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    Museo d’Orsay e i 100 capolavori che raccontano il clima

    La Normandia dipinta da Monet, Coubert e Caillebotte, i paesaggi di Delacroix. Pittori che già due secoli fa raccontavano il cambiamento climatico. Avevano colto i segni di quanto la rivoluzione industriale stava trasformando l’ambiente intorno a loro. Parte da questa considerazione l’idea del celebre Musèe d’Orsay di Parigi che da marzo al 15 luglio propone la mostra “100 œuvres qui racontent le climat”. Capolavori che lasceranno uno dei più prestigiosi musei del mondo per questa mostra itinerante in 12 regioni francesi. 31 gli istituti d’arte coinvolti, alcuni dei quali presteranno le loro opere.
    L’origine dalle trasformazioni del XIX secolo
    L’obiettivo è di accompagnare i visitatori in un “racconto del clima” attraverso quadri dipinti tra la metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Le opere selezionate testimoniano, infatti, i rivolgimenti iniziati nel XIX secolo, nel pieno dell’industrializzazione, e raccontano le origini delle sfide climatiche che ci troviamo ad affrontare oggi. Il periodo coperto dalle collezioni esposte va dal 1848 al 1914, segnato dall’ascesa dei trasporti e dalle grandi accelerazioni tecnologiche sostenute dall’uso del carbone, del gas e del petrolio. Proprio sotto la spinta di questi cambiamenti, i paesaggisti francesi della metà del XIX secolo furono i primi a sostenere l’importanza della salvaguardia della natura.

    Come ha spiegato Sylvain Amic, presidente dell’Istituto pubblico del Musée d’Orsay e del Musée de l’Orangerie – Valéry Giscard d’Estaing durante la presentazione al Museo d’Orsay: “Più che una riflessione, questo progetto è un invito all’azione. Intrecciando legami tra arti, scienze e territori, le ‘100 opere che raccontano il clima’ ci incoraggiano a pensare al futuro con lucidità ma anche con speranza, trovando nel patrimonio una fonte di ispirazione e impegno”.

    La truite di Gustave Courbet  LEGGI TUTTO

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    Le case green? Si costruiscono con i container da smaltire

    Secondo la direttiva UE Case Green le nostre abitazioni dovranno consumare sempre meno energia e raggiungere la classe energetica E entro il 2030 con l’obiettivo emissioni zero del patrimonio edilizio europeo entro il 2050. Attualmente gli edifici, infatti, rappresentano circa il 40% del consumo energetico totale dell’UE, producendo il 36% delle emissioni inquinanti. Numeri importanti, per questo motivo il pacchetto normativo Ue punta non solo a migliorare l’efficienza energetica degli edifici esistenti, ma anche a garantire che le nuove costruzioni abbiano un impatto ambientale ridotto. Dai paesi del Nord Europa, da sempre più avanzati nello sviluppo di soluzioni abitative più ecologiche, arriva l’esempio di Keetwonen, in Olanda il più grande complesso di case fatte con container, destinate ad offrire una soluzione economica a circa 1.000 studenti, in una città come quella di Amsterdam, dove i prezzi degli affitti sono piuttosto elevati. In Danimarca, c’è un altro progetto, il CPH Village, mini-appartamenti per studenti anche questi costruiti con container dismessi, con una spesa media del 30% inferiore rispetto a case tradizionali.

    Transizione ecologica

    “Il mio bisnonno produceva sapone, oggi sviluppiamo materiali naturali dal sughero per case green”

    di Dario D’Elia

    19 Marzo 2025

    Le abitazioni costruite con container dunque, stanno diventando una soluzione abitativa sempre più diffusa grazie alla loro economicità, sostenibilità e rapidità di realizzazione. I container, abitualmente usati nel trasporto marittimo, a bordo di navi che trasportano merci in tutto il mondo, infatti, possono diventare spazi personalizzabili, riciclando circa 2 milioni di container che ogni anno vengono dismessi. Un’operazione che se compiuta su grande scala, sarebbe un esempio virtuoso di economia circolare. Ed i vantaggi non sono pochi. Uno dei principali è il basso costo, considerando che una casa in container varia tra 800 e 1.500 euro al metro quadrato, a seconda del livello di finitura e degli impianti installati. Altro punto di forza è la modularità dei container che possono essere assemblati in diverse configurazioni, per creare ambienti più ampi e complessi, adattandosi alle esigenze di chi li abita. La loro resistenza strutturale, progettata per affrontare condizioni atmosferiche estreme, li rende sicuri e durevoli nel tempo. Il fascino di queste abitazioni risiede nella loro versatilità e nel connubio tra innovazione e rispetto per l’ambiente e potrebbero rappresentare una soluzione utile anche in Italia per diverse ragioni: tra cui l’emergenza abitativa, visto che le case in container potrebbero offrire una soluzione rapida ed economica per il social housing, fornendo alloggi temporanei o permanenti per persone in difficoltà o ancora in caso di disastri naturali, come i terremoti, per la rapidità di costruzione.

    Inoltre l’Italia è uno dei Paesi più visitati al mondo e le case in container potrebbero essere utilizzate anche nel settore turistico, come strutture ricettive sostenibili, bungalow o eco-lodge. Ovviamente non mancano le criticità, come l’isolamento termico e acustico, infatti, i container sono costruiti in acciaio, che conduce facilmente sia il calore che il freddo, rendendo indispensabile l’installazione di adeguati sistemi di coibentazione. Se la direttiva europea stabilisce requisiti rigorosi per ridurre il consumo energetico, in questo caso, i container possono rappresentare una valida alternativa, ma solo se progettati secondo i criteri di efficienza, come l’uso di materiali isolanti avanzati e sistemi di energia rinnovabile. Nel nostro paese, c’è un’azienda specializzata in questo processo trasformativo – da container navali ad abitazioni – si chiama Green Living, ed è stata fondata nel 2016 da Vincenzo Russi, bio-architetto molto attivo anche nel promuovere green e sostenibilità delle abitazioni, di cui parlerà anche a Edilsocialnetwork BCAD, la fiera internazionale di Edilizia, Architettura e Design, a La Nuvola di Roma (19-21 settembre).

    Russi a Green&Blue ha spiegato come funziona il processo di trasformazione e quali sono gli aspetti di sostenibilità più importanti di una casa-container. “Acquistiamo container di due dimensioni, 16 e 35 metri quadri, che andrebbero in dismissione dopo aver svolto la loro attività di trasporto merci per 5 anni. Sono fatti di acciaio corten, il più resistente in commercio, praticamente indistruttibili, e ridiamo loro nuova vita connettendoli uno con l’altro, come dei mattoncini Lego, per realizzare case dai 50 ai 500 metri quadri, o altre soluzioni, come una caserma dei Carabinieri che abbiamo realizzato a Ravenna”, evidenzia Russi, che ha scoperto questo sistema di costruzione nel Regno Unito, e ha importato per primo l’idea in Italia, dopo aver studiato il modo di adattare le case-container alla normativa italiana, più restrittiva rispetto ad altri Paesi.

    Ricerca

    Così l’edilizia studia come intrappolare la CO2 nei materiali da costruzione

    di Sara Carmignani

    17 Gennaio 2025

    Tra i motivi che spingono una persona ad una soluzione abitativa così alternativa, in primis ci sono i costi. “Sono inferiori rispetto alle case in legno e costano la metà rispetto alle case tradizionali, si costruiscono rapidamente e sono resistenti anche a livello sismico”, spiega Russi. Ed a proposito di costi, “una villetta di 100 metri costa circa 80mila euro, indipendentemente dal costo del terreno, che varia in base alla location”, senza contare che se costruire una casa tradizionale genera in media 50 tonnellate di CO?, una casa in container può ridurre le emissioni fino al 60%, soprattutto se realizzata con materiali isolanti naturali.

    E dal punto di vista energetico? “Una casa-container ha la stessa coibentazione di una casa in legno, per essere riscaldata usiamo pompe di calore connesse all’impianto fotovoltaico da 8 kw ed alle batteria da 12 kw per l’accumulo energetico, che rendono la casa del tutto autosufficiente – evidenzia ancora Russi – senza contare che l’impiego di cemento si riduce ad appena 20 centimetri usati per il piano terra, su cui sono poggiati i container, per cui siamo totalmente dentro i parametri della direttiva Case Green”. LEGGI TUTTO

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    Non solo uragani, le parole del meteo estremo

    Ormai sappiamo cosa intende per uragano o tifone, mentre è meno noto il significato di “dust devil”. Anche il linguaggio risente degli effetti della crisi climatica e i termini legati alla meteorologia sono sempre più frequenti nell’uso comune e si arricchiscono di definizioni tecniche che rimandano agli eventi estremi. In occasione della Giornata mondiale della meteorologia l’app Babbel propone un glossario per comprendere l’etimologia di alcune parole che sentiamo sempre più spesso. Eccone alcune.

    Ciclone, uragano e tifone
    Un evento atmosferico devastante, contraddistinto da forti e impetuose raffiche di vento e piogge torrenziali, è generalmente categorizzabile con la denominazione ciclone; questo termine affonda le sue radici etimologiche nel greco kùklos, ovvero “cerchio” o “giro”: a livello satellitare, infatti, i cicloni sono distinguibili per le loro dense nubi a forma circolare che si sviluppano intorno ad un “occhio”, il punto centrale più calmo dove i venti si placano. Tuttavia questa perturbazione violenta, esacerbata dall’aumento delle temperature globali, assume nomi diversi a seconda della zona in cui si sviluppa e si abbatte. Ad esempio con uragano, o ciclone tropicale, si fa riferimento alla tempesta che interessa principalmente il Centro e il Nord America; nella zona del centro-America, in particolare, si utilizza il termine proveniente dallo spagnolo di origine caraibica huracán, ovvero il nome del terribile dio indigeno al comando del vento e delle tempeste. Mentre al largo e sulle coste dell’Oceano Pacifico e del Mar Cinese nascono i tifoni, un vocabolo preso in prestito dalla lingua cinese, dove t’ai fung significa “grande vento”, in riferimento alla potenza dei venti che caratterizzano questo fenomeno distruttivo.

    Società

    “Treintrots” e altri neologismi climatici, così la crisi cambia la nostra lingua

    di Pasquale Raicaldo

    17 Gennaio 2025

    Tsunami
    Conosciuto anche come maremoto nella lingua italiana, lo tsunami è uno degli eventi naturali potenzialmente più catastrofici. Questo fenomeno colpisce principalmente le aree soggette a terremoti subacquei i quali, a seconda della loro intensità, possono generare onde anomale, che raggiungono fino a 50 metri di altezza nei casi più estremi. Mentre il termine italiano “maremoto” richiama la caratteristica oscillazione delle onde del mare a seguito di una scossa, in giapponese il termine “tsunami” ha un significato letterale di “onde sul porto”, essendo etimologicamente composto da due kanji, tsu, che significa “porto”, e nami, che può voler dire “maroso” o “grande onda”. La denominazione giapponese di questo fenomeno violento è ormai entrata nel linguaggio comune, soprattutto per la frequenza con cui questi eventi estremi si verificano sulle coste del Giappone, un’area geografica fortemente soggetta a sismi di magnitudo elevata.

    Tornado
    Con il termine “tornado”, o tromba d’aria in italiano, si indica il vortice intenso di nubi e vento alimentato da correnti di aria calda e fredda che nasce da una cella temporalesca. Questo fenomeno si verifica sempre più frequentemente in diverse regioni a causa del surriscaldamento globale che, con l’aumento della temperatura atmosferica, favorisce la formazione di trombe d’aria. La parola “tornado” deriva dal termine spagnolo “tronada”, che significa “tempesta” o “temporale”, a sua volta derivato dal verbo tronar (“tuonare”); successivamente, il termine si è evoluto in “tornado”, con riferimento al moto rotatorio del vento tipico del fenomeno (dal participio del verbo spagnolo “tornar” ovvero “girare”). Una versione informale, utilizzata soprattutto negli Stati Uniti, per descrivere questo evento atmosferico è twister la cui etimologia richiama, anche in questo caso, la forma turbinosa del vortice, dal verbo inglese twist che significa “ruotare”.

    Derecho
    Tra aprile ed agosto uno dei fenomeni estremi più frequenti, soprattutto negli stati del Midwest statunitense, è il “derecho”. Questa tempesta è caratterizzata principalmente da improvvisi rovesci di pioggia e da forti venti, che possono essere paragonabili in potenza e velocità a quelli generati dagli uragani e dai tornado. Per descrivere questo tipo di fenomeno atmosferico violento i meteorologi hanno coniato il termine derecho, che in spagnolo significa “dritto”, per contraddistinguere i venti lineari, tipici di questo evento naturale, che si muovono appunto in linea retta, differenziandosi da quelli invece ruotanti dei tornado. Negli ultimi anni, a causa dell’aumento delle temperature e, soprattutto, dell’umidità, queste tempeste improvvise sono arrivate ad interessare anche le coste italiane provocando numerosi danni.

    Willy willy
    Chiamato anche dust devil, ovvero “diavolo di polvere”, il “willy willy” è un fenomeno molto particolare che interessa le zone desertiche dell’outback australiano. Si tratta di alte colonne di sabbia e polvere che, a differenza dei tornado, nascono e si innalzano direttamente dal suolo e, seppur simili nella forma, risultano decisamente meno distruttive. Come sottolinea Gianluca Pedrotti di Babbel, l’origine etimologica del termine è incerta, ma si ritiene che “willy-willy”, ampiamente usato dagli australiani, derivi dal nome con cui le popolazioni aborigene, in lingua Yindjibarndi e Wemba-wemba, descrivevano degli spiriti maligni che si manifestavano appunto sotto forma di vortici di sabbia. Il fenomeno dei “vortici di polvere” è diffuso in numerosi Paesi ed è noto con nomi differenti, spesso connessi ad un elemento divino, come “diablo de polvo” (“diavolo di polvere”) in Messico e “Djin” o “Jinn”, in riferimento agli spiriti del vento nella mitologia islamica, in Egitto e in Medio Oriente.

    Eruzione vulcanica, capelli di Pele e lahar
    Il termine eruzione, che deriva dal verbo latino erumpere ovvero “erompere”, descrive la natura dirompente ed esplosiva di questo fenomeno. Le eruzioni vulcaniche hanno effetti collaterali importanti sia sull’ambiente che sul clima, essendo ad esempio in grado di influenzare le temperature a causa dell’elevata produzione di anidride carbonica che comportano. Inoltre, portano con sé fenomeni secondari, come la formazione dei cosiddetti capelli di Pele e del lahar, entrambi potenzialmente distruttivi. I “capelli di Pele” sono sottili filamenti di vetro vulcanico, formati dalle fontane di lava durante un’eruzione (che prendono il nome dall’omonima dea hawaiana che governa il fuoco ed i vulcani); sebbene ricordino una morbida chioma dorata, diventano particolarmente pericolosi e abrasivi se trasportati ad alte velocità dal vento. In Indonesia, invece, la lava raffreddata miscelata con acqua e rocce vulcaniche viene chiamata in lingua giavanese “lahar”; la sua consistenza assomiglia a quella densa del cemento fresco e, se smosso, può provocare frane e travolgere le aree circostanti per diversi chilometri, con gravi conseguenze per l’ambiente e le abitazioni.

    Cataclisma
    Negli ultimi anni questo termine ha iniziato sempre di più a far parte del vocabolario comune per descrivere eventi di natura dirompente e distruttiva, che interessano varie zone del mondo e sotto diverse forme. Nei tempi antichi il cataclisma era strettamente legato a catastrofi causate dall’acqua, come indicato dall’etimologia greca kataklysmós, che significa “inondazione”, derivata dal verbo kataklýzein, composto dalle particelle katá ovvero “giù” e klýzein ovvero “lavare, bagnare”. Oggi, con l’intensificarsi in potenza e frequenza di fenomeni estremi come tornado, uragani ed eruzioni vulcaniche, il termine cataclisma ha assunto un significato più generico, che fa riferimento a qualsiasi situazione che arrechi danni estesi a persone e ambiente. LEGGI TUTTO

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    Lavori green, Alice Pomiato e la sostenibilità: i social per aiutare l’ambiente

    Questa è la storia di due crisi. Una personale, l’altra globale. Una è quella di Alice, 33 anni, green influencer, l’altra quella del Pianeta in cui viviamo. Tutto comincia nel 2015, quando Alice Pomiato, con una laurea in Comunicazione, inizia a lavorare in varie agenzie di pubblicità. Ma il suo disagio cresce sempre di più. […] LEGGI TUTTO

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    Earth Hour, donare un’ora di luce per il futuro della Terra

    Donare un’ora di buio per rendere più luminoso il futuro del nostro Pianeta. Con questa parola d’ordine il 22 marzo alle 20.30 tanti monumenti in tutta Italia si spegneranno in occasione di Earth Hour, l’Ora della Terra, la più grande mobilitazione ambientalista al mondo organizzata dal Wwf, giunta alla sua 19esima edizione, a sostegno e […] LEGGI TUTTO

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    Giornata internazionale dei ghiacciai: tre nuove missioni per Unesco e Ca’ Foscari

    Dopo la tutela del mare, i ghiacciai. In occasione della Giornata Internazionale dei Ghiacciai, il Gruppo Prada e la Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’Unesco, nell’ambito di Sea Beyond, hanno annunciato il supporto a “Follow the Ice – La memoria dei Ghiacci”, il progetto della Fondazione Università Ca’ Foscari Venezia per diffondere consapevolezza sull’importanza dei ghiacciai come risorsa naturale, paesaggistica, culturale e scientifica, e realizzare allo stesso tempo attività di ricerca. LEGGI TUTTO

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    Troppe api per poco nettare: la lotta per sopravvive tra quelle selvatiche e da miele

    Responsabili di circa il 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali viventi sul pianeta, le api sono forti e fragili allo stesso tempo e vanno protette. Senza contare che il 35% della produzione alimentare mondiale (frutta, verdura e cereali) dipende dagli insetti impollinatori.
    Pochi sanno che solo in Italia, esistono oltre mille specie di api che svolgono ruoli cruciali negli ecosistemi pur non producendo miele. Proprio la competizione tra due specie diverse, le api da miele e quelle selvatiche è il focus della ricerca condotta in sinergia tra le Università di Firenze e di Pisa. Andata avanti per quattro anni sull’isola di Giannutri è stata ora pubblicata sulla rivista Currente Biology. Finanziata con fondi provenienti dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, dal Programma Operativo Nazionale (Pon) del Ministero della Ricerca e dal National Biodiversity Future Center (centro nazionale finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma #NextGenerationEu).

    L’isola di Giannutri  LEGGI TUTTO

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    In Spagna passa un escamotage per poter abbattere i lupi. E in Italia cresce la richiesta di sparare

    Una volta, quando si gridava “al lupo al lupo”, difficilmente si cascava nel tranello. Oggi invece non solo è probabile che sia vero, ma c’è anche grande incertezza su come reagire. Questo perché dopo anni di leggi, dalla direttiva Habitat ai piani nazionali sulla protezione del lupo, in Europa sta avvenendo nell’ultimo anno una trasformazione nei confronti di questo predatore, un passaggio che include confusione, attese e talvolta proteste. Partiamo da un fatto: dopo anni di graduale scomparsa del lupo a causa di caccia e allontanamenti, come in Italia dove negli anni Settanta ne rimanevano poche centinaia di esemplari, oggi questo mammifero è in fortissima ripresa. In Europa, racconta un nuovo studio, i lupi sono praticamente raddoppiati in un decennio. Cresciuti del 58%, ormai in diversi stati dalla Germania alla Polonia molti paesi ospitano oltre il migliaio di lupi: in Italia per esempio se ne contano almeno 3.300 soprattutto nei nostri Appennini. In 10 anni si è passati da 12 mila lupi europei a 21.500 in 34 Paesi.

    Biodiversità

    Lupi, in Europa aumentati del 60% in un decennio: sono 21.500

    di Fiammetta Cupellaro

    19 Marzo 2025

    Quest’ottima notizia in termini di conservazione della specie e di ripresa della biodiversità, visto il ruolo centrale che questo predatore ha per esempio nella catena alimentare, spesso non corrisponde però con le esigenze di coloro che vivono in zone di lupi, dove la convivenza uomo-predatori si fa sempre più complessa. Di conseguenza, su più filoni, si sta tentando di allentare la presa delle protezioni per poter tornare – in casi specifici – ad uccidere i lupi. L’ultima mossa in ordine di tempo è quella della Spagna: con un voto non privo di polemiche poche ore fa il Parlamento spagnolo ha infatti approvato una misura che di fatto revocherà il divieto di caccia ai lupi imposto nel 2021. La coalizione guidata dal Partito popolare conservatore, insieme alla destra Vox e i nazionalisti baschi e catalani ha aggiunto un emendamento a una legge sulla riduzione dello spreco alimentare e, sostenendo che i lupi producono rifiuti alimentari per via di pecore e bovini che uccidono ogni anno, di fatto viene autorizzato l’abbattimento in aree specifiche., in particolare nelle zone rurali a nord del fiume Duero.

    Ovviamente WWF e altre associazioni animaliste hanno protestato contro questo escamotage, una decisione basata sull’ “opportunismo politico” in quella che è stata definita come una “giornata tragica per la protezione del lupo”, ma dall’altra parte i sostenitori del nuovo emendamento hanno ricordato che oggi sono “i pastori a non avere protezione”, allevatori che denunciano la morte di 15mila animali da fattori all’anno per via dei predatori. Questo cambiamento di rotta in ambito giuridico in Spagna non è isolato dal nuovo sentimento, nei confronti del lupo, che sta attraversando l’Europa. La Commissione europea infatti, di recente a dicembre, ha ridotto lo status di specie protetta dei lupi da “strettamente protetta” a “protetta”, una politica sostenuta dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, dopo che un lupo in passato aveva ucciso il pony domestico della sua famiglia.

    Biodiversità

    Giornata mondiale della fauna selvatica, Boitani: “Convivere con orsi e lupi si può”

    di Pasquale Raicaldo

    03 Marzo 2025

    La modifica della Convenzione di Berna punta a cambiare le regole sulla protezione dei lupi all’interno dell’Unione Europea sull’onda di molte proteste da parte degli allevatori che hanno subìto perdite economiche per gli attacchi al bestiame ma attualmente, nonostante ci sia confusione tra i cittadini europei su questo punto, non permette ancora gli abbattimenti. Uno specifico animale “problematico” già oggi se ci sono determinati criteri comprovati può essere abbattuto e ucciso, come è scritto anche nella direttiva Habitat dell’Ue quando ci sono ad esempio questioni di sicurezza pubblica o altre ragioni. Ma in generale non si possono cacciare i lupi che, anche con la modifica della Convenzione di Berna, resteranno ancora protetti. Se però l’emendamento sarà approvato da Parlamento e Consiglio, in sostanza dai governi dei Paesi membri, in futuro ci saranno meno rigide restrizioni e dunque sarà più possibile ottenere permessi per uccidere. Allo stato delle cose, nonostante le volontà europee e le nuove scelte della Spagna, e nonostante anche la Svizzera per esempio nel canton Ticino stia ragionando sugli allentamenti alle protezioni, in Italia non si possono cacciare lupi.

    Da noi per procedere ad un eventuale abbattimento bisogna passare per un parere preventivo dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e poi l’autorizzazione del ministero dell’Ambiente su richiesta da parte della Regione. Eppure, in alcune regioni, come la Toscana, negli ultimi giorni la scia delle nuove decisioni europee ha portato a credere e rilanciare nella possibilità di sparare ai lupi. Qui, come in altre zone d’Italia, ci sono tantissimi casi di predazione e sono nati per esempio comitati spontanei – come il Comitato Emergenza Lupo di Arezzo – dove i cittadini stanchi delle uccisioni e dei danni agli allevamenti condividono informazioni su come comportarsi. Fra le ultime notizie diffuse, anche quelle apparse su alcune giornali locali in cui si parlava del via libera all’uccisione di una ventina di lupi in Toscana, facendo riferimento a un nuovo protocollo Ispra. Di conseguenza in molti, nella regione, hanno pensato che si potesse tornare ad uccidere (tramite cacciatori autorizzati). Notizia che però la Regione ha poi smentito precisando che non si tratta di un via libera agli abbattimenti, ma di protocolli che, in attesa probabilmente a settembre di capire quale sarà la decisione definitiva dell’Europa, aiuteranno a comprendere come gestire la convivenza uomo-lupo. LEGGI TUTTO