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    Eventi meteo estremi, scattano le polizze obbligatorie per le imprese

    Eventi estremi sempre più frequenti e obbligo di polizze catastrofali in vista per le imprese, a partire dal 1° gennaio del prossimo anno. Già varato il decreto con le norme attuative. Nella manovra per il 2025 potrebbero esserci novità anche per i privati, ma al momento il governo è ancora diviso su questo, Per chi volesse assicurare la casa anche senza obbligo di legge, comunque, già oggi è prevista la detrazione del 19%. Detrazione che arriva al 90% se sono stati fatti lavori di Superbonus.

    Le regole per le imprese
    Il decreto attuativo delle norme introdotte dalla legge di Bilancio 2024, messo a punto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze d’intesa con il ministero delle Imprese e del Made in Italy, prevede l’obbligo per le imprese di stipulare polizze di assicurazione relativamente ai danni causati da calamità naturali ed eventi catastrofali (alluvioni, inondazioni, esondazioni, terremoti e frane). Dovranno essere assicurati terreni, fabbricati, impianti, macchinari e attrezzature industriali e commerciali, iscritti a bilancio. Interessate tutte le imprese con sede legale o stabile organizzazione in Italia. Se le imprese non attivano la copertura assicurativa scatta la decadenza degli incentivi pubblici, tra i quali potrebbero rientrare anche le garanzie sui prestiti bancari.

    Dalle assicurazioni rimborso anticipato del 30%
    Con il ddl ricostruzione, ora all’esame del Parlamento, si introduce poi l’obbligo per le imprese assicurative di corrispondere un anticipo del 30% del danno per i sinistri legati a eventi catastrofali. Una disposizione, spiega il Mimit, volta a garantire maggiore certezza nella liquidazione dei danni alle imprese assicurate, permettendo loro di accedere immediatamente a risorse fondamentali per una rapida ripresa delle attività.

    I premi saranno proporzionali al rischio, tenendo conto delle caratteristiche del territorio e della vulnerabilità dei beni assicurati. Le compagnie hanno l’obbligo di contrarre le polizze: la Sace, il Gruppo assicurativo-finanziario direttamente controllato dal Mef, potrà riassicurare il rischio assunto dalle compagnie mediante la sottoscrizione di apposite convenzioni, a condizioni di mercato.
    Le assicurazioni sulle case
    Per quel che riguarda eventuali obblighi per i privati al momento nel governo prevale la cautela, dopo lo scontro dei giorni scorsi tra il ministro della Protezione civile Nello Musumeci che aveva ventilato la possibilità di un “obbligo” e la netta contrarietà espressa dalla Lega. Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha mostrato prudenza sulla possibilità di un obbligo assicurativo per le case, mentre parla di “riflessioni in corso” il sottosegretario al Mef Federico Freni, secondo cui “è ovvio che non si possa imporre al cittadino” la sottoscrizione.

    Il bonus sugli immobili abitativi
    Per chi sceglie di mettersi al riparo dai questi rischi, comunque, già oggi ha la possibilità di detrarre il 19% della spesa, come accade per le polizze vita. Ai fini del bonus l’assicurazione deve avere espressamente per oggetto il rischio di eventi calamitosi, ossia si deve trattare di una polizza dedicata e non di una assicurazione per rischi generica. La detrazione è riconosciuta su un importo massimo di spesa di 530 euro l’anno. Le polizze sono detraibili anche quando si tratta di assicurazioni condominiali, in questo caso per la quota millesimale pagata. Nel caso di interventi di Superbonus realizzati su immobili che si trovano in zone ad alta pericolosità (zone sismiche 1, 2 e 3), è invece riconosciuta una detrazione con aliquota maggiorata al 90%. LEGGI TUTTO

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    Ispra e gli ecosistemi urbani da ripristinare: ecco la mappa

    C’è la mappa per ripristinare il tesoro. Quest’estate, a giugno, l’Europa dopo un lunghissimo e incerto iter ha approvato la Nature Restoration Law, la legge che impone di ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030.
    Significa che, in maniera vincolante, i vari Paesi devono attuare misure per recuperare i nostri tesori naturali degradati: gli ecosistemi terrestri, costieri e d’acqua dolce, forestali, agricoli e urbani, comprese le zone umide, le praterie, le foreste, i fiumi e i laghi. Per gli habitat ritenuti in “cattive condizioni” gli Stati dovranno attuare misure per ripristinarne “almeno il 30% entro il 2030, almeno il 60% entro il 2040 e almeno il 90% entro il 2050”.

    Per riuscire in questa impresa non semplice è però fondamentale sapersi orientare, capire come e dove – già dal 2024 – attuare politiche di ripresa per la natura. Uno strumento utile per questa sfida lo mette ora a disposizione l’Ispra: l’Atlante ambientale italiano è stato infatti aggiornato e indica tutti quegli ecosistemi urbani che avranno bisogno di essere curati. LEGGI TUTTO

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    Per il cioccolato del futuro senza cacao, la startup pugliese Foreverland raccoglie 3,4 milioni

    Fondata a Conversano, in provincia di Bari, a maggio 2023 da Massimo Sabatini, Riccardo Bottiroli, Giuseppe D’Alessandro e Massimo Brochetta, Foreverlandè la startup impegnata nel democratizzare il cioccolato creando alternative sostenibili e rispettose del pianeta, senza alcun compromesso sul gusto. Ha infatti creato Choruba, ex Freecao, un ingrediente rivoluzionario a base di carrube italiane, che offre un’alternativa eco-consapevole al cioccolato tradizionale e protetta da due brevetti. Choruba viene venduta in gocce o liquido, in diverse varianti ed applicazioni, ad aziende del settore alimentare e già nei prossimi mesi saranno in commercio prodotti che utilizzano l’ingrediente innovativo. LEGGI TUTTO

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    Green Deal, potrebbe ridurre le emissioni in Europa ma aumentarle altrove

    È il classico caso della coperta troppo corta, che se tirata troppo in qua lascia scoperto di là. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Gröningen e di altri istituti di ricerca ha analizzato i possibili effetti dell’implementazione del Green Deal, il pacchetto di politiche europee per contrastare i cambiamenti climatici e il degrado ambientale, scoprendo che la cosa potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, che farà diminuire le emissioni di gas serra nel nostro continente, ma raddoppiarle fuori dai confini. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Sustainability.

    Unione Europea

    Pfas, le nuove regole Ue sulle sostanze pericolose per l’ambiente e la salute

    di  Cristina Bellon

    24 Settembre 2024

    Obiettivo importante
    L’obiettivo principale del Green Deal europeo è la decarbonizzazione totale dell’Europa entro il 2050, da raggiungersi attraverso passaggi intermedi (la riduzione delle emissioni nette a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990) e attraverso l’implementazione di misure specifiche in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità. Un obiettivo certamente nobile e condivisibile, ma che, secondo lo studio appena pubblicato, potrebbe rivelarsi anche pericoloso.
    Il rovescio della medaglia
    Gli autori del lavoro, coordinati da Klaus Hubacek, professore di scienza, tecnologia e società nell’ateneo olandese, analizzando le azioni previste del Green Deal hanno stimato che, nella forma attuale, il progetto porterà sì a una riduzione delle emissioni sul suolo europeo, ma contemporaneamente anche ad un aumento delle emissioni nei paesi extra-Ue del 244% circa. Ovvero che, sostanzialmente, non si farà altro che spostare altrove il problema, il che non risolverà la questione dei cambiamenti climatici, che riguarda naturalmente tutto il pianeta.

    L’analisi

    Von der Leyen punta ancora sul Green Deal: lo rivelano gli incarichi dati ai commissari

    di  Luca Fraioli

    19 Settembre 2024

    Restrizioni facilmente aggirabili
    Uno dei settori presi in considerazione dai ricercatori, per esempio, è quello della biodiversità, per il quale il Green Deal prevede di piantare tre miliardi di alberi. “Piantare alberi vuol dire cambiare la destinazione d’uso di grandi porzioni di suolo”, ha detto Hubacek, “che non potranno più esseri usati per la produzione di cibo. Il cibo, quindi, andrà prodotto altrove, il che comporta, a sua volta, la trasformazione di grandi porzioni di suolo in terreni coltivabili e quindi un aumento delle emissioni e una riduzione della biodiversità. In altre parole, in questo modo l’Unione Europea ‘esporterebbe’ le emissioni di carbonio e la perdita di biodiversità nei paesi da cui importerà il cibo, principalmente in Africa e in Sud America”.

    Possibili scenari
    In verità, il Green Deal contiene un paragrafo in cui si proibisce l’importazione di prodotti (per esempio carne o mangime animale) ottenuti convertendo terreni boschivi in terreni agricoli, ma Hubacek e colleghi sono scettici sull’applicazione della norma, che potrebbe essere facilmente aggirata: “I Paesi extra-Ue”, commenta ancora lo scienziato, “potrebbero semplicemente destinare all’esportazione i prodotti ottenuti da terreni agricoli già esistenti e abbattere le foreste per soddisfare la richiesta interna”. Il Green Deal, tra l’altro, prevede anche un aumento dell’agricoltura biologica, il che richiederebbe un aumento dei terreni agricoli in Europa, e “non c’è alcuna informazione sull’impatto che questo potrebbe avere sull’uso del suolo”.

    Il personaggio

    Teresa Ribera, chi è la nuova responsabile dell’ambiente della Commissione Ue

    di  Luca Fraioli

    17 Settembre 2024

    Siamo ancora in tempo
    Oltre a delineare lo scenario appena presentato, gli autori del lavoro hanno presentato anche delle contromisure per rendere efficaci a livello globale, e non solo locale, le politiche di riduzione delle emissioni. La più efficace riguarda l’alimentazione: “Abbiamo mostrato che l’adozione di una dieta più ‘salutare’ sia per l’essere umano che per il Pianeta”, continuano gli esperti, “ossia un’alimentazione basata principalmente sui vegetali, consentirebbe di ‘risparmiare’ un’enorme quantità di anidride carbonica”.
    I biocarburanti
    Un altro punto su cui si può lavorare è l’eliminazione dei biocarburanti a base alimentare all’interno dei confini europei, il che, secondo l’analisi degli scienziati, ridurrebbe la quantità di terreni agricoli necessari alla soddisfazione della domanda e arresterebbe la perdita della biodiversità. Ma anche l’adozione di misure volte ad aiutare le regioni in via di sviluppo ad aumentare la loro efficienza agricola, per ottimizzare l’uso del suolo.Ma prima di tutto questo è necessario fissarsi bene in testa un concetto fondamentale: “Dubitiamo fortemente una ‘crescita verde’ sia realmente possibile”, concludono gli esperti, “perché produrre qualcosa, in qualsiasi modo lo si faccia, comporta l’utilizzo di risorse. Quindi, ancor prima di produrre meglio, dobbiamo deciderci a consumare di meno. Questa è l’unica strada per contenere i cambiamenti climatici, ed è tempo di cominciare a percorrerla”. LEGGI TUTTO

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    Le piante grasse da esterno: resistenti al freddo e al sole

    Ecco le migliori piante grasse da esterno che possiamo coltivare nei nostri giardini per creare un’oasi dai tratti esotici: sono rustiche e ideali anche per la messa a dimora in piena terra.

    Il graptopetalum paraguayense
    Il graptopetalum paraguayense appartiene alla famiglia delle crassulacee e proviene dal Messico. Tra le piante grasse pendenti e con fiori, si contraddistingue per raggiungere delle dimensioni modeste, da alcune decine di centimetro a circa un metro. I suoi rami tendono ad essere curvi e le foglie, raggruppate in rosette, hanno un colore che sfuma tra il grigio e il violetto chiaro. Il graptopetalum regala una bella fioritura, con steli allungati e fiori a forma di stella di colore bianco e giallo. Questa pianta predilige l’esposizione in ambienti luminosi, anche con il soleggiamento diretto per alcune ore al giorno, e può sopportare temperature fino a -10 gradi. Il terreno ideale per la coltivazione è ben drenante e non pesante, idealmente una miscela tra terra per cactacee, torba e un po’ di sabbia. Il graptopetalum richiede annaffiature piuttosto abbondanti, sebbene sia necessario attendere sempre che il terreno asciughi bene tra un’innaffiatura e l’altra. Durante la primavera e l’estate, possiamo concimare la pianta ogni quindici giorni, aggiungendo del fertilizzante liquido all’acqua. Per riprodurre il graptopetalum, possiamo staccarne una foglia e piantarla semplicemente in terra. Non è necessario potare la pianta, ma è buona regola rimuovere le foglie danneggiate per prevenire attacchi da parte di parassiti. Tra le avversità che toccano il graptopetalum, segnaliamo il marciume radicale (eccesso di irrigazione), nonché le foglie e gli steli sbiaditi e stentati (scarsità di luce).

    L’aloe striatula
    L’aloe striatula – nota anche come aloiampelos striatula – è una pianta grassa che fa parte della famiglia delle asfodelacee, originaria delle aree semidesertiche del Sudafrica, che in condizioni ideali di coltivazione crea cespugli alti fino a 2 metri. La pianta si distingue per le sue foglie ricurve di tonalità verde brillante, con screziature scure, con una leggera dentatura bianca sui bordi. Tra le piante grasse senza spine, l’aloe striatula produce una caratteristica infiorescenza con racemo che raggiunge i 50 centimetri, alla cui sommità si trovano dei fiori giallo-arancioni. L’esposizione ideale è in luoghi ben soleggiati e ventilati, in un terreno ben asciutto e drenante, che può essere una miscela di terra per cactacee e sabbia. L’aloe striatula è nota per la sua rusticità: può sopportare infatti le gelate senza particolari problemi, con temperature fino a -10 gradi ma mal sopporta gli eccessi di acqua e i ristagni idrici: bisogna quindi attendere che il terreno sia ben asciutto prima di innaffiarla, per evitare che possa soffrire di marciume radicale. Possiamo concimare l’aloe striatula nel corso della stagione vegetativa, aggiungendo del fertilizzante liquido all’acqua di annaffiatura. La pianta non ha bisogno di potatura, ma dobbiamo tagliare le foglie e i racemi secchi per evitare che i parassiti possano attaccarla.

    L’agave americana
    L’agave americana è probabilmente una delle specie più famose di piante grasse e cactus, appartenente alla famiglia delle asparagacee. Questa succulenta è originaria delle zone desertiche statunitensi, in modo particolare degli stati centro-meridionali, e del Messico. L’agave americana spicca per la rosetta di foglie, dal caratteristico colore verde argentato, che negli esemplari più adulti possono raggiungere anche i due metri di lunghezza. La pianta è particolarmente longeva e rientra a pieno titolo tra le piante grasse perenni, poiché può vivere alcuni decenni. Produce una notevole quantità di polloni basali, ma una sola fioritura nella sua vita, che coincide anche con la successiva morte della pianta. L’agave americana predilige l’esposizione al sole diretto ed è mediamente rustica, poiché sopporta temperature minime attorno ai -10 gradi. Il terreno ideale è ben drenante e leggero, meglio ancora se arricchito con un po’ di sabbia. Se il nostro giardino ha una terra troppo compatta, prepariamo la messa a dimora scavando una buca sufficientemente ampia, mettendo della terra per cactacee e ghiaietto. In questo modo, eviteremo che si possa verificare il ristagno idrico a livello radicale. Le annaffiature non devono essere abbondanti e, soprattutto, è importante attendere che il terreno asciughi prima di bagnarlo nuovamente. Per quanto riguarda la concimazione, possiamo aggiungere mensilmente del fertilizzante liquido all’acqua durante la primavera e l’estate. L’agave americana non dev’essere potata, ma le foglie basali che sono secche vanno eliminate per non favorire l’attacco di parassiti. La pianta può essere colpita dalla cocciniglia, che causa la comparsa di macchie marroni: possiamo rimuoverla con dell’ovatta imbevuta di alcool o con un insetticida specifico. LEGGI TUTTO

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    Viaggio a Terra Madre, in cerca di una nuova “bio-logica” per salvare la nostra agricoltura

    Mangia, pensa, ama, ma soprattutto diversifica. Se c’è una sensazione netta che ti restituiscono immediatamente pochi passi all’interno del Parco Dora di Torino durante Terra Madre Salone del Gusto 2024 è proprio questa: la straordinaria diversità del nostro cibo, la capacità di salvaguardarle gusti e realtà che stiamo perdendo, lo sforzo per ottenere prodotti che sposano il concetto di qualità, più che di quantità. E poi l’idea che pensare di unirsi, fare rete per proteggere ciò che la natura ci offre, sia ormai sempre più obbligatorio.

    Un momento della cerimonia di apertura di Terra Madre  LEGGI TUTTO

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    Piccolissimi e sorprendenti: i tardigradi sanno difendersi dalle microplastiche

    I tardigradi, un gruppo di animali lunghi pochi millimetri di cui fanno parte molte specie diverse, sono famosi per riuscire a sopravvivere in situazioni di carenza di ossigeno, acqua e cibo, e in presenza di radiazioni ultraviolette o di temperature bassissime. Ma, a quanto pare, la lista delle loro incredibili abilità non è ancora finita. Secondo i risultati di uno studio condotto da un team di scienziati dell’Università Federale di Pernambuco in Brasile guidati dalla zoologa Flàvia de Franca e pubblicato su PeerJ Life and Environment, i tardigradi sarebbero gli unici fra gli invertebrati di piccolissime dimensioni analizzati nel corso della ricerca a non essere soggetti all’ingestione di microplastiche.

    Qual è stato il primo animale sulla Terra?

    di Noemi Penna

    23 Agosto 2024

    In laboratorio
    L’obiettivo degli autori dello studio era quello di analizzare gli effetti che le microplastiche hanno sulla meiofauna, ossia gli animali invertebrati di dimensioni comprese fra 45 micron e 1 millimetro che vivono in ambienti marini o d’acqua dolce. Per farlo, i ricercatori hanno raccolto dei campioni di sabbia da una spiaggia di Ipojuca, una città che si trova in Brasile, in un momento in cui la marea era bassa. I campioni sono stati poi trasportati in laboratorio all’interno di contenitori riempiti di acqua marina e sono stati analizzati per identificare le specie presenti. All’interno dei sedimenti di sabbia è stato rilevato un totale di 5.629 organismi appartenenti a dieci gruppi tassonomici che fanno parte della meiofauna: Nematoda, Oligochaeta, Ostracoda, Gastrotricha, Copepoda, turbellari, Nauplii, Acari, Polychaeta e, naturalmente, Tardigrada.

    Inquinamento

    Ogni anno bruciamo 30 milioni di tonnellate di plastica

    di Anna Lisa Bonfranceschi

    06 Settembre 2024

    A questo punto, i ricercatori hanno suddiviso i campioni in diversi contenitori più piccoli, mescolando in alcuni casi il sedimento di sabbia a microsfere fluorescenti fatte di polistirene, un tipo di plastica che tende ad adagiarsi sui fondali marini poiché ha una densità leggermente superiore a quella dell’acqua. Le microsfere sono state aggiunte in tre concentrazioni diverse: la più bassa e quella di mezzo mimerebbero le concentrazioni di microplastiche che si trovano comunemente nell’ambiente marino; quella più alta supera invece le concentrazioni attualmente riscontrabili in mare, ma, spiegano i ricercatori, potrebbe essere rappresentativa di scenari futuri.

    La scoperta
    In tutti i casi il sedimento è stato poi nuovamente ricoperto di acqua marina e monitorato per nove giorni. Analizzando al microscopio dei campioni presi da ciascun contenitore dopo tre, sei e nove giorni dall’inizio dell’esperimento, i ricercatori hanno osservato che tutti gli organismi prelevati dal contenitore con la più alta concentrazione di microplastiche avevano ingerito le sferette fluorescenti di polistirene, tranne i tardigradi. Questo, spiegano, potrebbe essere legato alla struttura dell’apparato tramite il quale questi animali si alimentano, adatto a “perforare e succhiare piuttosto che ingerire organismi preda interi”, si legge nel testo.

    Obiettivi futuri
    Ma, al di là dei superpoteri dei tardigradi, i ricercatori hanno anche riportato importanti osservazioni dal punto di vista ecologico: l’abbondanza e la diversità delle specie presenti nei campioni di sedimento tende infatti a diminuire in presenza di microplastiche alla due concentrazioni comunemente riscontrabili nell’ambiente marino. Contrariamente a quello che ci si aspetterebbe, invece, la concentrazione più elevata non sembra avere alcun effetto da questo punto di vista e gli autori sottolineano l’importanza di effettuare ulteriori studi sul tema per comprendere meglio i possibili meccanismi che regolano questo fenomeno. LEGGI TUTTO

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    Nella fabbrica svedese dove nasce lo zaino sostenibile

    STOCCOLMA. Un bosco sulla sponda di un lago, una rete di sentieri a perdita d’occhio, una tenda piantata sotto gli alberi per dormire e un fuoco dove riscaldare la cena. Quando abbiamo chiesto di poter visitare a Stoccolma, il Fjällräven Verkstad, “l’officina” dove nascono i materiali e le idee dell’azienda specializzata nell’abbigliamento e l’attrezzatura sportiva, diventata famosa per la filosofia della “sostenibilità senza tempo” non pensavamo di dover vivere per un giorno e una notte immersi nello “spirito svedese”. Incuriositi dal fatto che per il quinto anno consecutivo i consumatori l’hanno incoronato come il brand più sostenibile della Svezia nella propria categoria, secondo il Sustainable Brand Index 2024, volevamo capire cosa c’è dietro la creazione di abiti e accessori diventati iconici, come lo zainetto colorato Kånken o i pantaloni in Eco-Shell, il materiale impermeabile realizzato senza PFC nocivi. Ed è così che ci siamo ritrovati a vivere all’aperto per 24 ore nel parco di Norra Djurgården a mezz’ora dal centro di Stoccolma. LEGGI TUTTO