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    Willis: afasia forse conseguenza di un incidente sul set

    Linguaggio

    di Valeria GhittiPubblicato il: 05-04-2022

    Nel 2002 Bruce fu colpito alla testa da un ordigno pirotecnico sul set de L’ultima alba. Da allora sarebbero cominciato i problemi, peggiorati poi negli anni.

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    Sanihelp.it – «Come famiglia, volevamo condividere che il nostro amato Bruce ha avuto problemi di salute e gli è stata recentemente diagnosticata l’afasia, che sta influenzando le sue capacità cognitive. Di conseguenza, e con molta considerazione, Bruce si sta allontanando dalla carriera che ha significato così tanto per lui». A pubblicare queste parole,  lo scorso 30 marzo, sul proprio profilo Instagram (ma a nome di tutta la famiglia allargata) è stata Rumer Willis, figlia della star hollywoodiana Bruce Willis.
    Una doccia fredda per i molti sostenitori dell’attore che, a soli 67 anni, si vede costretto a lasciare il cinema per colpa di un disturbo, l’afasia appunto, che deriva da danni alle strutture cerebrali responsabili del linguaggio. Un disturbo che compromette la capacità di esprimersi con le parole ma anche di comprenderle. Spesso l’afasia è conseguenza di un ictus o di un trauma cranico, ma può anche svilupparsi lentamente a causa di patologie neurologiche degenerative o tumorali.
    Al momento non ci sono maggiori informazioni ufficiali sulla malattia dell’attore: sulle caratteristiche (non tutte le forme di afasia sono uguali) né sulle cause individuate. Intanto però The US Sun, l’edizione online statunitense del famoso tabloid britannico, riporta fonti vicine all’attore che parlerebbero di un possibile collegamento tra la diagnosi attuale e un incidente di cui Willis fu vittima nel 2002, sul set di Tears of the Sun- L’ultima alba: egli fu infatti colpito alla testa da un ordigno pirotecnico, riportando ferite che lo spinsero anche a fare causa alla produzione nel 2004.
    Secondo la fonte citata dal magazine (un amico di lunga data dell’attore) l’annuncio della famiglia non sorprende chi davvero conosce l’attore, perché i segnali che qualcosa non andasse erano già presenti da tempo: «I cambiamenti sono diventati evidenti circa cinque anni fa. All’inizio non era niente di importante, solo piccole cose, come la necessità di assistenza con il copione usando gli auricolari».

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    Tumore alla prostata: nuova terapia mirata

    Tumori: prevenzione e terapie

    di Elisa BrambillaPubblicato il: 05-04-2022

    La FDA ha approvato un nuovo farmaco per il trattamento del carcinoma prostatico

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    Sanihelp.it – La Food and drug administration statunitense (FDA) ha approvato Pluvicto(lutezio Lu 177 vipivotide tetraxetano) per il trattamento del carcinoma prostatico metastatico (che si è diffuso in altre parti del corpo) resistente alla castrazione. Per poter essere trattati, i pazienti devono essere già stati trattati con la chemioterapia a base di taxani e con la terapia ormonale. 
    «Negli americani, il cancro alla prostata è la seconda causa di morte legata al cancro. Anche se il panorama del trattamento per il tumore della prostata metastatico resistente alla castrazione continua a evolversi, c’è un elevato bisogno insoddisfatto di ulteriori opzioni di trattamento di medicina di precisione per migliorare gli esiti per questi pazienti. L’approvazione di Pluvicto offre una nuova speranza questi pazienti» ha commentato Jamie Bearse, l’amministratore delegato e presidente di ZERO – The End of Prostate Cancer.
    Questo farmaco, di Novartis, è la prima terapia mirata con radioligandi a essere approvata dalla FDA, e viene somministrata per via endovenosa. 
    Le emissioni del radioisotopo danneggiano le cellule tumorali, causandone la morte o bloccandone la replicazione, e poiché hanno un raggio d’azione molto breve, non danneggiano le cellule circostanti.
    Il carcinoma prostatico metastatico ha un tasso di sopravvivenza a 5 anni inferiore al 30%.
    Pluvicto sarà disponibile negli Stati Uniti fra poche settimane e costituisce una speranza per coloro che sono stati già sottoposti ad altre forme di trattamento e che altrimenti non avrebbero una alternativa.

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    Tumori: rischio maggiore se il bambino è esposto a ftalati

    Tumori: prevenzione e terapie

    di Elisa BrambillaPubblicato il: 29-03-2022

    Uno studio rivela che l’esposizione agli ftalati aumenta il rischio di cancro infantile

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    Sanihelp.it – Gli ftalati, come per esempio il bisfenolo, sono sostanze chimiche plastificanti, cioè utilizzate come componenti per la produzione di prodotti in plastica, tra i quali anche prodotti a uso alimentare, come bottiglie, piatti e posate usa e getta, contenitori per la conservazione dei cibi. Queste sostanze hanno la capacità di trasferirsi dall’oggetto in plastica al cibo che consumiamo, e quindi al nostro corpo. Dal 14 gennaio di quest’anno sono stati messi al bando, vietandone la produzione e la vendita, piatti e bicchieri in plastica monouso, posate, cannucce, contenitori e altri oggetti in plastica, che fino a oggi sono però stati utilizzati. Questo è stato fatto per proteggere l’ambiente. Gli ftalati sono anche utilizzati come eccipienti in alcuni farmaci, soprattutto in quelli che sono a rilascio prolungato o ritardato. Proprio sui farmaci si è concentrato uno studio danese, che ha valutato le prescrizioni di farmaci fatte alla madre in gravidanza e successivamente quelle fatte al bambino.L’esposizione a queste sostanze durante l’infanzia può aumentare fino al 20% il rischio di tumori nei bambini. È questo il risultato di uno studio condotto in Danimarca, presso l’Università di Aarhus, pubblicato sul Journal of he National Cancer Institute. Secondo i ricercatori, l’esposizione durante l’infanzia, ma non quella in utero, aumenterebbe di circa il 20% il rischio di sviluppare qualche forma di cancro entro i 19 anni, in particolare osteosarcoma e linfoma. Nonostante questo aumento, il rischio in assoluto rimane comunque minimo. 

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    Akshi Tarpana, il trattamento ayurvedico per gli occhi

    Trattamenti naturali

    di Stefania D’AmmiccoPubblicato il: 29-03-2022

    Come ridurre disturbi a livello oculare con una pratica ancora poco nota ma davvero efficace

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    Sanihelp.it – Si chiama Akshi Tarpana, ed è un trattamento dedicato proprio a Tarpana, gli occhi.
    È, in particolare, un trattamento ayurvedico ancora poco noto ma che dovrebbe essere praticato da tutti coloro che abbiano particoalri problemi agli occhi.
    Infatti, anche per la parte oculare l’Ayurveda prevede rimedi specifici, tra cui questo tipo di trattamento.
    Innanzitutto vediamo come si esegue Akshi Tarpana.
    Si preparerà l’area perioculare, creando una barriera con una pasta a base di erbe e di farine, la cui composizione potrà variare a seconda dell’area geografica nella quale si eseguirà il trattamento.
    In questo modo si eviterà che il composto utilizzato per il trattamento possa colare verso i lati del viso.
    Successivamente, si farà colare un composto a base di oli o Ghee ed erbe proprio a livello degli occhi. A seconda dell’obiettivo si potrà richiedere alla persona di rimanere con le palpebre chiuse, oppure di sbatterle velocemente.
    Il trattamento, che durerà una ventina di minuti, si realizzerà in un ambiente rilassato, che favorirà anche uno stato d’animo più tranquillo in chi vi si sottoporrà.
    Il trattamento di Akshi Tarpana è molto consigliato a coloro che soffrano di problemi come la sindrome dell’occhio secco, il bruciore cronico, il dolore dato dalla tensione e anche la presenza di borse e occhiaie.
    Bisognerà evitarlo, invece, nel caso in cui si abbiano problemi corneali, ulcere e altre forme infiammatorie a livello di occhi e congiuntiva.
    Infine, bisognerà sempre controllare che il materiale utilizzato per il trattamento sia adatto, ci sia la massima pulizia e che non vengano usati oli che possano provocare allergie.

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    Kvass, il fermentato anticancro da fare a casa

    Cure alternative

    di Stefania D’AmmiccoPubblicato il: 22-03-2022

    Come assumere, e realizzare, questa bevanda dalle inaspettate proprietà sia per la salute in generale sia per la prevenzione dei tumori

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    Sanihelp.it – Che i cibi, e le bevande, fermentati, fossero benefici per il corpo era noto da tempo, ma non tutti sanno che esistono fermentati che possono vantare proprietà straordinarie.
    Questo è il caso del Kvass, una bevanda fermentata che proviene dall’Est Europa, ma che ormai si può preparare, e trovare, anche nel resto del Mondo. Viene anche chiamata Cola del Pane, e la sua creazione risale addirittura a più di mille anni fa.
    Ma quali sono i benefici del Kvass, e come si può preparare?
    I benefici riguardano, innanzitutto, il grande contenuto in probiotici di questa bevanda. Infatti, i probiotici aiutano a mantenere sano il sistema immunitario e a rendere la digestione semplice e mai affaticata. Grazie al contenuto in antiossidanti, il Kvass può essere utilizzato, soprattutto in periodi come il cambio di stagione, per fare una pulizia efficace del fegato e promuovere il suo funzionamento. Sempre grazie al contenuto in antiossidanti, si può indicare come questa bevanda possa aiutare nella lotta contro il cancro.
    Questa affermazione sarebbe stata surrogata anche da uno studio del 2014 pubblicato sulla rivista Nutrients, che ha indicato come il Kvass può aiutare a ridurre il rischio dell’occorenza di alcuni tipi di cancro. Com’è stato indicato, il Kvass è a base di pane, il che rende questa bevanda davvero particolare.
    Ecco, quindi, come realizzarla a casa.
    Sarà necessario avere a disposizione 300 grammi di pane di segale, che dovrà essere tagliato in quadratini.
    Inoltre, bisognerà avere 100 grammi di zucchero di canna, mezzo pacchetto di lievito attivo, un cucchiaio di farina bianca, dell’acqua filtrata e circa 8 chicchi di uva passa.
    Per iniziare bisognerà porre il pane su una teglia e bisognerà farlo cuocere a circa 180 gradi per 30 minuti in modo da farlo diventare croccante.
    Poi, bisognerà far bollire un paio di litri d’acqua, i quali dovranno poi essere fatti raffreddare. A questa bisognerà aggiungere il pane e si dovrà mescolare per bene.
    Si coprirà il recipiente con un panno e bisognerà lasciarlo in un posto caldo per almeno un’ora.
    Successivamente si dovrà filtrare il composto ma si dovrà comunque tenere da parte l’acqua.
    A questo punto, si dovrà far bollire un ulteriore mezzo litro d’acqua al quale, una volta raffreddato, si aggiungerà nuovamente il pane, che andrà fatto riposare per 90 minuti.
    Si dovrà filtrare di nuovo il composto e le due parti liquide (i primi due litri e il successivo mezzo) potranno essere mescolati e si dovrà sciogliere lo zucchero facendolo cuocere con un cucchiaio d’acqua e cercando di non far bruciare il tutto.
    Dopo aver fatto raffreddare lo zucchero si potrà mescolare al liquido prodotto in precedenza.
    Infine, bisognerà mescolare la farina con il lievito, e si mescolerà il tutto con un bicchiere del liquido prodotto dalla precedente fermentazione.
    Si mescolerà ancora questo composto con quello originario e si lascerà fermentare il tutto, coperto da un panno, per circa 12 ore.
    Si filtrerà, infine, e si potrà trasferire la bevanda in un altro recipiente. Si potrà conservare in frigo per circa tre giorni.

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    Linfoma mantellare: AIFA approva terapia Car-T

    Tumori: prevenzione e terapie

    di Elisa BrambillaPubblicato il: 22-03-2022

    Una nuova terapia è stata approvata in Italia per questo tipo di tumore

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    Sanihelp.it – Si chiama KTE-X19 il primo trattamento autorizzato per il linfoma a cellule mantellari recidivante o refrattario. Si tratta di una immunoterapia cellulare basata sull’utilizzo di cellule Car-T, cellule in grado di riconoscere e legare un antigene espresso sulle cellule tumorali. Le Car-T sono una terapia innovativa in campo oncoematologico basata sui linfociti T, globuli bianchi responsabili della difesa immunitaria dell’organismo. Come funzionano? Al paziente viene prelevato il sangue, dal quale si separano i linfociti T dal resto delle cellule sanguigne e dal plasma, con una tecnica detta aferesi. Vengono così raccolti i linfociti del paziente, che vengono inviati al laboratorio dove subiscono un processo di modificazione genetica, che consiste nell’inserimento nei linfociti del recettore CAR (Chimeric Antigen Receptor) in grado di riconoscere le cellule tumorali. Dopo 3-4 settimane i linfociti Car-T possono essere infusi nel sangue del paziente con l’obiettivo di attaccare e distruggere le cellule tumorali.
    L’autorizzazione di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) si basa sui dati di uno studio chiamato Zuma-2, condotto in Europa e negli Stati Uniti, su pazienti adulti con la malattia e già trattati in precedenza con almeno due linee di terapia sistemica. Il linfoma mantellare è un tipo di linfoma non Hodgkin a cellule B piuttosto aggressivo, che ha spesso una prognosi sfavorevole. Colpisce maggiormente le persone adulte di età media di 65 anni ed è più frequente nel sesso maschile.
    «La disponibilità di questa prima terapia cellulare per il linfoma mantellare recidivante o refrattario fornisce un’opzione importante per i pazienti» spiega Paolo Corradini, Direttore della Divisione di Ematologia della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e Professore Ordinario dell’Università degli Studi di Milano. «Al momento le opzioni di trattamento per questi pazienti, la cui malattia progredisce dopo le terapie iniziali, sono pressoché nulle. Esiste quindi una sentita necessità di nuove opzioni terapeutiche. Gli elevati tassi di risposta osservati supportano il potenziale di KTE-X19 come terapia efficace per le persone affette da linfoma mantellare recidivato o refrattario, con un profilo di sicurezza gestibile».

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    Il tumore della cistifellea: sintomi e terapia

    Tumori: prevenzione e terapie

    di Elisa BrambillaPubblicato il: 15-03-2022

    Si tratta di una forma tumorale più frequente nelle donne

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    Sanihelp.it – La cistifellea, o colecisti, è un piccolo organo a forma di sacca posto subito sotto il fegato, il cui compito è quello di immagazzinare la bile, liquido di colore giallo-verdastro prodotto dal fegato, che serve per facilitare la digestione e l’assorbimento dei grassi e delle vitamine liposolubili e per neutralizzare l’acidità del chimo che proviene dallo stomaco. Durante il digiuno la bile viene accumulata per poi essere riversata nel tratto iniziale dell’intestino tenue dopo i pasti. 
    I tumori della cistifellea originano in genere dalle ghiandole che si trovano nella mucosa interna dell’organo e si distinguono in adenocarcinomi non papillari, che rappresentano la maggior parte dei tumori della colecisti, e adenocarcinomi papillari. Sono più diffusi nelle donne con un’età media di circa 65 anni. I sintomi più frequenti sono comuni anche ad altre patologie, per cui non raramente la diagnosi viene ritardata, e sono nausea e vomito, dolore nella parte destra in alto dell’addome e ingrossamento della colecisti. Sintomo invece classico è la comparsa di ittero, cioè un colorito giallo della pelle e degli occhi, a volte con prurito. Altri sintomi, meno frequenti, sono inappetenza, perdita di peso e gonfiore addominale. Tra i fattori di rischio ricordiamo la presenza di calcoli biliari, l’obesità, infezioni da virus dell’epatite B o C, famigliarità per questo tipo di tumore.
    I primi esami da fare sono quelli del sangue, per valutare il dosaggio degli enzimi epatici come le transaminasi, le gamma-GT e la fosfatasi alcalina, oltre alla ricerca dei marker tumorali. In seguito, si possono eseguire una ecografia addominale, una TAC e una risonanza magnetica, oltre a esami più specifici. La terapia dipende dallo stadio a cui è giunto il tumore, e potrà essere chirurgica e/o chemioterapica o radioterapica.

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    Patrizio Rispo ha scoperto di avere un tumore da testimonial

    Oncologia

    di Valeria GhittiPubblicato il: 15-03-2022

    L’attore è stata da poco operato per due tumori alla prostata che gli sono stati diagnosticati dopo che era stato invitato a diventare testimonial per la prevenzione.

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    Sanihelp.it – Le campagne di prevenzione servono: ai cittadini che vengono sensibilizzati a sottoporsi a controlli di routine, ma anche ai testimonial. Ne sa qualcosa Patrizio Rispo, noto al grande pubblico per il ruolo di Raffaele Giordano, il portiere di Palazzo Palladini in Un posto al sole.
    L’attore partenopeo, infatti, chiamato alcuni anni fa dall’urologo Vincenzo Mirone come testimonial per girare uno spot sulla prevenzione del tumore alla prostata e invitato a sottoporsi a un controllo, ha scoperto di avere un tumore. È stato lui stesso a rivelarlo nei giorni scorsi in una intervista concessa al quotidiano Il Mattino.
    La diagnosi risale al 2016 e in quell’anno Rispo avrebbe anche dovuto essere operato, ma venne a mancare la corrente elettrica in ospedale e l’intervento chirurgico saltò. L’attore scelse quindi di aspettare, in vigile attesa, eseguendo controlli ogni sei mesi, fino ad oggi: da poche settimane è infatti stato operato all’ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, con una nuova tecnologia non invasiva a ultrasuoni focalizzati: «Con il senno di poi, posso definirlo un miracolo. L’intervento nel 2016 sarebbe stato invasivo; con il trattamento di eccellenza, possibile grazie questa apparecchiatura, non ho avuto alcun tipo di conseguenze. Ma, sottoponendomi regolarmente agli accertamenti, non ho lasciato niente al caso» ha raccontato nell’intervista.
    Prima è passato da testimonial a paziente, ma subito è tornato a sensibilizzare: « Io non faccio altro che sostenere campagne di prevenzione perché sono l’unica grande difesa dalle malattie, come dimostra quel che è successo a me. Ma la prima medicina è nella testa. Serve un atteggiamento positivo, combattivo. Oggi, in un modo o nell’altro, si risolvono patologie che fino a poco tempo fa sono state motivo di terrore. Lo ripeto a tutti quelli che incontro, e li invito a fare i controlli, ad aderire agli screening».

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