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Il problema delle tigri siberiane: sempre più affamate in un habitat ridotto, ora fanno più paura

In Siberia le tigri fanno sempre più paura. Perché, a quanto pare, si sono avvicinate ai margini dei villaggi. Arrivando a “minacciare” sempre più i residenti. Accade dal 2020, le conseguenze ora fanno notizia: lo scorso gennaio un pescatore è stato sbranato nel cuore della notte, poche settimane dopo una tigre ha ucciso un guardaboschi, a marzo un nuovo attacco. Per quello che è passato agli archivi come l’inverno più mortale per attacchi di tigri agli esser umani da diversi decenni a questa parte. Con alcune regioni che registrano un aumento del 1000% degli incidenti tra essere umani e tigri. Un fenomeno che porta, immancabilmente, anche a una recrudescenza dei fenomeni di repressione e prevenzione: tra ottobre 2024 e settembre 2025, 17 tigri sono state uccise e 27 catturate, spesso emaciate o disidratate (a conferma di progressive difficoltà di alimentazione), non di rado già con ferite per armi da fuoco o traumi da incidente stradale.

Un equilibrio sembra dunque essersi rotto: qui, nella provincia russa che comprende la maggior parte dell’Asia del Nord, le tigri dell’Amur o tigri siberiane, una sottospecie nota con il nome scientifico di Panthera tigris altaica Temminck, erano a lungo state presenze elusive, quasi avvolte nella leggenda. Difficile incontrarle. E poi, cosa è accaduto? Perché si sono fatalmente avvicinate ai centri abitati, anzitutto ingolosite dal bestiame, cavalli e bovini su tutti, e infine attaccando le persone? Tra i ricercatori l’ipotesi più diffusa, evidenziata da un recente articolo del The Guardian, è che la peste suina – che in questi anni, a partire dal 2018, si è diffusa in Siberia – abbia colpito un gran numero di cinghiali, tra le prede predilette per le tigri, portando in generale a un consistente disastro ecologico, con enormi ripercussioni sugli ecosistemi e su altre specie.

Anche perché contestualmente hanno agito il bracconaggio incontrollato (con una drastica riduzione delle popolazioni di cervi) e il progressivo disboscamento negli areali di distribuzione delle tigri: una sorta di “tempesta perfetta”, che impone oggi serie riflessioni. Riflessioni che rischiano di ricadere su un terreno particolarmente scivoloso: già nel 2008, il presidente russo Vladimir Putin aveva sostenuto con forza gli sforzi per la conservazione della tigre dell’Amur, impegnandosi ad aumentare il numero di esemplari anche attraverso l’istituzione di un ente ad hoc, l’Amur Tiger Center. Ufficialmente gli esemplari in natura sarebbero 750, con una ripresa della specie significativa rispetto agli anni ’40 del secolo scorso, quando la sottospecie rischiò l’estinzione. Ma non tutti i ricercatori sono così ottimisti.

E sulle cifre, naturalmente, ci sono posizioni discordanti. Di attacchi mortali agli esseri umani parla Sergey Aramilev, direttore generale dell’Amur Tiger Center, che prova a minimizzare le preoccupazioni per un fenomeno che “resta molto raro, con un totale di 20 attacchi dal 2010 al 2024, che hanno causato 13 feriti e 7 morti”.

E, sulla scia peraltro di quanto avvenuto qualche mese fa in Nepal (“In un paese così piccolo, abbiamo più di 350 tigri, sono troppe, non possiamo lasciare che divorino gli umani”, sbottò il primo ministro Khadga Prasad Sharma Oli), anche qui – ai confini tra Russia e Cina, tensioni e preoccupazioni sono già “esplosi”: i cittadini di alcuni villaggi chiedono a gran voce più protezione dagli attacchi delle tigri. Basterebbe forse, spiegano gli esperti, ridurre l’impatto del disboscamento sugli habitat delle tigri, che farebbero volentieri un passo indietro. Peste suina permettendo.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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