Mosche e zanzare diventate immuni al Ddt, pecore di montagna con corna più piccole per sfuggire ai cacciatori, plancton che si adatta a mari più caldi, batteri che diventano resistenti agli antibiotici. E ancora, rane che modificano l’intestino per accumulare l’energia e rondini che accorciano le ali per sopravvivere ai Suv che sfrecciano sulle strade trafficate. Sono solo alcuni degli esempi di intelligenza ecologica raccontati nel libro Il genio della natura. Lezioni di vita dalla Terra che cambia, scritto da David Farrier, docente di letteratura inglese all’Università di Edimburgo, in Scozia, e di recente pubblicato da Touring editore. Circa 300 pagine, per un totale di sette capitoli, che uniscono scienza e filosofia, presentando la tesi di fondo: la dote essenziale dei viventi è la plasticità, ovvero la capacità di cambiare forma, di adattarsi per continuare a esistere. Un concetto che si declina, in concreto, in varie strategie.
Il cane amico
La prima è la coevoluzione: in pratica due specie mutano insieme nel tempo, trovando un bilanciamento che consenta a entrambe di sopravvivere. Un esempio è il rapporto tra il lupo e l’uomo: la vicinanza reciproca, nata migliaia di anni fa, ha trasformato il primo in cane e il secondo nel suo inseparabile compagno. Eppure questa antica collaborazione è stata oggi spinta all’estremo, generando nuovi squilibri. È il caso dei polli d’allevamento, selezionati per crescere a dismisura in poche settimane, che presentano corpi deformati, incapaci di respirare o camminare. Quando l’adattamento reciproco diventa dominio e sfruttamento, l’equilibrio si interrompe.
Il polpo creativo
Un’altra forma di adeguamento è la creatività: significa saper costruire con ciò che si ha, trasformando i limiti in risorse. A rappresentarla è il polpo, dotato di una mente fluida, diffusa, decentralizzata, capace di usare conchiglie, pietre, cocci per costruire rifugi perfetti. I suoi gesti non obbediscono a un progetto, ma all’improvvisazione. “Ogni forma nasce da vincoli fisici e opportunità locali”, chiarisce l’autore.
Il corallo architetto
Un approccio alternativo è la simbiosi, che vuol dire cooperazione e interdipendenza tra specie diverse. Un esempio viene dalle profondità marine: il corallo vive grazie a minuscole alghe che lo nutrono e le alghe vivono grazie alla protezione che ricevono dal corallo stesso. Quando il mare si surriscalda e le alghe muoiono, di conseguenza muore anche il corallo: un lutto che racconta la fragilità di un legame spezzato. La barriera corallina è una sorta di città vivente che ci ricorda che un organismo non è un’isola, ma fa parte di una comunità.
La pianta saggia
Un ulteriore modo di adattarsi è la lentezza. In natura sopravvive non chi agisce più in fretta, ma chi sa mantenere la stabilità nel tempo. Le piante sono l’esempio più eloquente: non fuggono né combattono, ma si orientano con la luce e affondano nel suolo, trasformando l’energia del sole in nutrimento attraverso la fotosintesi. Le loro radici comunicano, si scambiano sostanze e informazioni, creando intrecci invisibili. “Questa lentezza non è inerzia, ma un’altra forma di intelligenza: osservare, attendere, rispondere con misura”, spiega Farrier. “È ciò che consente alle piante di durare e rigenerarsi, mentre tutto intorno a loro cambia”.
La farfalla mutante
C’è poi la metamorfosi, strategia con cui la vita si rinnova mutando forma. Il paradigma è la farfalla, che da bruco diventa crisalide e, infine, adulto, per riuscire a vivere in stagioni e ambienti diversi. Questo processo mostra che anche il cambiamento più radicale può avvenire nel segno della continuità. Oggi, con il riscaldamento del clima, molte specie accettano la transitorietà e modificano colore, dimensione, stadi di sviluppo per adattarsi alle nuove temperature: segno che la capacità di trasformarsi resta una delle risorse più potenti del mondo naturale.
Il volo della memoria
Infine, c’è la memoria. In natura sopravvive chi sa ricordare, riconoscere i luoghi e i tempi che garantiscono la continuità della specie. Gli uccelli migratori ne sono l’archetipo: grazie a complessi meccanismi di orientamento, basati su magnetismo terrestre, posizione delle stelle, richiamo delle correnti d’aria, percorrono ogni anno le stesse rotte. Ma gli odierni mutamenti climatici rischiano di confondere i loro riferimenti: così alcuni gruppi anticipano o posticipano la partenza, trovando i nidi vuoti o il cibo esaurito. “La memoria, che per millenni è stata bussola e garanzia di sopravvivenza, deve ora riscriversi per restare utile in un mondo che non segue più le regole del passato”, commenta il docente.
L’uomo plastico
Oggi la sfida non è solo comprendere come la natura si adatti, ma capire se anche noi sapremo farlo. Le tracce che lasciamo, come smog, rifiuti, pesticidi, deforestazione, stanno diventando segni permanenti del nostro passaggio, “sedimenti dell’Antropocene”, come scrive l’autore, che sottolinea: “Siamo plasmabili. Cambiamo continuamente, ma spesso nella direzione sbagliata”. L’unica via d’uscita è riconoscere nella nostra plasticità un principio etico, non solo evolutivo: la possibilità di scegliere nuove abitudini di coesistenza e di relazione. “Non dobbiamo salvare la natura: dobbiamo ricordarci di farne parte”, conclude.

