5 novembre uscirà il suo nuovo libro, “le mie ricette salvapianeta”.

    “L’idea è nata – racconta Gelisio – da una mia amica. Ricevo sempre molte domande e, tra blog e social, do dei consigli per ridurre l’impatto ambientale nel nostro quotidiano. Ritengo che l’alimentazione sia la chiave del cambiamento: ho iniziato dall’alimentazione, poi sono passata alla cura della casa, all’arredamento, all’abbigliamento e così via”

    La sostenibilità si sceglie ogni giorno, non si finisce mai di imparare ma bisogna iniziare. Ognuno con le proprie contraddizioni e limiti ma va fatto, per il bene del nostro pianeta.

    Ricetta dopo ricetta, l’autrice guida il lettore nella scelta degli ingredienti, con un’attenzione speciale alla provenienza e alla stagionalità dei prodotti. “Le mie ricette – spiega – sono pratiche, facili, veloci e alla portata di tutti. Il 90% delle volte consumo i miei pasti a casa ma non tutti possono fare lo stesso. Il segreto sta nell’organizzazione. Congelare le porzioni è davvero molto utile: meglio farlo piuttosto che mangiare prodotti fast e poco salutari. Ad esempio la domenica possiamo cucinare per tutta la settimana”. LEGGI TUTTO

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    Cosa piantare nell’orto a ottobre

    Che cosa offre la natura nel mese di ottobre? Entrati nel pieno della stagione autunnale, anche l’orto ha bisogno di essere organizzato ad hoc. In questo mese, infatti, bisognerebbe consumare frutta e verdura tipiche dell’autunno, evitando dunque tutto ciò che è cresciuto in serra o proveniente letteralmente dall’altra parte del mondo. L’acquisto di prodotti di stagione, così come la semina in sé, è una scelta etica e completamente sostenibile.

    Ottobre è un mese molto interessante dal punto di vista di semine e raccolte: l’orto si arricchisce di verdure a ciclo breve da raccogliere prima dei grandi freddi, ma fa il pieno anche di trapianti, tra cui spiccano il cavolo cappuccio, il cavolo broccolo, finocchi e lattughini.

    Orto a ottobre: cosa seminare e dove
    Ottobre è uno dei primi mesi in cui le temperature cominciano ad abbassarsi; questo comporta una leggera modifica all’orto, che a seconda della regione in cui ci si trova, adatterà la semina nei giusti spazi. Di solito, infatti, nel mese di ottobre la semina in pieno campo tende a diminuire, questo perché la maggior parte delle piantine non sopporta il freddo e le basse temperature. Tuttavia, se il clima di certe zone è ancora mite, questa semina, aggiunta a quella in aiuole, è fattibile, ma l’attenzione deve essere molta. In tutti gli altri casi, la soluzione migliore è seminare in semenzaio: attraverso questo metodo il calore riesce a fare germinare prima le piantine e le protegge dalle basse temperature notturne. Le piante da seminare nell’orto a ottobre sono di due tipi: le coltivazioni veloci a crescere e gli ortaggi che resistono al freddo.

    La prima categoria raccoglie la maggior parte delle insalate (lattuga, lattughino), spinaci e rapanelli, mentre la seconda chiama a sé cipolle, aglio, piselli e fave. Oltre a questi, tipici della semina di ottobre, si può puntare anche a: rucola, radicchio, scalogno, cime di rapa, cavolo verza e carote.

    Orto di ottobre: che cosa trapiantare
    A differenza della semina, il trapianto permette di mettere in pieno campo piante già formate. A ottobre, ad esempio, è possibile trapiantare i vari cavoli (cappuccio, broccolo, cavolfiore), le biete da coste, le cime di rapa, i finocchi e i porri invernali. Per svolgere i trapianti al meglio (ma anche le semine), è sempre molto importante seguire la rotazione colturale, assicurarsi che le temperature siano adatte e utilizzare sementi specifici.

    Cosa raccogliere nell’orto a ottobre: verdura e frutta
    Il mese di ottobre offre la possibilità di raccogliere ancora gli ultimi pomodori e il basilico, tanto amato nei mesi estivi e pronto in questo periodo alla fine del suo ciclo vegetativo. Inoltre, a ottobre comincia anche la raccolta delle olive, delle castagne, dei funghi, delle mandorle e delle nocciole che, anche se non c’entrano con l’orto e la semina, fanno parte a tutto tondo di questo ricco periodo annuale. Impossibile poi non citare la zucca, ortaggio fondamentale a ottobre.

    Anche la frutta è importante e ogni stagione ha la sua. Nel mese di ottobre la raccolta prevede: mele, pere e uva soprattutto (da ottobre, infatti, inizia anche la vendemmia). Durante questo periodo comincia la raccolta anche di cachi e di kiwi, perfetti per l’autunno.

    Orto a ottobre: consigli utili per la semina e la coltivazione
    La buona riuscita di un orto dipende anche e soprattutto dalla cura che gli si dona. Per questo, quindi, prima di conoscere ogni singolo dettaglio sulle verdure da piantare e su quale ortaggio sia meglio per ottobre e quale per settembre o dicembre, è importante conoscere gli step da seguire per un orto perfetto e in salute. Intanto, l’orto necessita del sole per almeno sette ore al giorno, quindi si cerchi il più possibile di evitare zone d’ombra sotto grandi alberi. La disposizione è importante anche per le piante che si semineranno: quelle con una crescita verticale non andrebbero poste vicino a una fonte luminosa, poiché, crescendo, andrebbero a fare ombra a quelle più basse. Anche l’idratazione è fondamentale: un orto per essere sano deve essere irrigato, specie in estate. Poi viene la concimazione, utile a favorire il lavoro dei microrganismi presenti naturalmente nel terreno. Per un risultato naturale, si consigliano sempre sostanze organiche piuttosto che diserbanti chimici, non proprio ottimi per la salute dell’orto.

    Come posizionare le piante nell’orto
    Naturalmente ogni pianta ha bisogno del proprio spazio vitale per crescere nell’orto senza difficoltà. Nel caso dell’orto di ottobre, è bene ricordare che i pomodori (prossimi alla raccolta) vanno posizionati a 40 cm, mentre lattuga, bietola, finocchi a 25 cm. Per le cipolle, i porri, gli agli e la rucola i cm diventano 10 e infine per le carote e i ravanelli i cm scendono a 3.

    Altri lavori nell’orto d’autunno
    Dopo avere visto che cosa piantare a ottobre nell’orto, come posizionare le piantine e quali sono i principali accorgimenti da seguire per avere un orto perfetto, è il turno di scoprire più nel dettaglio tutti gli altri lavori utili da fare proprio in quest’ultimo. Intanto, è necessario ripulire tutto gli appezzamenti dagli ortaggi estivi e preparare il terreno a una nuova stagione. Obbligatorio anche preparare il semenzaio in vista delle semine e dei trapianti primaverili.

    Non solo, anche la realizzazione del compost è importante e il mese di ottobre è ottimo. In questo periodo dell’anno, infatti, il compost interrato (o humus, o letame) nella parte superficiale durante l’inverno avrà modo di maturare e di sprigionare tutti le sostanze nutritive utili per la nascita delle nuove piante. LEGGI TUTTO

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    Il sistema moda lancia l’allarme: “Sulla sostenibilità siamo in ritardo di 8 anni”

    La moda europea potrebbe raggiungere i suoi obiettivi climatici con 8 anni di ritardo. Nonostante negli ultimi 6 anni l’industria europea della moda sia riuscita a disaccoppiare la crescita economica dalle emissioni di CO2, sembra che ai ritmi attuali sarà in grado di raggiungere gli obiettivi climatici previsti dal Fit for 55 solo entro il 2038. Per recuperare il ritardo rispetto al percorso di decarbonizzazione previsto, saranno necessari investimenti addizionali pari a 24,7 miliardi di euro entro il 2030. In alternativa, ridurre i volumi di produzione per rimanere entro i limiti di emissione previsti rischia di comportare perdite di ricavi 8 volte superiori. E’ uno dei risultati principali emersi dal Just Fashion Transition 2024, l’osservatorio strategico annuale di TEHA Group sulla transizione sostenibile nei principali comparti della moda: tessile, abbigliamento, maglieria, calzature, pelletteria, conceria.

    Lo studio, condotto da The European House Ambrosetti, è stato presentato a Venezia nell’ambito del Venice Sustainable Fashion Forum, la principale tappa annuale incentrata sulla sostenibilità nella catena del valore della moda, nato dalla collaborazione di Sistema Moda Italia, TEHA Group e Confindustria Veneto Est. Una traiettoria in deciso rallentamento quindi, quella del sistema moda nella sua corsa verso la sostenibilità. Lo dimostra anche un altro dato: non più di un terzo delle 100 più grandi aziende europee del settore è al passo con la velocità di decarbonizzazione necessaria. Da un lato, le 34 grandi aziende europee del settore che stanno riducendo le proprie emissioni a velocità doppia rispetto a quella richiesta dalla Fit for 55 dimostrano che la decarbonizzazione è possibile. Dall’altro, però, il resto del settore evidenzia un ritardo significativo. Inoltre, come dimostrano anche le recenti vicende (Giorgio Armani Operations per fare un solo nome), mentre sul clima si stanno facendo progressi, tra le 100 più grandi aziende EU solo 7 aziende sono trasparenti sul salario minimo e 28 non pubblicano ancora un Bilancio di sostenibilità. Tra i problemi chiave alla base della frenata, il fatto che l’Europa continua a promuovere la transizione sostenibile principalmente attraverso leggi e norme. Tuttavia, la mancanza di linee guida operative e di quadri normativi ben definiti rappresenta una fonte di incertezza per le imprese, e quindi un freno alla competitività rispetto al resto del mondo. Inoltre, nonostante la crescente attenzione dell’UE in materia di gestione del fine vita dei prodotti fashion, le infrastrutture disponibili non sembrano ancora adeguate. Senza contare che il settore finanziario europeo non ha ancora tutte le leve per essere il motore della Just Fashion Transition europea.

    Senza un adeguato sostegno finanziario e un quadro normativo che faciliti l’accesso ai fondi sostenibili sui mercati dei capitali, la transizione rischia di essere sottofinanziata, esacerbando le disuguaglianze soprattutto tra le PMI, che oggi rappresentano quasi il 98% dell’intero settore. Ad oggi, infatti, solo il 35% degli investimenti dedicati alla transizione delle PMI europee è stato sostenuto da finanziamenti esterni, e solo il 16% di questi si qualifica effettivamente come “sostenibile”. Concentrando il focus sull’Italia, il report sottolinea come il presidio sui temi ESG tra le aziende della filiera tricolore sia diminuito di circa il 3%, in particolare tra le PMI con ricavi minori di 30 milioni euro. I fattori principali di questo rallentamento sono tre: la mancanza di competenze interne è il principale ostacolo del mancato presidio ESG, mentre la bassa redditività, in costante calo (tra il 7 e l’11%), così come gli alti indici di indebitamento, rendono gli investimenti nella decarbonizzazione difficilmente sostenibili per circa il 92% delle aziende, soprattutto nel settore conciario e dell’abbigliamento.

    Inquinamento

    Anche il fast fashion comincia a pensare all’ambiente

    di Anna Dichiarante

    21 Settembre 2021

    Interessante notare il cambiamento avvenuto in questi ultimi anni nell’opinione pubblica: ora i fari sono puntati più decisamente sulla politica. Secondo i consumatori globali, infatti, le imprese e i cittadini stanno già facendo abbastanza, ora spetta ai governi la responsabilità del cambiamento. In Europa, in particolare tra i giovani, c’è una crescente consapevolezza che la sostenibilità comporta costi e sacrifici. Tuttavia, questo non sembra tradursi in un’azione adeguata. In conclusione, dal Venice Sustainable Fashion Forum sono uscite alcune raccomandazioni per “raddrizzare la curva”. In particolare, alle istituzioni si chiede di chiudere in fretta il gap regolatorio, al fine di creare le condizioni per le aziende per prendere decisioni di medio-lungo period, e di semplificare gli strumenti finanziari per le PMI, mettendole nelle condizioni di investire in sostenibilità fornendo loro un accesso facilitato al credito e offrendo delle condivisioni favorevoli.

    Quanto agli attori del settore in Italia, la ricetta per una competitività sostenibile passa dalla costruzione e diffusione a livello nazionale di know how e centri di competenza, coinvolgendo università e ricerca per testare soluzioni scalabili, sviluppando iniziative per diffondere tra le PMI la “cassetta degli attrezzi” necessaria per la transizione e per creare una forza lavoro a prova di futuro. Serve inoltre lo sviluppo di un piano strategico nazionale per identificare modalità per integrare i costi della sostenibilità nelle strutture di prezzo – facilitando l’eradicazione del caporalato, così come la condivisione di tempi, metodi e strumenti per combinare finanziamenti pubblici e privati. Infine, andrà alimentato il processo di concentrazione del mercato, specialmente tra le PMI, per aumentare la produttività e la capacità di investimento, attraverso agevolazioni fiscali e nell’accesso al credito, ma anche finanziamenti pubblici. LEGGI TUTTO

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    Cinquemila nuovi alberi per le foreste bellunesi dopo Vaia e l’effetto-bostrico

    Pini cembri, larici, abeti rossi e faggi. Per un totale di cinquemila nuovi alberi, messi a dimora attraverso metodologie innovative e integrate con la natura. Così le foreste venete rinascono dopo l’ecatombe della tempesta Vaia, era l’ottobre del 2018, e i danni dell’infestazione di un piccolo coleottero lignicolo, il bostrico.Si chiama “Ancora Natura per il Col di Lana” il progetto di rinaturalizzazione promosso da Pefc Italia (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), ente promotore della gestione sostenibile del patrimonio forestale, insieme Rete Clima e Coldiretti Belluno, grazie ai fondi provenienti dall’8×1000 dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. LEGGI TUTTO

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    Ultimi giorni per partecipare alla call for talent del National Biodiversity Future Center

    Ultimi giorni per partecipare alla call for talent del National Biodiversity Future Center (NBFC) rivolta a 60 menti brillanti desiderose di orientare i propri obiettivi professionali e scientifici verso la salvaguardia e la promozione della biodiversità, al fine di garantire un futuro più sostenibile alle generazioni future.

    Saranno investiti oltre 2 milioni di euro per sostenere chi si farà promotore degli obiettivi costitutivi del Centro, intraprendendo con nuove idee imprenditoriali azioni concrete per il monitoraggio, la conservazione, il ripristino e la valorizzazione della biodiversità del nostro Paese.

    Per affrontare le sfide legate ai cambiamenti climatici, all’inquinamento, allo sfruttamento e alla degradazione degli ecosistemi è oggi più che mai necessario adottare approcci innovativi e ad alto contenuto tecnologico. I 60 partecipanti selezionati, riceveranno una scolarship individuale di 30.000 euro, e saranno i protagonisti di un percorso di formazione, mentoring e networking per acquisire competenze e conoscenze trasversali, utili a sviluppare idee di business, servizi e modelli innovativi nel campo della biodiversità.

    Il programma UpSkilling si articolerà in due percorsi distinti. Uno manageriale, rivolto ad aspiranti manager dell’innovazione interessati a seguire lo sviluppo di istituzioni e imprese innovative nel campo della biodiversità. L’obiettivo è accrescere le competenze gestionali dei partecipanti, che al termine del programma saranno chiamati a elaborare un project work. Il secondo percorso, di stampo imprenditoriale, è rivolto alle candidate e ai candidati desiderosi di sviluppare un’idea d’impresa nel campo della biodiversità. L’obiettivo finale sarà quello di elaborare un business & technology plan, per sostenere la fattibilità di una start-up, e realizzare un proof-of-concept, che dimostri l’utilità della nuova tecnologia e dei prodotti.

    Al termine della formazione i partecipanti presenteranno i loro progetti e ai 10 migliori project work o business plan sarà assegnato un premio di 30.000 euro.

    Il percorso Upskilling sarà preceduto da un bootcamp di sette giorni aperto a tutti i candidati, a conclusione del quale saranno selezionati i 60 partecipanti.

    Il programma di formazione, della durata complessiva di 8 mesi, si articolerà in sei corsi, con sede in diverse città italiane: Nature based solution for biodiversity restoration (Montelibretti, Roma); Sviluppo di Sistemi avanzati per la condivisione, comunicazione e fruizione dei dati e contenuti di NBFC (Lecce); Biodiversità e benessere (Milano); Biodiversità e implementazione delle produzioni in pesca e acquacoltura (Fano e Bologna); Modelli di comunicazione innovativa sulla biodiversità (Venezia); Monitoraggio della biodiversità (Palermo).

    Il programma UpSkilling include 150 ore di lezioni frontali, in presenza e da remoto, con esperti e professionisti della biodiversità, e 150 ore di attività sperimentali. Sono inoltre previste due visite formative presso centri di eccellenza e incubatori italiani ed esteri e un workshop finale in cui i partecipanti avranno l’occasione di confrontarsi con investitori e venture capital. LEGGI TUTTO

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    Gli occhiali usati non si buttano via: una raccolta per riciclarli

    Ogni anno, in Europa, circa 4.000 tonnellate di occhiali usati finiscono nei rifiuti (fonte: European Eyewear Recycling Report). Composti da materiali come plastica, metallo e vetro, questi strumenti di correzione visiva rappresentano una sfida per il riciclo. La maggior parte degli impianti non è attrezzata per smaltire o riciclare oggetti così piccoli e complessi, generando così un inutile spreco di risorse preziose e un impatto significativo sull’ambiente. Il tema degli occhiali usati, però, non riguarda solo l’inquinamento. Globalmente, 2,2 miliardi di persone soffrono di disabilità visive, e 1 miliardo di queste non ha accesso agli occhiali correttivi necessari per migliorare la propria qualità della vita (fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità). In Italia, con oltre 5,6 milioni di persone che vivono in povertà assoluta, l’acquisto di occhiali correttivi è un lusso che molte famiglie non possono permettersi (fonte: Istat).

    Economia circolare

    Ancora troppi rifiuti elettronici finiscono nella raccolta indifferenziata

    di Sara Carmignani

    15 Ottobre 2024

    Per far fronte a questa duplice emergenza, ambientale e sociale, Multidistretto 108 Italy dei Lions Italiani – l’organizzazione benefica di club di servizio che opera in tutto il mondo – ha avviato un progetto che si propone di raccogliere, rigenerare e distribuire occhiali usati. Dal 2003, il Centro Italiano Lions Raccolta Occhiali Usati di Chivasso (TO), uno dei 20 centri di riciclo presenti nel mondo, ha recuperato oltre 4,5 milioni di occhiali, distribuendone oltre 2 milioni ad altrettante persone in 73 paesi. Questo lavoro è reso possibile grazie all’impegno di volontari che ripuliscono, suddividono per gradazione e confezionano gli occhiali per la loro ridistribuzione. Il progetto si distingue per la sua attenzione sia alla sostenibilità che alla solidarietà, offrendo una seconda vita a milioni di occhiali altrimenti destinati ai rifiuti.

    L’impatto sociale di questa iniziativa è notevole. “L’accesso agli occhiali correttivi è fondamentale per molti gruppi vulnerabili – spiega Leonardo Potenza, Presidente del Consiglio dei Governatori Lions –. I bambini che soffrono di ambliopia, ad esempio, sono particolarmente colpiti: circa il 10% dei minori italiani sviluppa questa patologia visiva che, se non trattata, può causare danni permanenti alla vista”. L’iniziativa è di vitale importanza anche per gli anziani: “Con 2,7 milioni di over 65 che vivono sotto la soglia di povertà, la mancanza di occhiali correttivi può portare a isolamento sociale e perdita di autonomia”, continua Potenza.

    Anche le carceri italiane rappresentano una realtà in cui il bisogno di occhiali è urgente. Si stima che il 50% della popolazione detenuta sviluppi problemi visivi durante il periodo di reclusione, aggravati dalle condizioni di illuminazione insufficiente e dall’uso prolungato della vista per leggere, una delle poche attività disponibili. Le finestre con griglie che limitano l’accesso alla luce naturale peggiorano ulteriormente la situazione, e per molti detenuti l’acquisto di occhiali è spesso impraticabile.

    Fisco verde

    Frigo e lavatrici rotti, quando si possono far ritirare

    di  Antonella Donati

    16 Ottobre 2024

    Il centro di Chivasso ha recentemente potenziato il suo laboratorio per aumentare la capacità di rigenerare e distribuire occhiali, e con il Progetto Italia, i Lions hanno intensificato gli sforzi per garantire l’accesso agli occhiali a chi ne ha bisogno, puntando ad assistere almeno altre 2.000 persone entro giugno 2025. Chiunque necessiti di occhiali può rivolgersi al Lions Club più vicino per ottenere una visita oculistica gratuita e richiedere un paio di occhiali rigenerati sulla base delle proprie esigenze. Allo stesso modo, chiunque desideri contribuire può donare i propri occhiali dismessi presso il Lions Club più vicino.

    A causa della composizione mista di plastica, metallo e vetro, e della mancanza di impianti adeguati, molti occhiali finiscono nelle discariche, contribuendo al crescente problema dei rifiuti non biodegradabili. “L’iniziativa dei Lions- conclude Potenza – si distingue proprio per offrire una soluzione sostenibile e sociale: rigenerare occhiali usati significa non solo ridurre l’impatto ambientale, ma anche offrire un contributo concreto a chi ne ha più bisogno”. LEGGI TUTTO

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    Dal rame ai metalli pesanti, ecco cosa c’è nell’Adriatico analizzando lo zooplancton

    Tanto minuscoli quanto importanti, l’insieme dei piccoli organismi che formano il plancton, dando vita allo zooplancton, sono alla base della vita marina. Dai copepodi alle larve di crostacei o molluschi, questi animali sono costantemente in movimento spostandosi con le correnti: sono contemporaneamente la riserva alimentare di tantissime specie e anche attori fondamentali nella loro funzione di assorbimento del carbonio, anche se tra crisi climatica e impoverimento degli oceani ultimamente le ricerche ci dicono che oggi fanno fatica ad essere efficienti pozzi di carbonio.

    Biodiversità

    Agli oceani dobbiamo la vita, ma stiamo perdendo la loro ricchezza

    di Roberto Danovaro

    08 Giugno 2024

    Proprio per queste straordinarie caratteristiche lo zooplancton può però essere anche altro: una formidabile sentinella capace, se analizzata, di restituirci informazioni sullo stato di salute dei nostri mari. Per questo il progetto M.A.R.E di Fondazione Cvc, coordinato da One Ocean Foundation punta – studiando le condizioni dei campioni di zooplancton raccolti – a realizzare negli anni una sorta di mappatura completa dello stato di salute del Mar Mediterraneo. I primi risultati, quelli che riguardano l’Adriatico e pubblicati sulla rivista Chemosphere dai ricercatori, non sono del tutto confortanti: da 46 campioni raccolti da Taranto a Venezia, e anche lungo la costa orientale fino a Corfù, gli organismi analizzati presentano infatti in molti casi diversi inquinanti. “I risultati evidenziano la presenza di diversi inquinanti, alcuni dei quali, come PCB e DDT, banditi già dagli anni ’70, e metalli pesanti quali arsenico, cadmio e mercurio, noti per la loro tossicità e capacità di accumulo negli organismi marini” si legge nella presentazione dello studio coordinato da Ginevra Boldrocchi, project scientific coordinator di One Ocean Foundation e ricercatrice presso l’Università dell’Insubria.

    Dalle analisi condotte all’interno del progetto M.A.R.E, iniziativa della Fondazione Centro Velico Caprera, viene ricordato come nel Mediterraneo – che è un mare che rappresenta meno dell’1% delle acque marine del mondo ma ospita circa il 10% della biodiversità marina globale – la forte pressione antropica ha reso questo luogo estremamente vulnerabile all’accumulo di inquinanti. “Nel Mediterraneo, studi che indagano questa problematica utilizzando lo zooplancton come bioindicatore sono rari, datati e spesso limitati a pochi contaminanti. Vogliamo fornire un quadro completo e aggiornato dello stato di salute del nostro mare”, spiega Boldrocchi specificando come l’inquinamento può essere collegato ai voluminosi apporti fluviali che trasportano contaminanti e rifiuti in mare. Lo studio ha rilevato la presenza di contaminanti organici persistenti come i PCB e il DDT, anche se con livelli bassi rispetto agli anni Ottanta, per esempio nel Golfo di Venezia (condizionato dal Po), il Golfo di Drin in Albania e le zone di Sebenico e Spalato in Croazia, aree dove “resta una forte preoccupazione” per la presenza di contaminanti.

    Biodiversità

    La decarbonizzazione in alto mare: lo stato di salute degli oceani preoccupa

    di Giacomo Talignani

    18 Novembre 2023

    Tanti, soprattutto nel Golfo di Venezia, ma anche alle Tremiti e a Corfù, i metalli pesanti individuati: si va dal piombo al cobalto sino al nickel e cromo. Tutto sommato bassi i livelli di mercurio nell’Adriatico se “comparati a quelli rilevati in regioni incontaminate come l’Antartide e l’Artico”, mentre desta preoccupazione “il rame, che al contrario ha mostrato valori eccezionalmente elevati, tra i più alti mai registrati a livello mondiale”. Gli esperti spiegano che questo fenomeno “sembra essere legato a fonti sia naturali, come la deposizione di polveri sahariane, sia antropiche, come le vernici antivegetative utilizzate in ambito marittimo e l’uso industriale e agricolo”. Dopo l’Adriatico, e precedentemente il Tirreno, la spedizione traccerà i livelli di inquinanti nello zooplancton in Francia e Spagna e poi nel 2025 tra Grecia, Cipro e Turchia. Sebbene ci siano aspetti importanti da monitorare, come l’elevata presenza di rame e di determinati metalli pesanti, Boldrocchi però ha una buona notizia: “Per molto tempo, l’ambiente marino è stato deliberatamente utilizzato come smaltimento dei nostri rifiuti, ma questo studio dimostra come la situazione sia in miglioramento. Se confrontiamo i nostri dati con il resto del mondo, vediamo che i livelli di DDT sono per esempio tra i più bassi, mentre per i PCB e i metalli ci posizioniamo a livelli intermedi”. LEGGI TUTTO