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    Olio di canfora, tutti gli utilizzi

    Rimedi dolci

    di Stefania D’AmmiccoPubblicato il: 29-06-2021

    Come usare questa sostanza nota fin dai tempi antichi non solo per rilassare i muscoli, ma anche per pelle e tosse

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    Sanihelp.it – Un olio molto conosciuto, ma dalle applicazioni spesso ignorate.
    Si tratta dell’olio di canfora, utilizzato da moltissimo tempo anche in Italia, i cui utilizzi vanno oltre rispetto a quelli conosciuti dalle nonne.
    L’olio, che viene estratto dall’albero omonimo, può essere usato solo a livello topico e non dovrebbe mai essere ingerito.
    Ecco tutte le diverse applicazioni dell’olio di canfora, per la bellezza e il benessere.
    Come prima cosa, l’olio di canfora potrà essere usato per prevenire e curare le infiammazioni, sia di origine batterica sia quelle provocate da un colpo.
    Si può utilizzare per evitare che la pelle si infetti e si può utilizzare anche sulla pelle che sia affetta da prurito.
    L’olio di canfora è ottimo anche per ridurre il dolore e il gonfiore. Ad esempio, lo si potrà applicare su un livido oppure a seguito di una storta.
    Un’applicazione ottima per quest’olio è anche quella legata ai funghi. L’olio di canfora, infatti, è anche antifungino e si potrà utilizzare allo scopo di combattere i funghi a livello di pelle e unghie.
    Si potrà utilizzare l’olio di canfora anche contro la tosse, ma sempre con uso esterno. Si potrà massaggiare sul petto e sulla schiena per calmare la tosse e ridurre il fastidio anche a lungo.
    Infine, l’applicazione dell’olio consente di rilassare i muscoli, e forse questo è il tipo di utilizzo per il quale l’olio di canfora è più famoso in assoluto.
    Com’è già stato indicato, non si deve mai ingerire l’olio, e non lo si dovrà applicare sulla cute lesa.  

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    Leucemia linfatica cronica: i benefici di acalabrutinib

    Tumori: prevenzione e terapie

    di Elisa BrambillaPubblicato il: 22-06-2021

    Il farmaco conferma il buon profilo di tollerabilità e i benefici a lungo termine

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    Sanihelp.it – Lo studio ELEVATE-TN, presentato recentemente al congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) conferma che il trattamento con l’inibitore di BTK (tirosin-chinasi di Bruton) di nuova generazione, acalabrutinib da solo o in combinazione con l’anticorpo monoclonale obinutuzumab, offre un beneficio significativo di sopravvivenza libera da progressione rispetto alla chemioimmunoterapia con clorambucile più obinutuzumab nei pazienti con leucemia linfatica cronica non trattati in precedenza. 
    «Sono dati che testimoniano la grande efficacia e la tollerabilità molto buona del trattamento con acalabrutinib con un periodo di osservazione importante, 4 anni, in pazienti che erano mediamente anziani», ha detto ai microfoni di Pharmastar Antonio Cuneo, Direttore della Sezione di Ematologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Arcispedale Sant’Anna di Ferrara e Professore Ordinario di Ematologia all’Università degli Studi di Ferrara e Parma. «Sicuramente e soprattutto nei pazienti con un profilo di malattia che prevediamo non risponderebbe bene alla chemioimmunoterapia convenzionale con clorambucile e obinutuzumab, acalabrutinib (da solo o in combinazione) sarà sicuramente un trattamento di ampio utilizzo, in grado di migliorare la sopravvivenza libera da progressione di questi pazienti e, speriamo, anche la sopravvivenza globale».
    Prima dell’introduzione dell’inibitore di BTK ibrutinib, la combinazione clorambucile-obinutuzumab rappresentava un’opzione standard di prima linea per i pazienti con leucemia linfatica cronica.A fine 2019, la Food and drug administration (FDA) ha approvato acalabrutinib per il trattamento di pazienti con leucemia linfatica cronica o linfoma linfocitico a piccole cellule, sulla base dei dati dello studio ELEVATE-TN, e a fine 2020 acalabrutinib ha avuto anche il via libera europeo.

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    Singhiozzo, i rimedi naturali

    Cure alternative

    di Stefania D’AmmiccoPubblicato il: 22-06-2021

    Come bloccare questo riflesso involontario, e molto fastidioso, con semplici tecniche adatte a tutti

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    Sanihelp.it – Il singhiozzo è un riflesso naturale, presente addirittura nell’utero.
    Eppure, può essere molto fastidioso, e si possono cercare rimedi grazie ai quali farlo cessare.
    Se, infatti, si può incorrere in forme gravi di singhiozzo, che perdurano oltre le 48 ore, anche quelle considerate ordinarie possono comunque dare molto fastidio.
    Ma quali sono le cause del singhiozzo?
    Esistono diversi elementi scatenanti per questo riflesso, che si manifesta con la contrazione involontaria del diaframma.
    Sicuramente il fatto di subire una grande emozione può portare al singhiozzo, così come il fatto di bere molto alcol.
    Anche il fatto di mangiare molto, oppure eccedere nel fumo possono essere elementi in grado di scatenare episodi di singhiozzo, così come l’assunzione di cibi o bevande molto freddi.
    L’ingoiare molta aria, ad esempio perché si mangia molto in fretta, può portare al singhiozzo, così come il reflusso gastroesofageo.
    Infine, anche le bevande gassate possono scatenare episodi di singhiozzo.
    I rimedi per il singhiozzo
    Esistono alcuni rimedi naturali grazie ai quali affrontare il singhiozzo.
    Il primo consiste nel bere acqua e limone, oppure una  bevanda allo zenzero. Infatti, il singhiozzo è provocato da un’irritazione al nervo vago, e queste sostanze hanno il potere si resettare l’azione del nervo riportandolo alla normalità.
    Anche rilassare il diaframma aiuta. Il consiglio delle nonne di trattenere il respiro per almeno dieci secondi è effettivamente utile!
    Si potrà rilassare questo muscolo anche respirando in un sacchetto di carta in modo profondo.
    Anche portarsi con le ginocchia al petto in posizione seduta o distesa aiuta a bloccare il riflesso del singhiozzo, in quanto va a rilassare, nuovamente, il diaframma.
    Infine, applicare una goccia di olio essenziale di menta, diluito in olio vettore, a livello del palato può aiutare a bloccare il singhiozzo.

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    Andrea Vianello diventa presidente di A.L.I.Ce. Italia Odv

    Ictus

    di Valeria GhittiPubblicato il: 22-06-2021

    Il giornalista presiede l’Associazione per la Lotta all’ictus cerebrale dopo esserne stato colpito nel 2019. Vicepresidente la magistrato Anna Canepa, anch’essa colpita da ictus nel 2015.

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    Sanihelp.it – «L’ictus non è un tabù, non è qualcosa di cui vergognarsi, ma un pezzo di vita con cui fare i conti. Va gestito e affrontato senza rimuoverlo, senza sensi di colpa e cercando di prendere anche qualcosa di buono da questa esperienza devastante»: queste le prime parole di Andrea Vianello, Direttore di RaiNews, da oggi Presidente di A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale).
    Come abbiamo già avuto modo di raccontare, il 2 febbraio del 2019 Andrea Vianello è stato colpito da un ictus cerebrale, esperienza che ha poi raccontato nel libro, edito da Mondadori, Ogni parola che sapevo. «Ė per me un grande privilegio e, nello stesso tempo, una grande responsabilità assumere questa carica. Mi auguro di essere uno stimolo per chi ha vissuto la mia stessa situazione e spero di riuscire ad aiutare chi, come me, si trova ancora a lottare e convivere con le conseguenze di questa patologia» continua il neo-presidente. «A.L.I.Ce. Italia oggi è una voce autorevole ed unica nel proprio campo, un’Associazione di portata nazionale ed internazionale, con rapporti consolidati sia con le principali Società Scientifiche di riferimento che con le Aziende e con ottime collaborazioni con le più importanti associazioni di pazienti che hanno come obiettivo principale la salute delle persone e la tutela del paziente. Negli ultimi anni A.L.I.Ce. Italia ha raggiunto importanti traguardi grazie al notevole lavoro svolto da chi mi ha preceduto e i progetti futuri si prospettano altrettanto stimolanti».
    Non meno importante la figura scelta per la carica di vice-presidente: il ruolo, infatti, sarà ricoperto da Anna Canepa, ligure, magistrato, attualmente sostituto procuratore presso la Direzione Nazionale Antimafia a Roma, colpita da ictus nel 2015 e autrice del libro Sana come un pesce, nel quale viene raccontata la storia di Lucia Sassi, modellata sulla vita reale dell’autrice. La protagonista è infatti una donna in carriera e sempre in movimento, con una salute invidiabile, fino a quando, improvvisamente, un ictus le cambia per sempre la vita. «Ero appunto sana come un pesce, sportiva, indipendente e dinamica» dichiara la neo vice-presidente. «Ho dovuto fare i conti con un tipo di realtà al quale non ero assolutamente preparata, una realtà fatta di fisioterapia, immobilità, badanti, totale mancanza di autonomia. Il percorso di guarigione è stato e tuttora lo è, lungo, faticoso, spesso avvilente. Sono felice di poter condividere la mia esperienza e di poterlo fare avendo alle spalle un’Associazione solida come questa».
    L’associazione, composta da chi vive la problematica con forza e motivazioni pari a quelle di chi in prima persona convive con la malattia, vede a fianco del Consiglio direttivo di laici un Comitato Tecnico scientifico di medici, per lo più neurologi, tutti al servizio della causa comune: «L’obiettivo è sempre stato quello di ridurre le conseguenze devastanti dell’ictus cerebrale, migliorare la qualità della vita delle persone colpite, siano essi bambini, giovani, adulti o anziani, dei loro familiari e delle persone a rischio, cercando di diffondere le conoscenze necessarie per la prevenzione della malattia e di informare sulla sua diagnosi, cura e riabilitazione» conclude Nicoletta Reale, Presidente uscente. «Ė stato per me un onore poter rappresentare l’Associazione in questi anni e sono certa che i neo-eletti porteranno avanti le nostre battaglie e i temi a noi cari con grande entusiasmo e tenacia».

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    Tumori: cabozantinib per la tiroide

    Tumori: prevenzione e terapie

    di Elisa BrambillaPubblicato il: 15-06-2021

    Il farmaco dimostra un significativo beneficio nelle forme più aggressive del tumore alla tiroide

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    Sanihelp.it – Il cabozantinib non è un nuovo farmaco, viene usato per il trattamento di alcune forme di tumore al rene e in alcuni casi per il trattamento del carcinoma epatocellulare.Ora si è visto che allunga la vita anche di chi soffre di una particolare forma aggressiva di tumore alla tiroide.Lo studio, in fase di pubblicazione su Lancet Oncology, ha valutato persone affette da carcinoma differenziato della tiroide (DTC) refrattario al radioiodio; quest’ultimo si usa quando i pazienti presentano rischio elevato di recidiva di malattia, asportazione incompleta del tumore o metastasi.Cabozantinib ha dimostrato una riduzione significativa del rischio di progressione di malattia o di morte del 78% rispetto al placebo.«I risultati dello studio erano molto attesi, tenuto conto che l’attuale sopravvivenza delle persone affette da questa forma non comune di carcinoma della tiroide differenziato è di 3-5 anni dalla diagnosi delle lesioni metastatiche» ha dichiarato Howard Mayer, Executive Vice President e Head of Research and Development di Ipsen, società che sviluppa il farmaco.In base a questi risultati si è resa possibile la richiesta alla Food and Drug Administration (FDA) dell’ampliamento delle indicazioni di cabozantinib, in modo che il tumore alla tiroide possa essere riportato sulla scheda tecnica del farmaco.Gli effetti collaterali sono diversi, tra i quali anemia, cefalee, capogiri, diarrea, nausea, vomito, stomatite, ipertensione, ma nessun caso di morte, secondo gli studiosi.L’incidenza del tumore alla tiroide è tre volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini, con una diagnosi di tumore su 20 nelle donne.I pazienti con DTC refrattario al radioiodio hanno una prognosi sfavorevole con una sopravvivenza stimata media da tre a cinque anni dalla diagnosi delle lesioni metastatiche. Per questo motivo i risultati dello studio sono stati accolti con molto favore.

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    5 vip driver alla 1000 Miglia Charity

    Ricerca oncologica

    di Valeria GhittiPubblicato il: 15-06-2021

    Caterina Balivo, Alessandra Mastronardi, Cristina Parodi, Francesca Piccinini e Melissa Satta nel team alla guida della pink car della Fondazione IEO-Monzino, per sostenere la ricerca sui tumori femminili.

    © comunicato stampa Fondazione IEO-Monzino

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    Sanihelp.it – Dal 16 al 19 giugno si corre la 1000 Miglia, la storica sfilata delle più prestigiose vetture d’epoca, da Brescia a Roma e ritorno. Ad affiancare la corsa più bella del mondo c’è la 1000 Miglia Experience 2021 SOC, una sfilata delle più spettacolari vetture del Supercar Owners Circle (il club svizzero di appassionati collezionisti di beni automobilistici) che, lungo un percorso di gara studiato ad hoc, potranno condividere le quattro giornate di gara con le vetture che hanno fatto la storia della Freccia Rossa.
    Ed è in quest’ambito che la Freccia Rossa si tinge un poco di rosa con il progetto 1000 Miglia Charity, volto a raccogliere fondi per il Women’s Cancer Center, il centro multidisciplinare e multifunzionale a misura di donna dello IEO, l’Istituto Europeo di Oncologia: proprio tra le auto del Supercar Owners Circle è presente la pink car della Fondazione IEO-MONZINO, una Aston Martin DBX completamente rosa per la campagna Follow The Pink.
    A guidarla un team di sole donne capitanato dalle due board member della Fondazione IEO-MONZINO Warly Tomei (ideatrice dell’iniziativa) e Umberta Gnutti Beretta, insieme a Viviana Galimberti, Direttore della Divisione di Senologia Chirugica dello IEO-Istituto Europeo di Oncologia. 
    E saranno Caterina Balivo, Alessandra Mastronardi, Cristina Parodi, Francesca Piccinini e Melissa Satta le special pink driver che durante la corsa, con la loro esuberanza e il loro calore, inviteranno alle donazioni per supportare la ricerca oncologica e in particolare il Women’s Cancer Center. Si tratta del primo centro in Italia riservato al mondo dei tumori femminili nella sua globalità: dalla gestione del rischio di ammalarsi, alla diagnosi precoce, alle terapie, fino al reinserimento nella quotidianità con il recupero del progetto di vita individuale. È dunque un posto per la donna, dedicato alla salute femminile nel suo insieme. L’obiettivo finale è che, una volta varcata la soglia del centro, la donna si affidi a chi la prende in carico, senza dover pensare ad altro che al proprio benessere.
    È grazie a iniziative come questa che è possibile continuare a sostenere lo IEO che lotta contro il cancro da oltre 25 anni, per non smettere di combattere e un giorno poter vincere la sfida. Dopo un periodo come quello che abbiamo vissuto ogni contributo ha un significato enorme che può fare la differenza. Sostenere la Ricerca medico-scientifica significa guardare al futuro. Chiunque può sostenere il progetto facendo una donazione libera attraverso la pagina di crowdfunding dedicata https://partecipa.fondazioneieoccm.it/projects/1000-miglia-experience-per-la-ricerca. 

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    Metodo Feldenkrais, che cos'è e come applicarlo

    Cure alternative

    di Stefania D’AmmiccoPubblicato il: 15-06-2021

    Una metodologia che consente di riequilibrare e rieducare il corpo, la mente e il respiro anche in occasione di traumi

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    Sanihelp.it – Una metodologia di auto educazione che passa attraverso il movimento.
    Si tratta del Metodo Feldenkrais, ideato nel 1949 da Moshe Feldenkrais che cercò una soluzione per poter ritornare alla mobilità dopo un infortunio al ginocchio.
    Dopo anni di sperimentazione su se stesso, Feldenkrais iniziò ad insegnare questa metodologia e ad utilizzarla per la rieducazione del corpo.
    Infatti, il metodo, che in Italia si è diffuso a partire dagli anni Ottanta (arrivando, nel 1987, alla fondazione dell’AIIMF), ha come obiettivo quello di coinvolgere non solo il corpo, ma anche la mente, in una vero e proprio lavoro basato sulla percezione e l’ascolto di noi stessi.
    Ma come si mette in pratica questo metodo?
    Nelle sedute di metodo Feldenkrais ci si occupa di controllare la percezione del corpo nello spazio, ma anche di eseguire alcuni esercizi di equilibrio e di allungamento muscolare.
    Il tutto rispettando i limiti di ogni persona, così da ridurre al massimo i fastidi e azzerare ogni effetto collaterale.
    L’insegnante, quindi, inizierà con il porre alcune domande alla persona per comprendere la sua predisposizione ma anche il suo disagio.
    Poi si occuperà di proporre alcuni esercizi che dovranno essere eseguiti con costanza e con precisione, in correlazione con il respiro.
     Così, il metodo diventa un ottimo strumento per chi abbia subito un trauma fisico, oppure per chi abbia a che fare con disturbi neurologici.
    Ottimo anche per chi soffra di mal di schiena, di artrosi e di difficoltà di movimento, questo metodo viene praticato anche dagli atleti in quanto consente di aumentare la coscienza di sé e la concentrazione.
    Un punto essenziale del Metodo è la costanza: gli allievi vengono chiamati ad eseguire gli esercizi tutti i giorni, anche più volte al giorno, in modo da rieducare il corpo, la mente e il respiro.
    In Italia solamente gli insegnanti diplomati possono occuparsi di proporre ai propri allievi il metodo Feldenkrais.

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    I tumori neuroendocrini: sintomi e terapia

    Tumori: prevenzione e terapie

    di Elisa BrambillaPubblicato il: 08-06-2021

    Questo tipo di tumore origina dalla trasformazione maligna delle cellule del sistema neuroendocrino

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    Sanihelp.it – Le cellule del sistema neuroendocrino hanno funzione sia endocrina, cioè producono ormoni, sia nervosa.Le cellule neuroendocrine sono presenti in tutto l’organismo e nei diversi organi svolgono importanti funzioni, come regolare il flusso dell’aria nei polmoni, il transito del cibo nel tratto gastrointestinale o il rilascio dei succhi digestivi.Il sistema neuroendocrino è presente in tutto l’organismo e i tumori da esso originati possono perciò colpire vari organi tra cui tiroide, timo, ghiandole surrenali, intestino, pancreas, polmoni, con forme che possono essere benigne o maligne.I tumori neuroendocrini, o NET (dall’inglese Neuro-Endocrine Tumor), sono piuttosto rari (meno dello 0,5% dei tumori maligni).Uno dei fattori di rischio è costituito dall’età, in quanto l’insorgenza della malattia è più frequente tra gli adulti e gli anziani, anche se vi sono diagnosi tra bambini e adolescenti.Il sesso è, per alcuni tipi di NET, un altro fattore di rischio, per esempio il feocromocitoma è più frequente negli uomini.Il rischio è aumentato anche nelle persone con un sistema immunitario particolarmente indebolito, ma anche condizioni ambientali o stili di vita sbagliati, come l’eccessiva esposizione all’arsenico, oppure l’eccessiva esposizione al sole, possono favorire l’insorgenza del tumore a cellule di Merkel.I sintomi, almeno inizialmente, non sono presenti o non sono specifici e vengono facilmente scambiati per disturbi associabili a patologie non tumorali. Si manifestano infatti febbre, tosse persistente, mal di testa, nausea, eccessiva sudorazione, aumento o riduzione di peso, innalzamento o abbassamento della glicemia, il tutto a seconda dell’organo che è stato colpito.In base all’aspetto delle cellule tumorali al microscopio, i tumori neuroendocrini si distinguono in differenziati, poco aggressivi che crescono lentamente, e non differenziati, molto aggressivi che rapidamente causano metastasi. Altre classificazioni sono basate sulla capacità delle cellule di produrre ormoni e sull’organo coinvolto.La prevenzione vera e propria non è possibile, bisogna consultare il medico alla comparsa di sintomi, ma anche la diagnosi non è delle più semplici.La terapia di elezione, quando possibile, è chirurgica, in altri casi si ricorre alla radioterapia e alla chemioterapia.

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