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    “Mal’aria di città”: migliora, anche se di poco, l’inquinamento. Cosa fare entro il 2030

    I livelli di inquinamento nelle nostre città migliorano, ma la strada è ancora lunghissima per centrare i reali e concreti obiettivi di salute suggeriti o imposti dall’Europa. Partiamo da una premessa: ad oggi sono poche le città italiane in grado di centrare gli ambiziosi obiettivi di riduzione dello smog fissati per il 2030. Ciò impatta ancora direttamente sulla salute dei cittadini. Ogni anno, ricorda l’Agenzia europea per l’ambiente, l’inquinamento atmosferica provoca infatti in tutta Europa, dove quasi tre quarti dei cittadini vivono in centri urbani, circa 250mila decessi prematuri. Eppure – e questa è una buona notizia – tra finanziamenti, campagne e restrizioni ci stiamo muovendo nella giusta direzione, quella per abbassare i livelli di particolato o di biossido di azoto per esempio, anche se sono ancora molti gli sforzi necessari per vivere entro livelli sicuri per la salute, motivo per cui non va abbassata la guardia.

    In Italia una fotografia sullo stato di salute delle nostre città la restituisce come di consueto a inizio anno il rapporto Mal’Aria di Legambiente osservando i valori dell’inquinamento atmosferico (PM10 e NO2) nelle città e nei capoluoghi di provincia. LEGGI TUTTO

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    Spreco alimentare, gli italiani gettano via 4,5 milioni di tonnellate di cibo

    Immaginiamo di buttare ogni giorno nella spazzatura un panino appena acquistato, oppure, un pacchetto di patatine nemmeno aperto. Assurdo? In realtà, quei 88,2 grammi di cibo è proprio la quantità che quotidianamente, in modo più o meno consapevole, ognuno di noi getta via, spreca. Giorno dopo giorno si arriva ad un totale di 617,9 grammi settimanali, oltre 27 chili l’anno di spreco alimentare individuale insieme a 139,71 euro. E questo solo in Italia. Tanto. Troppo. In realtà, come ci ricordano i dati 2025 redatti dall’osservatorio internazionale Waste Watcher nel rapporto “Il Caso Italia” non ci sarebbe alcuna quota di spreco alimentare considerata “accettabile” visto che secondo la Fao ancora oggi 735 milioni di persone nel mondo vivono in condizioni di insicurezza alimentare. Temi sui ragionare in occasione della dodicesima Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare che ricorre il 5 febbraio.

    Startup

    Il “bollino” che salva frutta e verdura dalla muffa ed evita lo spreco alimentare

    di  Gabriella Rocco

    30 Gennaio 2025

    Oggi l’Osservatorio presenta a Roma il nuovo rapporto 2025 con i dati del “Caso Italia” (insieme all’università di Bologna) e lancerà la campa di sensibilizzazione “Spreco Zero” con il patrocinio del ministero dell’Ambiente. Perché il tempo stringe e il conto alla rovescia è già iniziato. Mancano infatti appena 5 anni per raggiungere il traguardo degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ossia dimezzare lo spreco alimentare globale pro-capite rispetto a dieci anni fa, sia nella vendita al dettaglio che nelle case dei consumatori che incide per il 50% sulla filiera dello spreco nazionale e internazionale. Arrivare a quei 368,7 grammi settimanali, ossia la metà dei 737,4 registrati al momento dell’adozione dell’Agenda. Tema portante della Giornata sarà dunque #Tempodiagire e #Timeact. Agire, perché l’obiettivo è inserire nella vita quotidiana di ognuno di noi le buone pratiche. Gesti concreti per diminuire la dispersione alimentare sia prima dell’acquisto che nella fase del consumo.

    Il Caso Italia
    “Gli italiani sono più spreconi ma anche più poveri: meno attenti alla gestione del cibo a casa, ma preoccupati per la possibilità di accedere al cibo sano e sostenibile”. Così descrivono la situazione in Italia i ricercatori dell’università di Bologna che hanno analizzato per conto di Waste Watcher le abitudini degli italiani sulla consapevolezza dello spreco di cibo. Infatti sale l’asticella dello spreco domestico: di quei 88,2 grammi al giorno che gettiamo, tra i rifiuti finisce soprattutto la frutta (24,3 grammi settimanali); il pane (21,2 grammi); le verdure (20,5 grammi), l’insalata (19,4) e le cipolle (17,4) spesso disponibili in confezioni sovradimensionate rispetto al bisogno.

    La biodinamica compie 100 anni, il grido d’allarme: “L’agricoltura industriale ci sta avvelenando”

    di  Lara Loreti

    28 Settembre 2024

    Così tra i rifiuti durante i 365 giorni l’anno finiscono 14,101 miliardi di euro pari a 4,513 milioni di cibo gettato: praticamente alimenti che passano dal campo dove viene raccolto alla pattumiera passando, (forse) sulle nostre tavole. 8,42 miliardi di euro è il costo dello spreco domestico: il 58% arriva dalla nostre case, il 28% nella fase della commercializzazione. A sorpresa sprecano soprattutto le fasce più deboli: +26% rispetto alla media).

    Agricoltura e clima

    Clima, sicurezza alimentare messa a rischio da eventi estremi in America Centrale

    di  Fiammetta Cupellaro

    28 Gennaio 2025

    L’insicurezza alimentare
    A sprecare di più sono le fasce più deboli. Si legge nel report di Waste Watcher: “Mentre sprechiamo più cibo si allontana l’accesso al cibo sano e sostenibile: l’indice FIES di insicurezza alimentare 2025 sale del 13,95% (era + 10,27% nel 2024), in uno scenario generale in cui la povertà assoluta è aumentata in Italia dal 7,7% all’8,5% (5,7 milioni di persone nel 2023) e addirittura è salita del 28,9% per le famiglie straniere, e dove la povertà “relativa” già colpisce 2,8 milioni di persone. L’insicurezza alimentare delle famiglie italiane colpisce soprattutto al sud (+ 17%) e al centro (+15%), le stesse aree dove si spreca più cibo nelle case (più 16%, più 4%).
    La sfida
    “Mancano solo cinque anni al 2030, e 10 anni sono già trascorsi dall’adozione dell’Agenda di sostenibilità delle Nazioni Unite. Se ne parla spesso, senza mai verificare a che punto siamo realmente – spiega Andrea Segrè, fondatore della Giornata Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare e direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher International – Per questo nel 2025 la Giornata che sensibilizza in Italia sullo spreco alimentare lancia la sua sfida a tutti i cittadini: per arrivare nel 2030 a uno spreco pro capite di 368,7 grammi settimanali, ovvero la metà dei 737,4 grammi registrati 10 anni fa al momento dell’adozione dell’Agenda 2030, dobbiamo tutti tagliare, ogni anno dal 2025 al 2029, circa 50 grammi di cibo, così da arrivare nel 2030 a uno spreco alimentare pro capite che non superi i 369,7 grammi settimanali, il traguardo previsto dall’Agenda delle Nazioni Unite che richiedeva all’Obiettivo 12.3 di dimezzare lo spreco di cibo fra il 2015 e il 2030”.
    Nasce anche lo Sprecometro
    Un’App attraverso la quale si può calcolare la perdita economica, l’impronta carbonica e idrica del cibo che buttiamo. “Possiamo iniziare fin da subito adottando strumenti pratici come lo Sprecometro – sottolinea Segrè – che ogni giorno misura non solo lo spreco del cibo ma anche la nostra impronta ambientale, lo spreco dell’acqua nascosta e le emissioni connesse al cibo gettato”. LEGGI TUTTO

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    Peperomia, come far crescere la pianta dalle mille varietà

    La peperomia è una pianta sempreverde della famiglia delle piperaceae o peperomiacee, a seconda della classificazione che si tiene in considerazione. Questa pianta si contraddistingue per il suo portamento a carattere cespuglioso, ma anche come fusto ritto, rampicante e strisciante, tanto che in natura la si trova sia in piena terra sia a ridosso dei tronchi degli alberi. Questa caratteristica le rende abbastanza simili ad alcuni tipi di orchidee che crescono nello stesso modo. Le foglie di questa pianta si presentano abbastanza succulente e sono alterne, opposte e poste sullo stesso piano. Di questa pianta, originaria dell’America meridionale, è possibile trovare più di 1000 specie, caratterizzate da foglie che variano nei colori e nelle forme.

    Dove tenere la pianta?
    La temperatura ideale in appartamento per questa pianta è compresa tra i 10-15°C e, di conseguenza, è importante selezionare un’area adeguata della casa in cui sistemarla. La posizione migliore deve poter offrire alla peperomia luce, ma non contatto diretto con i raggi del sole. È importante anche evitare le correnti d’aria fredda e le fonti di calore, poiché questi fattori possono compromettere la salute della pianta. In alternativa, si può coltivare anche in giardino, ma è necessario garantire alla pianta la giusta temperatura, poiché non ama né gelate né il freddo. Infatti, si potrà tenere all’esterno solo in caso di buona umidità e clima tra i 10°C e i 20°C. In giardino è necessario collocare la pianta in un punto dove non vi sono correnti d’aria, dove non arrivano i venti e all’ombra.

    Le varietà della pianta
    Come accennato in precedenza, in natura si possono trovare tantissime varietà di questa pianta. Qui di seguito abbiamo deciso di menzionare quelle più note, che si possono coltivare in casa oppure in giardino.
    Peperomia obtusfolia: si tratta di una pianta che non supera i 30 centimetri di altezza ed ha foglie grandi, carnose e lucide di colore verde scuro.
    Peperomia angulata: è detta “a coste” e si presenta con foglie a strisce che variano di colore a seconda della luce e dell’umidità presente.
    Peperomia albovittata: questa sempreverde ha foglie verdi scuro, increspate lungo le nervature e sono rugose;
    Peperomia caperata: si presenta con foglie di colore verde scuro e ruvide al tatto;
    Peperomia a goccia: questa varietà per crescere bene ha bisogno di poca luce e contesti umidi come il bagno, così da sviluppare foglie sane;
    Peperomia argyreia: si presenta a carattere cespuglioso con foglie che ricordano quella dell’anguria. Proprio per questa è detta “watermelon”.

    Qual è la terra migliore per la pianta?
    La selezione della migliore terra per la peperomia è importante per la sua crescita sana: suggeriamo di utilizzare la terra per le piante grasse. In questo modo, si garantisce alla pianta un terriccio drenante; inoltre, si consiglia di aggiungere dell’argilla espansa sul fondo del vaso, utile proprio per eliminare l’acqua in eccesso.

    La fioritura della peperomia
    A seconda della peperomia che si decide di coltivare si può avere una bella fioritura, a patto però di offrire le giuste condizioni d’esposizione e temperatura. I fiori della peperomia si presentano lunghi e appuntiti, simili a code di topo, di colore bianco crema-verde. La fioritura della peperomia può durare diverse settimane.

    Le annaffiature
    La pianta va annaffiata con regolarità, ma senza esagerare: durante la stagione più calda si può dare l’acqua ogni 2 settimane, mentre con l’arrivo della stagione invernale è necessario diminuire l’irrigazione. In tal caso, si suggerisce di dare acqua ogni 20-30 giorni, sempre controllando con la mano se i primi 2 centimetri di terreno sono asciutti. In questa maniera, si evitano i ristagni idrici e la comparsa di marciume radicale.

    La corretta concimazione
    Per concimare nel modo giusto la peperomia è importante selezionare un prodotto indicato per le piante ornamentali. Il prodotto può essere aggiunto all’acqua di irrigazione in maniera regolare, durante la primavera/estate, ogni circa 3 settimane. È preferibile selezionare un concime ricco di azoto, poiché indicato per questo tipo di pianta.

    Peperomia in acqua per la talea
    La propagazione della peperomia può avvenire attraverso le foglie della pianta. È possibile mettere la foglia divisa a metà in terriccio drenante. Se si preferisce è possibile effettuare una talea di peperomia anche in acqua: basta recuperare un ciuffo di pianta e immergerlo nell’acqua. Nel giro di qualche settimana si inizieranno a notare le radici che escono dallo stelo della peperomia.

    Il rinvaso e la potatura
    Il rinvaso della peperomia deve essere fatto ogni 2-3 anni per mantenere in ottima forma la pianta. È importante selezionare il terriccio migliore, come quello drenante, per consentire alla peperomia di crescere nel migliore dei modi. Per quanto riguarda la potatura, invece, non è necessario farla: si suggerisce semplicemente l’eliminazione di foglie secche e di parti della pianta che sono danneggiate. In questo modo, la peperomia ha lo slancio per crescere bene.

    Le minacce in cui può incorrere la pianta
    Anche questa pianta può incorrere in delle problematiche dovute alla presenza di parassiti o alla comparsa di malattie. La cocciniglia, che si presenta con macchie bianche, è tra i più comuni problemi che si possono verificare. Anche il ragnetto rosso è un altro dei parassiti che possono comparire sulla pianta: ci si può accorgere del problema quando si notano le foglie accartocciate. Infine, come avviene per tutte le piante, l’eccesso idrico rappresenta un grave pericolo per la peperomia: infatti, possono marcire diverse parti del sempreverde, arrivando nei casi peggiori alla morte della pianta. LEGGI TUTTO

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    Lupi avvelenati, insorgono gli ambientalisti: “A rischio anche la salute pubblica”

    L’immagine dei quattro lupi trovati morti, adagiati uno accanto all’altro a Levico Terme in Trentino continua a suscitare polemiche da parte degli ambientalisti. L’Enpa (l’Ente nazionale della protezione animali) ha chiesto la convocazione urgente del “Tavolo di coordinamento sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati” e parla di “atto illegale che mette a rischio non solo la biodiversità, ma compromette anche la qualità e la sicurezza degli ecosistemi locali”. Un documento firmato anche dalle sezioni del Trentino sia della Lipu che del WWF oltre che l’associazione “Io non ho paura del lupo”.

    “I bocconi avvelenati minaccia per la catena alimentare”
    “L’avvelenamento, oltre a causare la morte degli animali direttamente colpiti, rappresenta una minaccia per l’intera catena alimentare e per la salute pubblica. La dispersione di sostanze velenose nell’ambiente può infatti avere ripercussioni su altre specie animali, domestiche e selvatiche, nonché sugli esseri umani”, spiegano gli ambientalisti. E ancora. “In questo contesto, sollecitiamo una chiara presa di posizione da parte dei sindaci dei comuni coinvolti e della Provincia autonoma di Trento. In particolare, chiediamo all’assessore Roberto Failoni, di esprimersi con fermezza per condannare un crimine gravissimo che getta un’ombra sull’intera provincia. È necessario che le istituzioni condannino con fermezza questo crimine orribile e avviino un’indagine approfondita per individuare i responsabili, garantendo che simili episodi non si ripetano”.

    Le immagini scioccanti dei quattro lupi avvelenati trovati a Levico Terme (Trento)  LEGGI TUTTO

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    La Groenlandia si scioglie sempre di più

    Incontaminata, remota, la Groenlandia sta diventando un importante snodo strategico dove si intrecciano tensioni geopolitiche e nuovi modelli commerciali. Ma anche un luogo, con appena i suoi 2 milioni e mezzo di chilometri quadrati, che svolge un ruolo di primo piano nella lotta ai cambiamenti climatici e dove le conseguenze di questi fenomeni sono più evidenti. Lo vediamo dall’inesorabile scioglimento dei ghiacciai che non sembra fermarsi. A lungo considerati stabili, hanno già perso più del 30% del loro volume totale contribuendo al 17,3% dell’innalzamento del mare tra il 2008 e il 2018. Ma gli studi sulla Groenlandia non si sono mai fermati.

    Crisi climatica

    Artico sempre più caldo: ormai emette più gas serra di quanti ne assorbe

    di redazione Green&Blue

    22 Gennaio 2025

    Uno studio statunitense
    Un’ulteriore conferma giunge da un recente studio, pubblicato sulla rivista Nature Geoscience, condotto dagli scienziati della Durham University e dell’Ohio State University. Chiare le parole dei ricercatori statunitensi: la calotta glaciale della Groenlandia si sta screpolando più rapidamente a causa dei cambiamenti climatici. Il team, guidato da Tom Chudley e Ian Howat, ha esaminato oltre 8 mila mappe di superficie tridimensionali della regione artica, create da immagini satellitari ad alta risoluzione. Analizzate e comparate a studi precedenti, le immagini hanno identificato le crepe sulla superficie della calotta glaciale mostrando come si sono evoluti i crepacci in Groenlandia tra il 2016 e il 2021. Non solo.

    Riscaldamento globale

    Clima, il permafrost sulle montagne europee si sta scaldando velocemente

    redazione Green&Blue

    29 Gennaio 2025

    2100: la calotta potrebbe far innalzare l’oceano di 30 cm
    Il gruppo di ricerca ha scoperto che le dimensioni e la profondità delle fenditure ai margini della calotta glaciale, già segnalate in rapido scorrimento, sono aumentate notevolmente proprio mentre si svolgeva lo studio. I crepacci, fratture o crepe a forma di cuneo che si aprono nei ghiacciai, si formano quindi più rapidamente di quanto rilevato in precedenza, provocando lo scorrimento del ghiaccio a velocità più elevate. Fenomeno questo che tenuto sotto osservazione dal1992. Spiegano gli esperti Usa: lo scioglimento della calotta in Groenlandia è stato associato a un innalzamento di 14 millimetri del livello del mare. Se tutto il ghiaccio si trasformasse in forma liquida, le stime suggeriscono che il livello del mare potrebbe aumentare di circa sette metri. Secondo questo lavoro, entro il 2100 la calotta potrebbe contribuire fino a 30 cm di innalzamento delle acque.

    Flusso glaciale accelerato
    Gli autori hanno scoperto che, ai margini della Groenlandia, dove i grandi ghiacciai incontrano il mare, le accelerazioni nella velocità del flusso glaciale erano associate a significativi aumenti del volume dei crepacci. “Per la prima volta – afferma Chudley – siamo in grado di osservare aumenti significativi nelle dimensioni e nella profondità delle fenditure dei ghiacciai a flusso rapido ai margini della calotta glaciale della Groenlandia, in scale temporali di cinque anni e meno. Questo set di dati evidenzia l’aumento dell’estensione dei crepacci, che diventano sempre più grandi e profondi”.

    Antartide

    Il più grande iceberg del mondo sulla rotta di un’isola britannica: rischi per pinguini e foche

    di  Giacomo Talignani

    23 Gennaio 2025

    Effetto domino: il distacco degli iceberg
    “Man mano che i crepacci si allargano – conclude Howat – alimentano i meccanismi che fanno muovere più velocemente i ghiacciai della calotta glaciale, spingendo acqua e calore verso l’interno della calotta glaciale e accelerando il distacco degli iceberg nell’oceano. Questi processi possono a loro volta accelerare il flusso del ghiaccio e portare alla formazione di crepacci sempre più profondi: un effetto domino che potrebbe esacerbare la perdita di ghiaccio dalla Groenlandia”.

    Focus

    Trump e l’eredità green di Biden: cosa cambierà negli Usa per le politiche ambientali

    di  Luca Fraioli

    09 Gennaio 2025

    Le tre sfide: ambientale, climatica e di espansione
    Tutto questo mentre sulla più grande terra artica e isola del Pianeta, territorio della Danimarca (gode di uno stato di autonomia), immersa nell’oceano tra il Canada e l’Islanda, pesano le intenzioni del presidente Usa Donald Trump, che ha rilanciato le ipotesi di annessione o addirittura di acquisto della Groenlandia. E se il presidente non crede alla crisi climatica, è proprio lo scioglimento dei ghiacciai accelerato dal riscaldamento globale che sta esponendo le riserve di idrocarburi e minerali vari essenziali per le tecnologie avanzate come batterie e semiconduttori. Oltre la sua posizione strategica, che rende la Terra Verde un punto strategico per il controllo delle rotte commerciali marittime artiche. Per l’isola è una tripla sfida: crisi climatica, impatto ambientale e espansionismo territoriale guidato da interessi economici. Intanto però i ghiacciai si stanno sciogliendo. LEGGI TUTTO

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    La battaglia delle dighe: a rischio gli ecosistemi himalayani e la vita di milioni di persone

    Diga per diga. Nonostante i recenti segnali di distensione – come la riapertura dei voli diretti tra i due Paesi – tra India e Cina sta silenziosamente iniziando una gigantesca guerra per l’acqua che potrebbe presto coinvolgere la vita di milioni di persone. In tempi di crisi climatica, ghiacciai che scompaiono e transizioni energetiche che corrono veloci, lungo il fragile confine himalayano teatro di incertezze e terremoti, c’è un bene che entrambi i Paesi si contendono e al quale non intendono in nessun modo rinunciare: l’acqua. Cinque anni fa, proprio lungo quel confine da tempo teatro di scontri fra i due Paesi e di tensioni geopolitiche, la Cina ha annunciato l’intenzione di realizzare la diga idroelettrica più grande del mondo, una infrastruttura che sarà addirittura tre volte più grande della famosa diga delle Tre Gole, ad oggi l’impianto idrico più mastodontico al mondo.

    La nuova mega-diga cinese sarà realizzata nella contea di Medog sul poderoso fiume Yarlung Zangbo che nel tratto cinese-tibetano corre lungo il confine fra Cina e India a a est, nella zona himalayana, poi dopo aver attraversato la catena montuosa il fiume piega e si dirige verso sud, entrando in india, dove prende il nome di Brahmaputra e infine arriva nel Bangladesh, dove confluisce nel Gange e sfocia nel golfo del Bengala. Dal 2015 la Cina ha messo gli occhi sul potenziale idroelettrico del fiume realizzando una prima diga, quella di Zangmu, e ora dopo aver avviato altre opere – nonostante le proteste indiane – la volontà di Pechino si è concentrata su un nuovo progetto idroelettrico, nel Medog, capace di generare 300 miliardi di kilowattora di elettricità all’anno, necessario per centrare l’obiettivo di emissioni nette zero entro il 2060. Una diga faraonica che costerà quasi 140 miliardi di dollari e molto probabilmente, lungo il lato cinese, implicherà lo sfollamento e lo spostamento di migliaia di persone. L’iter definitivo alla grande opera è stato da poco approvato e l’India prima ha protestato – sottolineando i possibili impatti sulla vita di milioni di persone che si basano sull’acqua del grande fiume – poi ha risposto “diga per diga”, annunciando l’ok alla costruzione di un proprio impianto idroelettrico a valle, nella zona indiana, dove il Brahmaputra viene chiamato anche Siang. Una sorta di contro-diga per “mitigare l’impatto negativo dei progetti di dighe cinesi”, capace di compensare l’interruzione del flusso del fiume causata dalle opere di Pechino e allo stesso tempo di proteggere da inondazioni improvvise e ovviare al grosso problema della scarsità d’acqua.

    Il caso

    “Ci rubano l’acqua per il turismo di massa”. A rischio uno degli ultimi fiumi selvaggi d’Europa

    di Giacomo Talignani

    27 Luglio 2024

    Anche in questo caso però c’è una pericolosa criticità, legata sia all’impatto sulla vita di decine di villaggi e comunità locali, sia al fatto che l’ecosistema della regione himalayana è particolarmente fragile per le inondazioni e soprattutto per quei terremoti devastanti che, anche di recente, colpiscono ciclicamente quest’area. Il progetto indiano si chiama Siang Upper Multipurpose Project, costa almeno 13,2 miliardi di dollari e sarà in grado di generare 11.000 megawatt di elettricità una volta completato, più di qualsiasi altro progetto idroelettrico indiano. Anche in questo caso l’idea è vecchia, di almeno otto anni fa, ma i funzionari stanno ora rilanciando sull’ok all’iter e alla fattibilità, proprio come risposta ai cinesi. Nelle località a valle attraversate dal Siang vivono migliaia di contadini e comunità tribali, come gli Adi. Secondo i locali, con i lavori per la nuova diga almeno 20 villaggi rischiano di essere sommersi e altri venti potrebbero risultare parzialmente allagati, obbligando migliaia di persone ad andarsene. In gioco, con entrambe le opere, c’è molto. C’è l’accesso all’acqua potabile per centinaia di milioni di persone, c’è la salute dell’intera biodiversità di un territorio già provato da frane, fango e scioglimento dei ghiacciai, e c’è il costante rischio legato a sismi che possono raggiungere anche 7 gradi di magnitudo in Tibet, dove in passato per via dei terremoti sono già state danneggiate proprio le dighe. In più, ovviamente, su tutto ciò c’è lo spettro della crisi climatica che sta alimentando lo scioglimento dei ghiacciai.

    In India nello stato nord-orientale dell’Arunachal Pradesh i portavoce dei villaggi della valle interessata dal progetto lo hanno subito capito e dopo aver radunato le persone sono iniziate le prime proteste, contenute dai paramilitari. Il governo statale guidato dal Bharatiya Janata Party (BJP) ha contestato le proteste ricordando ai manifestanti che il vero obiettivo del progetto non è solo una diga, ma è “salvare il fiume Siang” dalla Cina. In questo complesso contesto, in cui cinesi e indiani si battono per la sicurezza idrica ed elettrica del futuro, oltretutto chi rischia di più potrebbe essere un terzo Paese, il Bangladesh. Il fiume infatti nella sua ultima parte arriva in Bangladesh dove si stima che la popolazione ottenga il 65% della sua acqua proprio da questo corso e dal sistema fluviale collegato. Con due dighe a monte, i rischi per l’approvvigionamento idrico in Bangladesh sono dunque enormi. Secondo diversi esperti, ricercatori universitari e ingegneri, i due progetti combinati potrebbero risultare nel tempo “una bomba d’acqua ad orologeria” soprattutto in caso di terremoti e la speranza, non solo per i primi spiragli democratici di ritorno alla normalità dimostrati con la riapertura dei voli, è che fra i due Paesi nasca presto un nuovo spirito collaborativo e di condivisione (anche dell’acqua) per evitare che queste mega strutture diventino realtà e compromettano vite ed ecosistemi. LEGGI TUTTO

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    Il vetro che cattura la luce: dalla Corea del Sud la svolta per il fotovoltaico trasparente

    Energia elettrica prodotta dalle finestre di casa, senza perdere in trasparenza, luminosità ed estetica. L’innovazione di un gruppo di ricercatori della Corea del Sud, potrebbe cambiare radicalmente la concezione degli edifici del futuro, grazie ad un’implementazione dei sistemi fotovoltaici integrati nei palazzi, i cosiddetti BIPV, (acronimo di Building Integrated Photovoltaics), che utilizzano il vetro per catturare la luce del sole. Qual è la novità? È il vetro modellato testato dagli scienziati asiatici che supera le limitazioni tipiche dei moduli fotovoltaici BIPV, ormai oggetto di studio da almeno una decina di anni, che hanno prestazioni energetiche ridotte, a causa del loro design e delle proprietà ottiche; infatti il prototipo coreano grazie alla specifica morfologia della superficie del vetro modellato e “all’orientamento verticale rivolto a sud rispetto alla latitudine del sole”, scrivono gli scienziati nella pubblicazione scientifica, ha un alto rendimento energetico, con una perdita minima, ma senza peggiorare l’estetica, elemento importante di un edificio.

    Fisco Verde

    Detrazioni al 50% per chi vuole rinnovare o ampliare l’impianto fotovoltaico

    di  Antonella Donati

    04 Febbraio 2025

    Prima di capire un po’ di più sulla portata dello studio, facciamo un salto indietro. Le prime prove tangibili sulla concretezza di questa nuova tecnologia fotovoltaica risalgono al 2014, quando i ricercatori della Michigan State University hanno sviluppato la prima tecnologia fotovoltaica completamente trasparente. Tecnologia che usa molecole organiche per assorbire lunghezze d’onda non visibili della luce, come l’ultravioletto e il vicino infrarosso, che permettono il passaggio della luce visibile, viene indirizzata ai bordi del pannello, dove sottili strisce di celle fotovoltaiche la convertono in elettricità. I primi esperimenti però, avevano un’efficienza di conversione energetica troppo bassa, appena l’1%, ma recentemente si è arrivati al 10%.

    I BIPV, che in italiano sono chiamati fotovoltaico architettonicamente integrato, hanno la duplice funzione di fungere da elemento architettonico dell’involucro edilizio e di generare energia; infatti, sono utilizzati in tre ambiti in prevalenza, e cioè come coperture, ad esempio di tegole e lucernari, oppure sulle facciate degli edifici, tra cui le finestre, infine come integrazione esterna, come parapetti per balconi. Tornando alla ricerca asiatica, ogni modulo conteneva due semicelle, che sono state tagliate utilizzando l’elaborazione laser e interconnesse tramite saldatura a filo, per le quali sono state usati diversi materiali, tra cui etilene vinil acetato, polietilene, polietilene tereftalato, mentre i moduli sono stati realizzati in vetro convenzionale spesso 3,2 mm e per il BIPV un vetro modellato da 5 mm.

    “Questo tipo di vetro è comunemente utilizzato in applicazioni architettoniche e di interni in cui la privacy e la diffusione della luce sono fondamentali, offrendo una texture visiva unica che imita l’aspetto delle gocce di pioggia”, ha spiegato il team coreano, che per la prima volta ha condotto l’esperimento su un tetto durante i due mesi estivi di giugno e luglio, con entrambi i moduli allineati verso sud e con un angolo di inclinazione di 90 gradi, raccogliendo i vari parametri di resa energetica, insieme a temperatura e dati di irradiazione ogni tre minuti per entrambi i moduli.

    Innovazione

    La startup dell’agrivoltaico che fa crescere microalghe e piante medicinali sotto i pannelli solari

    di  Gabriella Rocco

    14 Ottobre 2024

    Ebbene il risultato del test di confronto tra i due tipi di moduli in vetro convenzionale e modellato è piuttosto interessante, perché se fino ad oggi gli studi hanno segnalato rese energetiche inferiori nei sistemi BIPV, questo particolare tipo di modulo con vetro modellato, ha mostrato una riduzione dello 0,5% della resa energetica “a causa della tensione a circuito aperto (Voc) inferiore causata dal vetro più spesso (5 mm) rispetto al vetro di riferimento (3,2 mm)”, si legge nella pubblicazione scientifica. Questo risultato fa ben sperare per il futuro della ricerca, perché il risultato suggerisce che i moduli BIPV di vetro modellato siano i candidati migliori per sviluppare sistemi fotovoltaici rivolti a sud e verticali da integrare a edifici per produrre energia a costo zero, ma senza rinunciare all’efficienza energetica. LEGGI TUTTO

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    Le popolazioni di topi in città crescono con l’aumentare delle temperature

    Da Amsterdam a New York, la presenza di ratti in alcune grandi città sta aumentando da qualche tempo a questa parte, nonostante gli sforzi messi in campo dalle amministrazioni locali per contenere il fenomeno. Secondo i risultati di uno studio pubblicato su Science Advances, la questione sarebbe collegata alla crescente urbanizzazione e soprattutto all’aumento delle temperature globali, che contribuisce ad allungare la stagione degli accoppiamenti. Parallelamente, l’aumento nel numero di abitanti delle città garantisce fonti di cibo per questi animali in forma di rifiuti alimentari.

    Si tratta di un problema non da poco, dato che i ratti possono causare danni alle infrastrutture, rovinare i raccolti, contaminare le riserve di cibo. Solo negli Stati Uniti, si stima che i danni economici relativi a questo fenomeno ammontino a 27 miliardi di dollari all’anno. Senza considerare il fatto che i ratti che infestano le città possono fare da vettore per diverse malattie, dalla leptospirosi alla peste bubbonica. Per capire meglio l’origine del problema, gli autori e le autrici del nuovo studio hanno analizzato i dati relativi a 16 grandi città concentrate soprattutto in Nord America (ad eccezione di Tokyo e Amsterdam), raccolti negli ultimi 12 anni circa. I dati si basano sia sulle segnalazioni dei cittadini che sulle ispezioni ufficiali. In 11 città delle 16 prese in esame il numero di ratti è aumentato significativamente nel periodo analizzato: in testa alla classifica ci sono Washington D.C., San Francisco, Toronto, New York City e Amsterdam, seguite da Oakland, Buffalo, Chicago, Boston, Kansas City e Cincinnati. Tokyo, Louisville e New Orleans hanno invece mostrato un andamento opposto, con il numero di ratti che si è ridotto nel corso degli ultimi 12 anni. Infine, a Dallas e St. Louis le popolazioni di ratti sono rimaste più o meno stabili nello stesso arco di tempo.

    Come anticipato, tra i fattori che sembrano mostrare una correlazione più forte con la crescita delle popolazioni di ratti nelle città c’è in primis l’aumento delle temperature, seguito dall’urbanizzazione (stimata in base alla percentuale di aree coperte da vegetazione) e dalla densità della popolazione. Le città che hanno mostrato un maggiore aumento delle temperature, una maggiore urbanizzazione e un maggiore incremento nel numero di abitanti sono anche quelle in cui è stata registrata una più forte presenza di ratti. Ed è vero anche l’opposto: nelle città più verdi l’espansione delle popolazioni di ratti è stata più lenta o addirittura si è verificato l’andamento inverso. Ma cosa si può fare per arginare il problema? Gli autori e le autrici dello studio sottolineano che le soluzioni più promettenti potrebbero essere quelle mirate a rendere le città meno favorevoli all’insediamento dei ratti, piuttosto che ad eliminare quelli che ci sono già. L’utilizzo di veleni, per esempio, nel tempo si è mostrato inefficace, oltre a causare sofferenze negli animali (ratti e loro predatori) e problemi di inquinamento ambientale. La città di New York, si legge nella pubblicazione, avrebbe aumentato l’utilizzo di rodenticidi tra il 2014 e il 2019, ma gli avvistamenti di ratti nello stesso periodo sarebbero aumentati. Al contrario, concludono i ricercatori, migliorare la gestione dei rifiuti, rendendoli meno accessibili, e trovare dei modi per limitare l’intrusione dei ratti all’interno degli edifici potrebbero rivelarsi strategie più valide. LEGGI TUTTO