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    Ai negoziati per il Trattato globale sulla plastica la carica delle lobby dei combustibili fossili

    A Busan, mentre i rappresentanti di tutto il mondo discutono su un problema enorme che non possiamo più ignorare, l’elefante nella stanza è talmente grande che si teme per l’effettiva riuscita del vertice. Esattamente come alla Cop29, conferenza delle parti sul clima appena conclusa a Baku e presidiata da migliaia di lobbisti dei combustibili fossili, anche in Corea del Sud il paradosso è lampante: mentre fino al 1° dicembre si negozierà per ottenere un Trattato globale sulla plastica, in modo da limitare l’inquinamento di questo materiale che potrebbe raddoppiare al 2050, nei corridoi del summit è pieno di lobbisti dell’industria della plastica.

    Il report

    Più lobbisti dei combustibili fossili che delegati dei paesi vulnerabili alla Cop del clima

    di  Giacomo Talignani

    15 Novembre 2024

    C’è di tutto: dai rappresentanti del petrolio a quelli della chimica, da quelli degli imballaggi alla cosmetica sino ai lobbisti della componentistica auto. Il numero è da record: circa 220 manager e uomini di aziende che hanno come intenzione primaria quella di garantire che la plastica vergine possa ancora essere prodotta e che l’industria della plastica non incappi in battute d’arresto. Mai, ai negoziati sul Trattato – che vede attualmente opposte le posizioni di Paesi produttori di combustibili fossili come Arabia Saudita, Russia e Iran a un gruppo di circa 60 nazioni che invece chiedono passi indietro sulla produzione di plastica – c’erano stati così tanti lobbisti, impegnati a frenare tentativi di porre limiti alla quantità di plastica che in futuro potrà essere prodotta.

    Inquinamento

    Trattato mondiale della plastica: ultima chance per liberarci dall’inquinamento

    di  Giacomo Talignani

    25 Novembre 2024

    Non è una novità che ai vertici mondiali ci sia una tale ingerenza: è accaduto alla Cop16 sulla Biodiversità, dove erano presenti per esempio lobbisti del mondo della pesca e della caccia, è accaduto nuovamente anche alla Cop29 sul clima, con 1773 rappresentati dell’oil&gas presenti laddove bisognava discutere di uscita graduale dai combustibili fossili. Ora, l’analisi del Center for International Environmental Law (CIEL), mostra come anche ai colloqui sulla plastica guidati dalle Nazioni Unite a Busan a primeggiare siano i lobbisti: se presi come gruppo, sarebbero addirittura la delegazione più numerosa ai colloqui dato che si parla di 220 persone, mentre la delegazione del Paese ospitante, la Corea del Sud, è di “appena” 140 persone.

    Numeri che sono più del doppio persino degli 89 delegati dei piccoli stati insulari in via di sviluppo del Pacifico (PSID), quelli che oggi sono più sommersi dalla plastica. I lobbisti superano, per numero, perfino i delegati della Coalizione degli scienziati che punta ad ottenere un trattato efficace sulla plastica, preoccupati dal fatto che ormai ogni anno vengano prodotte 460 milioni di tonnellate di plastica, materiale di cui riusciamo a riciclare pochissimo (intorno al 10%). Proprio 900 scienziati indipendenti di recente hanno firmato una dichiarazione per chiedere ai negoziatori di accelerare e trovare un accordo per un Trattato globale che limiti la produzione di plastica, cosa che invece i rappresentati delle aziende presenti non auspicano affatto. I produttori infatti non vogliono “limiti” e, sulla spinta di Arabia Saudita, Russia, Iran e anche Cina continuano a insistere sulla necessità di evitare tagli alla produzione e migliorare invece la gestione dei rifiuti, aspetto che finora però non è mai funzionato.

    “I limiti alla produzione e la riduzione della quantità di materiale nel sistema avrebbero un impatto maggiore su coloro che meno se lo possono permettere” sostiene per esempio Stewart Harris, portavoce dell’International Council of Chemical Associations (ICCA). Questa retorica è però quella che preoccupa attivisti e scienziati perché ci porta verso qualcosa, il recupero e riciclo, che finora non ha dato alcun frutto concreto. Per Delphine Levi Alvares del CIEL “abbiamo visto i lobbisti del settore circondare i negoziati con tattiche tristemente note di ostruzione, distrazione, intimidazione e disinformazione, una strategia progettata per preservare gli interessi finanziari dei Paesi e delle aziende che antepongono i loro profitti derivanti dai combustibili fossili davanti alla salute umana, ai diritti umani e al futuro del Pianeta”.

    La sola presenza dei lobbisti fra i corridoi Onu fa temere dunque per una riuscita reale degli accordi: ci si chiede per esempio cosa ci facciano a Busan i rappresentati di aziende come Dow o Exxon Mobil, grandi produttori di plastica, gli stessi che insieme ad altre ditte avevano firmato una alleanza volontaria per “porre fine ai rifiuti di plastica” nonostante si sia poi scoperto che proprio quelle aziende avevano prodotto fino a 1000 volte più plastica nuova rispetto ai rifiuti che hanno smaltito in cinque anni. Anche per questa ingerenza ci sono forti dubbi sulla possibilità di raggiungere un accordo per un trattato “giuridicamente vincolante” entro la fine della settimana quando, come sostiene Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, “gli Stati membri dovranno definire un trattato globale sulla plastica che dia priorità a un ambiente vivibile per noi e per le future generazioni, piuttosto che ai compensi di un manipolo di amministratori delegati. E per farlo serve un accordo ambizioso e legalmente vincolante che riduca la produzione della plastica e ponga fine al monouso”. Un accordo che però senza pressioni da parte della società civile, anche vista l’ingerenza dei lobbisti, rischia di non trovare terreno fertile: eppure, avvertono scienziati e associazioni guidate dalla Plastic Health Council, ignorare l’impatto della plastica sulla salute non solo degli ecosistemi ma anche umana, è ormai “delirante”. LEGGI TUTTO

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    Black friday, un venerdì nero… anche per la sostenibilità

    Uno dei significati della parola “consumare” è “distruggere, deteriorare”. Qualcosa su cui dovremmo tutti riflettere. Il consumo eccessivo, ben lontano dal soddisfare i nostri bisogni primari, risulta essere non a caso un fattore determinante dell’emergenza climatica ed ecologica che stiamo vivendo a livello globale. E il Black Friday è probabilmente il momento in cui la cultura del sovra-consumismo trova la sua espressione più estrema.?Anche in una settimana di acquisti pre-natalizi come questa, il WWF ricorda che si può cercare di approfittare degli sconti senza abusare inutilmente delle risorse del Pianeta.

    Dalle sue origini americane, il Black Friday ha guadagnato popolarità in tutto il mondo. Il 70% degli italiani dichiara che anche quest’anno effettuerà almeno un acquisto – principalmente prodotti di elettronica, scarpe, moda e cosmetici – e lo farà attraverso piattaforme online. Ma, sebbene i prezzi siano vantaggiosi per i consumatori, il Black Friday è caratterizzato anche da un costo ambientale significativo. Durante la settimana di sconti il trasporto su gomma delle merci verso magazzini e negozi di tutta Europa rilascia nell’atmosfera oltre 1 milione di tonnellate di CO2, il 94% in più di una settimana media. Questa stima manca, peraltro, delle emissioni per le consegne degli acquisti online che, come abbiamo detto, in Italia rappresentano la maggior parte degli acquisti. Ammonterebbero a circa 500.000 le tonnellate di CO2eq rilasciate nell’atmosfera in Italia durante la settimana del Black Friday. La CO2 equivalente è una misura utilizzata per confrontare l’impatto ambientale di diversi gas serra, traducendoli in un’unica unità di misura basata sul loro potenziale di riscaldamento globale (GWP, Global Warming Potential). In pratica, indica quanta CO2 avrebbe lo stesso effetto sul riscaldamento globale di una determinata quantità di un altro gas serra.

    Con un budget medio di 230 euro per italiano, che arriva fino 300 euro nei Millennial, è evidente l’esistenza di meccanismi che hanno reso cool il consumo e il conseguente ricambio frequente degli oggetti. C’è invece scarsissima consapevolezza dell’impatto ambientale che porta con sé ogni acquisto: soltanto 1 italiano su 10, infatti, ha contezza dell’alto costo ambientale che si nasconde dietro il prezzo basso dei prodotti. I più attenti al tema sono risultati essere i ragazzi della GenZ, fanalino di coda invece i Boomers dai 59 anni in su.

    Gli impatti del sovra-consumo di prodotti elettronici
    Un solo smartphone può emettere oltre 70 kg di CO2, di cui l’80% in fase di produzione. E non solo: dentro ciascun dispositivo elettronico che utilizziamo c’è una piccola miniera di risorse rare e preziose. Basti dire che la maggior parte degli smartphone può contenere l’80% degli elementi stabili della tavola periodica! Il mix di metalli presente in uno smartphone spazia da quelli comuni, come rame e zinco, a metalli preziosi come oro e platino, fino a metalli esotici come terre rare e germanio. Date le dimensioni ridotte degli attuali telefonini, la quantità di uno qualsiasi di questi metalli è bassa. Se si considera, però, che quasi 3 miliardi di persone, ovvero circa il 40% di tutti gli individui sulla Terra, ne possiede almeno uno, le piccole quantità si sommano. Inoltre, la gran parte degli elementi in questione ha la caratteristica di essere distribuita in modo disuguale nei vari continenti e di trovarsi spesso in piccole quantità nei minerali dai quali viene estratta, il che richiede processi molto impattanti che causano la devastazione di territori e l’uso di sostanze chimiche estremamente tossiche con conseguenze gravi quali perdita di biodiversità, inquinamento idrico ed erosione del suolo.

    Ne consegue che le nostre miniere del futuro non sono solo in Cina e in Africa, le aree più ricche di molti di questi elementi, ma sono nella spazzatura! In Italia si producono circa 1,1 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici all’anno, 19 kg a testa, di cui sono correttamente raccolti solo 6 kg, lasciando senza traccia tonnellate di risorse naturali potenzialmente recuperabili e aumentando i rischi di inquinamento per le comunità di tutto il mondo. Da questi rifiuti, infatti, possono essere recuperate circa 70 diverse Materie Prime Seconde (come rame, ferro, alluminio, ma anche indio, silicio, tantalio e terre rare) da reintrodurre in nuovi cicli produttivi senza generare impatti negativi sulle risorse vergini del Pianeta.

    Un Pianeta alla moda, ma sempre meno sano
    Il Black Friday è anche il fascino della moda, che attrae gli acquirenti con promesse di capi a prezzi imbattibili. Tuttavia, sotto la superficie di questo settore spesso frenetico e guidato dalle tendenze, si nasconde un lato oscuro che merita una riflessione. Negli ultimi 15 anni, si è ridotto del 36% il tempo di utilizzo dei?vestiti, che sono diventati spesso articoli usa e getta, con gravi problemi di uso insostenibile di materie prime e produzione di rifiuti. In Italia, per abbigliamento, calzature e tessuti, vengono immessi sul mercato 23 kg di prodotti l’anno per abitante. In questo siamo primi in Europa, a fronte però di una raccolta di rifiuti di soli 2,7 kg pro-capite, che corrispondono a circa 160mila tonnellate di rifiuti tessili prodotti in Italia. Una delle maggiori criticità del settore, infatti, è la gestione del fine vita dei vestiti e delle fibre tessili non riutilizzabili.

    A livello globale meno dell’1% dei rifiuti tessili viene riciclato per fare nuovi vestiti. Gran parte di questi rifiuti viene esportato e finisce in grandi discariche in Asia, Africa e Sud America. L’industria tessile è tra le più impattanti per l’ambiente e tra quelle che maggiormente incidono sul cambiamento climatico. L’industria tessile è la seconda a livello mondiale per inquinamento delle acque, secondo le Nazioni Unite. Per produrre una semplice T-shirt di cotone sono necessari circa 2.700 litri d’acqua, l’equivalente della quantità d’acqua che una persona beve in circa due anni e mezzo. I tessuti sono una delle principali fonti di inquinamento da microplastiche, che hanno in genere una forma di fibra. I nostri abiti sintetici, invece, possono rilasciare nelle acque di superficie 13mila tonnellate di microfibre tessili, pari a 25 grammi per persona.?Questa enorme diffusione ambientale fa sì che quantità di micro e nanoplastiche siano poi presenti in molti organi del corpo umano, anche nel cervello. In alcuni casi è stata anche dimostrata l’incidenza di queste sostanze nelle cardiopatie, nell’ictus e persino nell’Alzheimer.

    La frenesia degli acquisti determina un ulteriore impatto imprevisto: i resi.?Quando si acquista da negozi fisici, i resi rappresentano meno del 10% dei prodotti venduti, quando lo shopping è online i resi aumentano fino a 4 volte. I resi hanno un peso sulle emissioni che può essere del 30% maggiore rispetto alla consegna iniziale, dovuto alla logistica ad alta intensità energetica. Ad aggravare il peso ambientale è che oltre il 25% dei resi viene buttato via dai rivenditori.?

    “Il consumismo si scontra con i limiti della capacità del nostro pianeta di sostenere la vita. Quest’anno, invitiamo i consumatori a pensare oltre gli sconti e a dare priorità ad un consumo più sostenibile e responsabile. Gli acquisti eccessivi, specialmente nei settori ad alta intensità di uso di risorse come elettronica e moda, hanno un elevato?impatto ambientale. Niente è più importante per gli esseri umani di una biosfera ecologicamente funzionante e che sostenga la vita sulla Terra. È l’unico posto abitabile che conosciamo.” afferma Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia. “Il Black Friday può essere un’opportunità per ripensare le abitudini di consumo e adottare scelte più sostenibili. Evitando di fare acquisti impulsivi o anche solo facendo acquisti in modo consapevole, supportando marchi attenti alla sostenibilità e concentrandosi su acquisti basati su reali necessità, possiamo contribuire a ridurre la nostra impronta ambientale”.

    Per uno shopping più sostenibile, il WWF Italia quest’anno propone la sua Conservation Collection che garantisce risparmi sicuri per il nostro Pianeta. Nello specifico del 92% di CO2, il 98% di acqua e il 76% di energia. I prodotti della WWF Conservation Collection sono infatti realizzati in 100% lana riciclata certificata GRS. Inoltre, sono creati a partire da vecchi indumenti, da cui è ricavata la lana per la realizzazione dei capi WWF: questi indumenti vengono selezionati per colore; perciò, non è necessaria una nuova tintura che rappresenta il processo più impattante di tutta l’industria della moda. All’interno della Collection ci sono tanti articoli per tenersi al caldo durante l’inverno come maglioni e sciarpe. Il tutto con fantasie che richiamano anche non scontati per il periodo natalizio, come elefanti e tartarughe. La collezione completa è disponibile a questo link. LEGGI TUTTO

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    Il bonsai glicine, resistente e dai fiori profumati

    In origine pianta rampicante, il glicine può essere coltivato anche ad alberello, dando molte soddisfazioni. Apprezzato per la sua splendida fioritura, il bonsai glicine presenta una struttura slanciata e un tronco che si contorce con lo scorrere del tempo, conferendo all’arbusto un aspetto secolare. Forte, duraturo e resistente, questo splendido bonsai sopporta anche le temperature rigide: per fiorire in modo ottimale e risplendere in tutta la sua bellezza richiede cure e attenzioni particolari.

    Come coltivare il bonsai glicine
    Nel mondo del bonsai quello di glicine è uno dei più desiderati in assoluto. Anche noto come wisteria, si presenta in due specie principali: la wisteria floribunda, proveniente dal Giappone, e la wisteria sisensis, originaria della Cina. Oltre al suo tronco dai rami ricurvi e il portamento slanciato, questo amatissimo bonsai presenta dei fiori profumati, colorati dalle tonalità del lavanda, del blu e del bianco e che sbocciano in primavera. Come ogni bonsai, richiede particolari accorgimenti per la sua coltivazione: per realizzarlo si possono usare tecniche come quella della margotta o della talea.

    Per coltivare il bonsai glicine è necessario in primo luogo scegliere la pianta giusta, assicurandosi che il glicine sia sano, non presenti malattie oppure parassiti, sia robusto, abbia un tronco flessibile e delle radici sviluppate. Lo stato della pianta di partenza è un aspetto fondamentale per il futuro del bonsai: proprio per questo, bisogna optare per un glicine dalle condizioni ottimali e meglio se giovane, per poterlo crescere e modellare come desiderato.

    Allestimento del bonsai glicine
    Per l’allestimento del bonsai si procede con la fase di trapianto del glicine, scegliendo un vaso adatto a questa operazione, prediligendo un contenitore che abbia dimensioni adeguate per contenere il bonsai, permetta lo sviluppo delle radici e sia dotato di fori di drenaggio, scongiurando così possibili ristagni d’acqua. È meglio optare per un vaso in terracotta in quanto favorisce lo sviluppo delle radici e consente il drenaggio dell’acqua.

    Il terreno usato deve essere drenato e ricco, in modo tale da assicurare all’arbusto i nutrienti necessari: una soluzione ottimale è unire della terra da giardino con della sabbia e arricchire il substrato anche con della torba o del materiale organico. Una volta che il terreno è pronto e il vaso è stato scelto è necessario posizionare al suo interno il glicine, prestando molta attenzione a non danneggiare le radici.

    Bonsai glicine e l’esposizione
    Per la coltivazione del bonsai glicine è importante conoscere la posizione in cui è meglio collocarlo: essendo amante della luce dovrà essere posto in pieno sole per far sì che i suoi rami crescano in modo robusto, tenendo conto, però, di come questo non valga in estate, periodo in cui evitare l’esposizione dei raggi solari diretti che potrebbero danneggiarlo e, pertanto, prediligendo l’ombra. La pianta può essere coltivata all’esterno ma, nonostante sia molto resistente, è fondamentale ripararla dal freddo, soprattutto quando le temperature scendono sotto i 5 gradi, e dai venti.

    Cura del bonsai glicine: cosa bisogna fare
    Per quanto riguarda l’annaffiatura del bonsai glicine è cruciale assicurarsi che non sia mai disidratato: dare da bere all’arbusto regolarmente consente di far sbocciare le sue gemme fiorifere durante la primavera. Per capire quando il bonsai necessita di acqua basta toccare il terriccio e se questo è asciutto bisogna procedere subito con diverse irrigazioni abbondanti. Durante l’estate si può ricorrere a un sottovaso da riempire con acqua, in modo tale che la parte inferiore del vaso resti immersa.
    Nella stagione estiva si può procedere con l’applicazione di un filo di alluminio allo scopo di modellare il bonsai a seconda della forma desiderata. Per sistemare il filo bisogna avvolgere prima i rami più grossi, poi quelli più sottili, con un’angolazione di 45 gradi: il filo deve essere controllato ogni settimana per scongiurare eventuali segni sulla corteccia. Se si desidera ottenere una curvatura definitiva è necessario mantenere il filo sui rami per alcuni mesi.

    Potatura e pinzatura del bonsai glicine
    Nella cura del bonsai glicine è fondamentale la potatura da formazione, operazione da eseguire ricorrendo a una tronchese concava durante l’inverno, medicando poi i tagli con una pasta cicatrizzante. Per una fioritura ricca, è bene mantenere le gemme fiorifere, ovvero quelle dalla forma tondeggiante, distinte da quelle allungate, che sono a legno. Solo dopo la fioritura è possibile tagliare i rami dove sono custodite le gemme fiorifere. Tra l’autunno e l’inverno è bene eseguire la potatura di mantenimento del bonsai glicine, da effettuare una volta l’anno, tagliando i germogli che non si desiderano che diventino rami. Inoltre, è necessario occuparsi della rimozione dei baccelli, consentendo così alla crescita del bonsai di concentrarsi esclusivamente sui fiori.

    In merito al rinvaso, questo intervento deve essere effettuato ogni 2 o 3 anni tenendo conto che se si esegue in inverno la fioritura mancherà durante la primavera: questa operazione deve essere svolta sostituendo il terriccio drenato e ricorrendo a un vaso più profondo. Subito dopo la fioritura si può eseguire il rinvaso di mantenimento, lasciando l’apparato radicale integro per due terzi.
    In seguito alla fioritura è la volta della pinzatura, intervento con cui si eliminano i grappoli dei fiori, che consumano molta energia della pianta, per poi accorciare i germogli nuovi e i viticci, che nei glicini vigorosi possono continuare a presentarsi in estate e autunno.

    Prima della fioritura è bene occuparsi della concimazione, altrimenti il bonsai glicine vegeta a legno, lasciando da parte le gemme fiorite: questa operazione va eseguita più volte e deve essere abbondante durante il periodo vegetativo della pianta, che va da marzo a giugno e da metà agosto a ottobre. Altro aspetto da tenere in considerazione nella cura del bonsai è quello dei parassiti: se il glicine non è tendenzialmente soggetto alle malattie fungine, è attaccato spesso da afidi, acari e cocciniglia. Per prevenire questi problemi si può ricorrere a trattamenti preventivi con un insetticida ad hoc da applicare ogni due settimane. LEGGI TUTTO

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    Giustizia climatica, a Londra lanciato l’allarme per l’emergenza del delta del Po

    “In questi anni abbiamo assistito a diversi eventi climatici estremi che provocano danni, piogge, trombe d’aria, soprattutto nel Delta del Po, con il mare vicino”. Vanni Destro è uno dei due cittadini polesani, insieme a Lucia Pozzato, che stanno partecipando a Londra al Raduno Comunitario sulla giustizia climatica settimana di panel e incontri organizzata da Greenpeace per riflettere sull’impatto del cambiamento climatico anche dal punto di vista del diritto. E un focus è quello, appunto, anche sul Delta del Po, territorio Unesco con riserva di biosfera riconosciuta nel 2015, una delle più grandi riserve nazionali di zone umide con sbocco a mare privo di sbarramenti. Destro e Pozzato si battono da anni per preservarla anche portando il tema a questi incontri internazionali. “Credo che sia giusto – ha esordito Pozzato – che noi cittadini ci muoviamo per difendere l’ambiente in cui ci troviamo e per lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti un mondo migliore”.

    A Londra si sta affrontando anche il tema dei migranti climatici  LEGGI TUTTO

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    Cosa piantare nell’orto a novembre

    Con l’arrivo di novembre l’autunno entra nel suo vivo, portando temperature in discesa, giornate più corte e l’inverno sempre più vicino. Durante questo mese non solo si lavora alla conservazione e all’organizzazione dell’orto, ma ci sono diverse colture che possono essere seminate: queste varietà resistono al freddo e sono coltivabili anche quando il clima diventa più rigido e le perturbazioni aumentano. Di seguito approfondiamo cosa seminare nell’orto nel corso di novembre.
    Orto a novembre: cosa sapere
    Novembre rappresenta il periodo perfetto per sistemare l’orto in vista della primavera successiva. Oltre a tagliare l’erba, da mantenere per riparare il suolo durante i mesi freddi, si può anche concimare il terreno e pulirlo da quelle colture che hanno concluso il loro ciclo di vita. Per quanto riguarda le coltivazioni, se rispetto ai mesi precedenti ci sono meno possibilità, tuttavia a novembre non mancano comunque ortaggi da seminare. Visto che in queste settimane il clima si fa più rigido, per garantire lo sviluppo ottimale delle colture è cruciale proteggerle dalle perturbazioni e dal rischio di gelate, ricorrendo per esempio al tessuto non tessuto per tutelarle dal freddo, assicurando allo stesso tempo traspirazione e luce.

    Nel corso di novembre ci si può dedicare alle semine nell’orto che variano molto a seconda della zona dove si vive: infatti, se ci si trova in un’area in cui l’autunno è molto freddo le coltivazioni vanno rimandate alla fine della stagione invernale. Diverso è se le temperature sono miti, cosa che consente di seminare diversi ortaggi anche durante l’autunno inoltrato. In generale in questo periodo le semine vengono effettuate non in semenzaio, ma in piena terra e in caso di trapianti si può mettere a dimora invece quello che è cresciuto in semenzaio.

    Questo è il mese ideale anche per le coltivazioni strategiche: per esempio si possono piantare i bulbi raccolti durante la primavera, come l’aglio e la cipolla, e anche trapiantare alberi da frutto, come pero, nespolo, noce, nocciolo, albicocco, alcune tipologie di melo e marasca, e piante aromatiche, quali rosmarino, menta piperita, salvia, timo, lavanda ed erba cipollina.

    Quali varietà coltivare nell’orto a novembre
    Le coltivazioni che possono essere seminate con successo durante novembre sono considerate specie autunnali. Tra queste spiccano le carote, ortaggio appartenente alla famiglia delle ombrellifere, le cui radici sono capaci di tollerare il freddo. Per coltivarle è necessario seminarle in campo aperto in un luogo parzialmente ombreggiato a 1 centimetro di profondità, lasciando una distanza di 3-4 centimetri tra i semi e 15-20 centimetri tra le file. Il terreno deve essere soffice, sabbioso e mantenuto sempre umido: una volta seminate, le carote potranno essere raccolte l’anno successivo.

    Inoltre, in queste settimane si possono coltivare gli spinaci, da raccogliere già durante l’inverno oppure in primavera. Questa pianta rustica è molto resistente al freddo e non richiede particolari cure: per una sua coltivazione ottimale è necessario che il terreno sia sempre umido, evitando però i ristagni d’acqua. I semi vanno piantati a 1 cm di profondità, mantenendoli a una distanza di 10 centimetri tra loro e lasciando 30 centimetri tra le file. Dopo che sono stati piantati, gli spinaci necessitano di circa due settimane per germinare.

    Nell’orto di novembre trovano spazio anche le cime di rapa, ortaggio invernale appartenente alle famiglie delle brassicaceae, la medesima dei broccoletti e dei cavoli. Questa pianta erbacea è piuttosto semplice da coltivare ed è resistente al freddo: nonostante questo, le gelate possono comportare dei danni alla pianta e, pertanto, è necessario durante l’autunno optare per una variante precoce, se si coltiva nelle aree del nord Italia, in modo tale da raccoglierla prima dell’arrivo dei mesi freddi. Le cime di rapa richiedono una posizione soleggiata, un terreno umido e costanti irrigazioni. Per la loro coltivazione i semi devono essere interrati a 0,5 centimetri di profondità, distanziandoli tra di loro di 25 centimetri e lasciando tra le file circa 45 centimetri.

    Cipolle e aglio nell’orto di novembre
    L’orto di novembre accoglie le cipolle, potendo piantare i loro bulbi in questo mese visto che richiedono un periodo molto lungo di crescita prima del raccolto e resistono al freddo. Questa pianta della famiglia delle liliacee necessita di un luogo soleggiato, un terreno poco compatto e irrigazioni moderate, tenendo conto che i ristagni idrici sono il suo nemico numero, determinandone il marciume radicale. Per quanto riguarda la semina, i bulbi vanno interrati a 5 cm di profondità, lasciando circa 10-15 cm tra loro e 25-30 centimetri tra le file dell’ortaggio.

    Anche l’aglio si presta alla coltivazione durante novembre. Questo ortaggio bulboso appartenente alla famiglia degli allium, non richiede molto spazio ed è semplice da coltivare. Da piantare in un terreno fertile e ben drenato, i bulbi (ovvero gli spicchi d’aglio con la buccia) vanno interrati con la punta verso l’alto in fori profondi 5 centimetri, lasciando una distanza di 10-15 cm tra loro e 35-40 centimetri tra le file. L’ortaggio deve essere esposto in pieno sole e annaffiato ogni due settimane.

    Altre varietà da piantare a novembre
    Durante novembre le lattughe si prestano alla coltivazione nell’orto. Questa operazione è piuttosto facile: in un terreno ben drenato e ricco di nutrienti bisogna posizionare 2 o 3 semi nella stessa buca d’impianto a una profondità di 1 centimetro, lasciando tra di loro una distanza tra i 20 e i 30 cm. Per quanto riguarda l’esposizione la lattuga dovrà essere posta in pieno sole, mentre dal punto di vista dell’irrigazione richiede di essere bagnata in modo regolare.

    Altra possibilità sono le fave, ortaggio molto produttivo e facile da coltivare, che può essere seminato durante novembre. Il suolo scelto per le fave non deve essere acido ed è necessario prediligere un luogo soleggiato: si procede seminando in ogni buchetta 3 o 4 semi a una profondità di 8 centimetri, lasciando una distanza dai 7 ai 35 centimetri tra ogni buca e 80 centimetri tra le file. Ogni buca va chiusa con il terreno, innaffiandola in seguito in modo abbondante: l’irrigazione deve essere costante per uno sviluppo ottimale delle piantine che emergono nell’arco di 3 settimane, per poi effettuare il raccolto dopo circa 6 mesi.

    Solo nelle zone dal clima più mite possono essere coltivati anche i ceci, legumi che si adattano ai terreni poveri e non richiedono molta acqua. Questa pianta rustica richiede un’esposizione in pieno sole tra le 6 e le 8 ore al giorno e un terreno ben drenato. I semi vanno interrati a una profondità di 4-5 centimetri, lasciando una distanza di 5-10 centimetri tra loro e di 30-40 centimetri tra le file. Dopo la semina si devono annaffiare i semi piantati, evitando però di esagerare con la quantità d’acqua. LEGGI TUTTO

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    L’impatto di un’alluvione sulla nostra casa: l’intelligenza artificiale svela come potrebbe essere

    Con il cuore in gola, a tutti noi nelle scorse settimane è capitato di vedere immagini scioccanti del prima e del dopo. Foto satellitari che, in maniera impietosa, mettono a confronto cosa c’era e come era un territorio prima di un’alluvione devastante – per esempio a Valencia o in Emilia Romagna – e come quello stesso territorio è stato trasformato dalla potenza dell’acqua e dagli impatti della crisi del clima. Da agglomerati di case a paludi, da zone verdi a macchie marroni di fango e detriti.

    L’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna  LEGGI TUTTO

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    Rinnovabili, bonus per pannelli solari e gruppo di autoconsumo: come funziona

    Più facile attivare gli impianti solari e avviare progetti di autoconsumo. È stato infatti istituita piattaforma digitale Suer – Sportello unico per le energie rinnovabili che consentirà di semplificare le procedure di autorizzazione e attivazione degli impianti anche finalizzati alla creazione di gruppi di autoconsumo. Nel 2025 per i pannelli solari è ancora possibile avere […] LEGGI TUTTO