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    Amy e la battaglia dei nativi americani per riprendersi il fiume Klamath

    Amy Bowers Cordalis è un’avvocata, un’ambientalista, ma, prima di tutto, un membro della tribù Yurok, nativi americani che hanno sempre abitato i territori della California settentrionale. È cresciuta pescando sul fiume Klamath, uno dei più importanti corsi d’acqua della costa occidentale del Nordamerica. Consulente legale della sua tribù, ha guidato una battaglia durata diversi anni per smantellare quattro dighe idroelettriche che stavano soffocando il fiume, la sua biodiversità e la popolazione indigena che dipende dalle sue acque. Ha aiutato a siglare un accordo da 550 milioni di dollari con la società di energia elettrica PacifiCorp, per demolire i manufatti e permettere al fiume di tornare al suo corso naturale.

    Un progetto grandioso: sono stati ripristinati 650 chilometri di habitat fondamentale per la riproduzione dei salmoni, è migliorata notevolmente la qualità dell’acqua e si sono ridotte le emissioni di metano. Ora si sta lavorando per ripristinare la fauna ittica, un tempo molto fiorente. Per il suo impegno nei confronti dei diritti degli indigeni e della tutela ambientale, Amy è stata insignita del premio Champions of the Earth 2024 dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), il più importante riconoscimento ambientale assegnato dall’Onu. Per capire la portata della vittoria di Amy e della sua tribù aggiungiamo qualche dettaglio. Il fiume Klamath, che attraversa Oregon e California e sfocia nell’Oceano Pacifico, era uno dei corsi d’acqua più ricchi di salmoni di tutti gli Stati Uniti, ma le quattro dighe idroelettriche, costruite tra il 1911 e il 1962, avevano soffocato il suo flusso naturale, decimando la specie, essenziale per lo stile di vita degli Yurok e per la biodiversità del fiume. Nell’ottobre scorso, Cordalis e gli Yukor hanno festeggiato la demolizione dell’ultima delle quattro dighe, abbattuta grazie a una sentenza federale del 2022 che ha dato il via libera alla rimozione dei manufatti e al ripristino del flusso naturale del corso d’acqua.

    Il fiume Klamath (Foto Duncan Moore/UNEP)  LEGGI TUTTO

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    “La transizione energetica oggi è tecnicamente possibile ed economicamente vantaggiosa”

    L’energia è il grande tema che tiene paesi, governi, consumatori con il fiato sospeso. La transizione energetica è al centro della partita geopolitica internazionale. E se l’energia prodotta da fonti rinnovabili, è la strada tracciata per rendere ogni paese meno dipendente dal fossile, e per risparmiare alla Terra altro inquinamento ed emissioni, l’equazione non è così facile da risolvere. Le incertezze sono spesso burocratiche, legate a vecchie logiche economiche, che mettono il consumatore all’angolo. Per capire come cercare di uscirne, ne abbiamo parlato con Giorgio Tomassetti, Ceo di Octopus Energy Italia, giovane azienda inglese, da appena 3 anni nel nostro Paese, che punta tutto sulle rinnovabili, sull’intelligenza artificiale. E sulla flessibilità.

    In che situazione ci troviamo?
    “È sotto gli occhi di tutti che la crisi energetica ha rivelato problemi strutturali, non solo contingenti. In Italia, il mix energetico è ancora troppo povero di fonti rinnovabili e la velocità con cui si connettono nuovi impianti è troppo lenta. Ma si può intervenire su altri fronti: rendere certi i tempi di connessione che danno sicurezza ai grandi investitori sul ritorno economico in un determinato periodo temporale. E usare meglio l’elettrone verde sulla rete, cioè avere maggiore flessibilità, dove si può intervenire grazie alla tecnologia”.

    Come possiamo ridurre la dipendenza energetica dall’estero, a livello Paese?
    “Serve puntare sull’indipendenza come strategia strutturale. Il problema cambia nome ogni anno – prima il gas russo, poi i ritardi nelle forniture via nave – ma è sempre lo stesso. Le rinnovabili costano meno: sarebbe criminale ignorare questo vantaggio, ancora peggio è non riuscire a trasferirlo al consumatore finale, come accade oggi. È lì che serve agire subito, contro caro vita e inflazione, poi va bene qualche provvedimento di aiuto, tipo il decreto bollette, però quello non risolve il problema di fondo”.

    Le rinnovabili saranno sufficienti a garantire la sicurezza energetica in futuro?
    “Le rinnovabili, già oggi, producono energia a costi inferiori. Il nucleare di nuova generazione? Potrà anche arrivare, ma non risolve nulla oggi o nel breve termine, ma serve un cambio di paradigma: passare da una gestione “deterministica” dell’energia, in cui tutto è certo e prevedibile, a una “probabilistica”, dove si usano tecnologia e intelligenza artificiale per reagire agli eventi in tempo reale. È un’evoluzione culturale prima che tecnologica, ma noi siamo focalizzati sull’oggi, e vediamo che anche il costo delle batterie sta scendendo. Un computer oggi, costa meno di un computer di ieri, e questo accadrà anche con il solare. La tecnologia permette di gestire le probabilità e soprattutto di reagire alla realtà in modo veloce, quindi se un evento non si verifica, con la tecnologia è possibile rimediare immediatamente e non avere un problema ne di fornitura ne di prezzo”.

    E sul fronte dello storage, delle batterie, non rischiamo una nuova dipendenza?
    “La completa indipendenza non è realistica, probabilmente non lo saremo mai. Anche tutti i dispositivi tecnologici che usiamo dipendono da supply chain globali. Ma non bisogna ignorare la provenienza, come si è fatto in passato ad esempio con il gas russo. Possiamo diversificare, evitare dipendenze critiche e innovare ed oggi le batterie stanno diventando più economiche e con materiali alternativi. Serve consapevolezza”.

    Il cavallo di battaglia di Octopus sono le fonti rinnovabili. Da dove proviene l’energia che immettete sul mercato italiano?
    “Stiamo crescendo molto in Italia, quindi acquistiamo grandi quantità di energia nel Paese, sempre con certificazione di provenienza verde, parallelamente sviluppiamo i nostri impianti eolici, solari e di accumulo. Siamo in una fase ibrida, con un impianto operativo ad Ascoli e altri in attesa di connessione. Intanto cerchiamo di stimolare un cambiamento strutturale nel settore, in cui è necessario aumentare il mix rinnovabile”.

    L’energia viene tutta dall’Italia?
    “L’approvvigionamento è italiano. Ovviamente, per esigenza, la rete può far transitare energia da altri Paesi, ma non è questo il punto: è il sistema di mercato a non incentivare la riduzione dei costi. Il gestore della rete, Terna, finora ha operato con il mandato di garantire sempre l’energia, ad ogni costo e da qualsiasi fonte. Secondo noi questo approccio andava bene fino a qualche anno fa, oggi gli italiani non accettano più questo compromesso. Infatti noi chiediamo che venga introdotta anche la variabile prezzo nel bilanciamento: vogliamo fare in modo che il gestore abbia un incentivo pratico a ridurre il costo, e questo ci porta anche a degli eccessi di picchi. Questo renderebbe il sistema più sostenibile per tutti”.

    Il problema di tutti noi consumatori, è che c’è una certa sfiducia nelle aziende energetiche. Si ha sempre l’impressione che, anche cambiando anno dopo anni, non ci sia mai un vero risparmio. Qual è la vostra soluzione per risparmiare?
    “Il mercato italiano non è competitivo. Il primo operatore detiene ancora il 50% di market share, significa che ha ancora moltissima influenza, questo non è un bene per il consumatore italiano e spesso molte truffe fatte ai danni dei consumatori creano una situazione confusionaria. I clienti non chiedono l’impossibile, ma un prezzo equo, un servizio decente e la possibilità di migliorare la propria condizione, non perdendo le esigenze basiche. Noi crediamo in un modello fatto di tariffe semplici, trasparenza e strumenti, e soprattutto di flessibilità che permettano davvero di risparmiare, come il nostro Manifesto per l’Energia Giusta.

    E come funziona la flessibilità che proponete?
    “La flessibilità per noi si può attuare in diversi modi. Uno è attraverso le tariffe dinamiche, ovvero prezzi differenziati in base alle fasce orarie. Se, ad esempio, l’energia dalle 12 alle 13 costa dieci volte più che nelle altre ore, anche i clienti meno attenti al prezzo tenderanno a ridurre i consumi in quella fascia. Se questo comportamento viene adottato da molti, il picco di domanda si abbassa naturalmente. Un altro approccio è quello che abbiamo chiamato Energy Break, ovvero flessibilità a richiesta. In pratica, chiediamo ai nostri clienti di modificare i propri consumi in determinati momenti. A ottobre, per esempio, abbiamo proposto una riduzione del 20% dei consumi in una fascia specifica della giornata. La risposta è stata straordinaria: oltre il 70% degli utenti ha partecipato con entusiasmo. Oltre all’impatto concreto sui consumi, c’è stato anche un forte senso di partecipazione collettiva. Le persone hanno aderito volentieri, sentendosi parte di qualcosa di più grande”.

    L’intelligenza artificiale ha un ruolo nel contribuire a rendere il sistema più efficiente e ad abbassare i costi?
    “Qui entra in gioco Intelligent Octopus, un sistema che, tramite un’app, consente di connettere dispositivi ad alto consumo come auto elettriche, pompe di calore e altri elettrodomestici che incidono sui consumi. Il cliente può impostare le sue preferenze: ad esempio, “alle 7 voglio l’auto carica all’80%” o “voglio 20 gradi costanti in casa”. Noi rispettiamo quelle indicazioni, ma nel frattempo ottimizziamo i consumi da remoto, in tempo reale. Se vediamo che l’energia alle 3 di notte costa tre volte meno, attiviamo la ricarica in quell’orario; se alle 4 il costo aumenta, la rallentiamo. Tutto questo avviene automaticamente, più volte al secondo, sfruttando algoritmi intelligenti. Abbiamo già oltre 250.000 dispositivi connessi nel mondo, e ora stiamo partendo anche in Italia, con i primi tester attivi e rilasceremo sempre più funzionalità nei prossimi mesi. Questo permetterà ai consumatori italiani di risparmiare concretamente, e anche alla rete elettrica di beneficiare del servizio”.

    La sfida della sostenibilità, della transizione energetica, dell’energia sempre più green, sono sfide che l’Italia sarà in grado di vincere?
    “Negli anni passati abbiamo attraversato una fase in cui una parte dell’opinione pubblica negava l’esistenza stessa del problema ambientale ed energetico. Quel tipo di negazionismo è andato via via scomparendo, semplicemente perché la realtà è diventata troppo evidente per essere ignorata. Oggi il contesto è diverso: non si nega più il problema, ma ci si divide su come affrontarlo. Ci sono visioni politiche diverse, approcci differenti. Ma intanto è successo qualcosa di fondamentale: le tecnologie sono maturate. La transizione energetica oggi è tecnicamente possibile e anche economicamente vantaggiosa. Certo, la velocità con cui la realizzeremo dipenderà da molti attori — soprattutto istituzionali e politici — ma ignorare l’efficienza e la convenienza delle tecnologie attuali sarebbe un errore ideologico. Anche se l’Italia, in alcuni ambiti, si muove più lentamente rispetto ad altri Paesi, saremo comunque in grado di portare avanti soluzioni concrete e contribuire a velocizzare la transizione. Siamo ottimisti”. LEGGI TUTTO

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    Pettorano sul Gizio, il primo paese a misura d’orso

    Corridoi ecologici per il trekking lontani dalle zone di ripopolamento; recinzioni elettrificate per proteggere alveari, allevamenti e stalle; cancelli e bidoni a prova di orso. E poi manuali per residenti e turisti, corsi di formazione per allevatori e agricoltori, finanziamenti e progetti. Pettorano sul Gizio, borgo alle porte di Sulmona in Abruzzo è diventato la prima Comunità a misura d’orso in Italia ed ora è un “modello” di convivenza. Talmente esemplare che The Guardian ha dedicato al paese un lungo reportage. Al centro di tutto c’è l’orso marsicano, specie tutelata da norme nazionali ed internazionali, ma con un impatto sulle zone urbanizzate. Qui come altrove. Ma allora come ha fatto questo piccolo borgo immerso nella grande Riserva naturale Monte Genziana Alto Gizio a non far scatenare quel conflitto tra fauna selvatica e uomo?

    Biodiversità

    Giornata mondiale della fauna selvatica, Boitani: “Convivere con orsi e lupi si può”

    di Pasquale Raicaldo

    03 Marzo 2025

    “Con molta pazienza da parte di tutti, enti pubblici, associazioni e cittadini. Dopo il grave episodio del 2014 quando un uomo sparò ad un’orsa entrata nel suo pollaio, tutti compresero che bisognava trovare un equilibrio, capire come salvare gli orsi, continuando però a far vivere una comunità in questo paese, senza paura. Quello fu il punto di svolta. Certo ci sono voluti anni per arrivare a questi risultati, ma senza dubbio oggi la coesistenza uomo-orso non solo è migliorata, ma si continua a promuovere il nostro modello altrove”, racconta Antonio Di Croce, direttore della Riserva e coordinatore di Patom, il piano voluto dal ministero dell’Ambiente per la tutela e la conservazione dell’orso marsicano endemico di questa regione.

    Pettorano sul Gizio in provincia dell’Aquila  LEGGI TUTTO

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    Il sacchetto di plastica che si scioglie nell’acqua

    Sembra un prodotto miracoloso. E potrebbe esserlo realmente per l’ambiente. Un sacchetto di plastica che a contatto con l’acqua si scioglie, letteralmente. Si chiama Solubag, l’azienda cilena, che ha creato un materiale in grado di sostituire i sacchetti di plastica, comunemente prodotta con i derivati del petrolio. In realtà la “scoperta” non è recente, perché il viaggio di Solubag è iniziato già nel 2013, quando i quattro fondatori, tutti ricercatori universitari si sono incontrati per la prima volta ad un forum a Concepción, città del Cile e hanno deciso di mettere insieme le loro conoscenze. Inizia così un periodo di ricerca e sviluppo, che un anno dopo, porta il quartetto ad un detergente idrosolubile, che si dissolve completamente a contatto con l’acqua. Da qui la tecnologia originaria, che avrebbe portato alla creazione dei sacchetti solubili. Nel 2016, dopo una serie di test rigorosi, viene creato il primo prototipo di borsa solubile in acqua. Il materiale, infatti, si dissolve completamente quando entra in contatto con l’acqua calda, al contrario dei secoli necessari alla plastica comune per decomporsi nell’ambiente, dove tra l’altro rilascia micro e nanoplastiche estremamente dannose.

    Questi sacchetti rivoluzionari sono fatti di componenti atossici: una sintesi di carburo di calcio e gas naturale. Componenti così innocui che la bustina stessa può essere sciolta, bevuta o addirittura ingerita da esseri umani o animali senza causare alcun problema di salute. Per dimostrarlo, durante un incontro pubblico, i fondatori hanno immerso una delle loro borse in un barattolo pieno d’acqua e dopo averlo agitato fino a quando si è dissolto, hanno bevuto il contenuto. Lo stesso metodo produttivo di SoluBag è parte dell’unicità di questa invenzione, che può essere realizzata utilizzando macchinari altrimenti impiegati per produrre pellicole di plastica. Ma attenzione, nessun pericolo che si sciolga sotto la pioggia mentre si torna a casa dal supermercato, perché il materiale si dissolve in alcuni secondi solo se immerso in acqua a 85° o se lasciato in acqua fredda, ma per diversi giorni. La solubilità, infatti, è calibrata e determinata dalla temperatura dell’acqua: ad esempio, più l’acqua è calda, più velocemente si dissolve. I materiali di cui è composta, sono calcarei, non inquinanti e soprattutto idrosolubili, quindi perfettamente sostenibili.

    Inoltre lo stesso materiale risulta molto versatile, perché può essere utilizzato per produrre una vasta gamma di prodotti, tra cui borse per la spesa, imballaggi, dispositivi di protezione personale come maschere e guanti, e molto altro, mantenendo sempre resistenza e flessibilità simili alla plastica tradizionale. L’obiettivo di SoluBag è evidente. Contribuire ad eliminare i sacchetti di plastica monouso, collaborando con più settori, tra cui importanti aziende come Amazon e Walmart, che utilizzano comunemente imballaggi in plastica per le loro spedizioni e i loro prodotti. Ma non è ancora tutto. Infatti, oltre ai sacchetti, SoluBag vorrebbe contribuire ad eliminare gli imballaggi in plastica che trascuriamo nella nostra vita quotidiana: dai sacchetti per gli escrementi dei cani alle confezioni degli snack, dai sacchetti per la frutta e la verdura alle buste per la spesa.

    La grande innovazione dell’azienda cilena è stata riconosciuta da numerosi riconoscimenti, tra cui il Singularity Award nel 2018, che le ha permesso di presentare il progetto nella Silicon Valley, dando il via all’espansione globale. Ed infatti, con finanziatori americani è partita l’ascesa internazionale, che dal Sud America è arrivata prima negli States e poi in Europa. Oggi Solubag ha stabilito partnership con oltre 30 aziende, tra cui un colosso del tech come Google, ed è attiva in più di 10 Paesi. Ma l’innovazione non si è ancora arrestata. In tempi più recenti, è stato introdotto il primo prodotto alimentare, le arachidi, confezionate con la loro tecnologia innovativa. Una volta consumato, l’imballaggio si dissolve in acqua, che può poi essere utilizzata per innaffiare piante o erba. La soluzione cilena è molto coraggiosa e si pone come sfida alle potenti aziende multinazionali che fanno enormi profitti dalla plastica prodotta con derivati del petrolio. Attualmente la linea di ricerca dell’azienda è sempre più concentrata nel trasformare alcuni dei prodotti monouso presenti sul mercato e più diffusi, in prodotti solubili del tutto ecologici LEGGI TUTTO

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    Trump rilancia l’estrazione del carbone, necessità o propaganda?

    Una nuova perla nella collana di dietrofront climatici e ambientali dell’Amministrazione Trump: ieri il presidente degli Stati Uniti ha firmato una serie di misure che, così sostiene la Casa Bianca, dovrebbero ampliare l’estrazione e l’utilizzo del carbone negli Usa. L’obiettivo dichiarato è alimentare il boom dei data center, ad alto consumo energetico, e di rilanciare […] LEGGI TUTTO

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    Un fondo per impianti di energie rinnovabili a disposizione delle piccole e medie imprese

    Fondo di 320 milioni di euro a disposizione delle piccole e medie imprese per realizzare impianti fotovoltaici e minieolici per la produzione di energia elettrica destinata all’autoconsumo. Bonus a fondo perduto tra il 30% e il 40% del costo dell’impianto a seconda della dimensione dell’impresa. Le domande si possono presentare sul sito di Invitalia fino […] LEGGI TUTTO

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    Marzo il mese più caldo d’Europa e ghiaccio marino artico più basso d’inverno

    Quello di quest’anno è stato il secondo marzo più caldo mai registrato a livello globale, con una temperatura media dell’aria in superficie ERA5 di 14,06 °C, ovvero 0,65 °C in più rispetto alla media del periodo 1991-2020 e 1,60 °C in più rispetto al livello preindustriale di marzo. Sono i dati del servizio Copernicus sui cambiamenti climatici (C3S), implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine per conto della Commissione europea con finanziamenti dell’Ue, pubblica regolarmente bollettini climatici mensili.

    Marzo 2025 è stato di 0,08 °C più fresco rispetto al marzo record del 2024 e solo marginalmente più caldo (di 0,02 °C) rispetto al terzo marzo più caldo, quello del 2016. Marzo 2025 è stato il 20esimo mese degli ultimi 21 mesi in cui la temperatura media globale dell’aria in superficie è stata superiore di oltre 1,5 °C rispetto al livello preindustriale. Il periodo di 12 mesi da aprile 2024 a marzo 2025 è stato di 0,71 °C superiore alla media 1991-2020 e di 1,59 °C superiore al livello preindustriale.

    Secondo Samantha Burgess, Strategic Lead for Climate presso ECMWF, “Marzo 2025 è stato il marzo più caldo per l’Europa, evidenziando ancora una volta come le temperature continuino a battere i record. È stato anche un mese con estremi di precipitazioni contrastanti in tutta Europa, con molte aree che hanno vissuto il loro marzo più secco mai registrato e altre il loro marzo più umido mai registrato negli ultimi 47 anni”. LEGGI TUTTO

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    La lotta alla crisi climatica ha bisogno dell’Unione europea

    Sono Jacopo, ho 35 anni, sono un ricercatore e ho l’onore di essere presidente di una rete di esperti e giovani esperti italiani sul clima, Italian Climate Network, attiva dal 2011. “Abbiamo a cuore il nostro Pianeta e vogliamo agire per il clima!”, è la frase che troverete sul nostro sito. Lavoriamo, disseminati tra l’Italia e l’Europa, affinché il tema dei cambiamenti climatici diventi prioritario nel dibattito pubblico e occupi un ruolo centrale nell’agenda politica nazionale. Lo facciamo lavorando nelle scuole, formando insegnanti e giornalisti, producendo reportistica dai negoziati ONU. Ci siamo chiesti, e ci hanno chiesto, “ma noi e il clima, con la Piazza per l’Europa, che c’entriamo?”. C’entriamo eccome, c’entra il clima, e c’entrano i valori alla base di questa nostra Unione Europea. Presente e prospettiva, due letture. Secondo Copernicus, cioè secondo i nostri satelliti europei sul clima, il 2024 è stato non solo l’anno più caldo di sempre nel mondo, ma anche il primo in cui abbiamo superato la soglia critica di 1,5 gradi di riscaldamento medio globale, avvicinandoci pericolosamente ai limiti entro i quali possiamo ancora stare negli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015 (sono già passati dieci anni, incredibile vero?).

    Poi, cito. “L’essere umano è un animale abitudinario e intellettualmente assai resiliente, e soprattutto restio ai cambiamenti di paradigma [..] è questa la ragione che spesso fa apparire l’ecologia come una posizione estrema e radicale e il percorso che ne sta alla base come utopico. [..] (Ma) non c’è niente di radicale nell’ecologia e niente di utopico nel difficile percorso [della transizione ecologica]”. Siamo un’associazione che basa il proprio lavoro su evidenze e dati scientifici come quelli di Copernicus, ma siamo anche consapevoli che per portare quei dati al pubblico serva qualcosa di più, serva una costruzione sociale e politica, serva una desiderabilità, diceva Alexander Langer. Le parole che ho citato poco fa sono invece di un filosofo, Andrea Porciello. Le cito spesso quando vado nelle scuole a incontrare gli studenti. Rispetto al disastro climatico dobbiamo portare qui una riflessione su cosa sia estremo, su cosa sia radicale, su cosa sia necessario, su cosa sia – pragmaticamente parlando – difficile. Non siamo ingenui. Né sul clima né sull’Europa. Torno sulla parola difficile. La decarbonizzazione su larga scala che ci chiede la scienza da almeno 40 anni è infatti difficile, sappiamo che significa cambiare il modo in cui viviamo, produciamo, commerciamo, servono impegno e risorse, tante. Ma sarebbe ancora più terribile non farlo e per fortuna i modi per agire e programmare ci sono.

    Difficile non equivale a impossibile, soprattutto quando quel difficile è necessario. Senza un’idea pratica e realizzata di Europa unita, pur con tutti i limiti del presente, forse non avremmo mai avuto a disposizione, come società, tutti gli strumenti tecnici, scientifici, culturali, politici per vedere quel lavoro difficile come necessario. Li abbiamo avuti grazie alla possibilità per milioni di noi di studiare e lavorare in altri Paesi. Li abbiamo avuti grazie alla libertà di movimento interna di idee, persone, emozioni e visioni di mondo tra popoli fino a pochi decenni fa divisi da odii, muri, visti, file ai consolati, filo spinato alle frontiere. Penso poi all’Europa dell’originaria ambizione del Green Deal, oggi sotto attacco, dei progetti LIFE e Horizon, della diplomazia del clima, delle borse di studio Marie Sklodowska-Curie per le materie scientifiche, penso all’Europa di Copernicus, appunto, che permette a ognuno e ognuna di noi oggi in piazza di accedere gratuitamente ai dati satellitari sul nostro clima. Proprio in queste settimane, dall’altra parte dell’oceano, strumenti simili vengono indeboliti o cancellati nel nome del risparmio di spesa, che non è altro che negazionismo fossile. Siamo consapevoli che dei nostri compagni di viaggio guardano questa piazza con diffidenza, viste le contingenze politiche. Noi siamo qui per un’idea di unione lunga e proiettata nella storia, basata su valori forti, che va oltre i singoli fatti dell’oggi e le attuali contraddizioni. Quella stessa idea lunga che muoveva chi, in un contesto storico terribilmente meno “comodo” del nostro, sognava e scriveva di un continente che rinunciava alle armi ed alla violenza per dedicarsi alla pace e all’unione dei popoli.

    Noi oggi siamo qui anche sulla base di un’evidenza semplice: dove c’è un conflitto armato non può esserci azione per il clima. Punto. Deve essere chiaro che ogni pezzo del nostro Pianeta dove si bombarda, si uccide, si distrugge, quelli sono ettari di terra sottratti al futuro del clima, oltre che dell’umanità. Ma torniamo al senso di questa piazza, oggi. Ho provato a immaginare il nostro lavoro, i nostri sogni (noi ma soprattutto i più giovani, ci riusciamo ancora?) le nostre prospettive, ecco, in un futuro in cui l’Europa non c’è. In cui smettiamo di collaborare, di parlarci, di lavorare assieme, in cui i programmi di ricerca non vengono finanziati, l’azione per il clima non viene sostenuta dalle istituzioni, la società civile non viene protetta, in cui un attivista può sentirsi sotto attacco molto più di un’azienda che ancora vende gas o petrolio. Purtroppo, stiamo già vivendo un po’ di questo non-futuro anche nel nostro continente, ma se siamo bravi dovremmo riconoscerlo e costruire una cosa diversa, no? Mi impegno a evitare espressioni che guardano al passato. Avanti. Ognuno di noi è chiamato a costruire. Per quel percorso lungo e difficile che porta all’uscita dalle fonti fossili, alla fine dei sussidi ambientalmente dannosi, a paesaggi di rinnovabili in un ambiente salubre e pulito, ecco per quel percorso noi crediamo che serva come cornice un’idea grande da inseguire e costruire senza dare niente per scontato, senza nuovi fili spinati e con le parole come strumento di dialogo, non le armi, le rinnovabili e non il gas e il petrolio, una visione che unisca tutti da Belfast a Belgrado – e cito volutamente ferite ancora aperte nella nostra storia. E allora l’Europa che vogliamo, verde, accogliente e pacifica passa anche da un impegno appunto estremo, radicale, in ultima analisi utopico, come altri descrivono la nostra lotta per il clima. 60 anni fa l’Europa unita, l’Erasmus e Copernicus non c’erano. Pensarci era abbastanza estremo se non ridicolo, era sicuramente radicale, era decisamente utopico. Eppure. Non guardiamo solo a cosa siamo oggi, in questo scuotersi del mondo. Per costruire serve coraggio e crediamo ci siano tutte le condizioni per farlo. E credo che queste lotte stiano, in ultima analisi, in una stessa unica prospettiva, contraria ad ogni negazionismo antistorico ed antiscientifico. Come dicevo in apertura, siamo qui perché abbiamo risposto a una chiamata su questa idea grande, su quei valori fondativi e.. rinnovabili, oggi sotto attacco anche dall’interno, e questo ci impone come società civile di rimanere vigili; abbiamo risposto a una chiamata dicevo, e non potevamo che rispondere affermativamente. Grazie.
    *(L’autore è presidente di Italian Climate Network) LEGGI TUTTO