In Tagikistan, nel cuore del Pamir, le vette innevate tagliano il cielo. Nell’aria sottile d’alta quota, il campo base sfida un infinito deserto bianco. Scarponi, occhiali antiriflesso, giacche tecniche, zaini carichi di attrezzi. Ogni respiro parla di fatica. Ogni passo, immerso nel silenzio, è calibrato. Un gruppo internazionale composto da 13 scienziati, tra cui anche l’italiano Enrico Mattea, 31 anni, fisico e glaciologo dell’Università di Friburgo, avanza lungo il pendio. Il team è riuscito a estrarre, per la prima volta in questa zona, due carote di ghiaccio complete dalla calotta di Kon Chukurbashi, a 5.800 metri, nella regione di Murghab.
Il viaggio e il prelievo dei campioni
L’impresa, che rientra nel progetto Ice Core attivo dal 2022 e finanziato dallo Swiss Polar Institute, con la partecipazione di numerose università svizzere, giapponesi, americane, è durata cinque settimane. Atterrati a Dushanbe, la capitale del Paese, i ricercatori hanno proseguito via terra per oltre mille chilometri su piste sterrate e passi montani a oltre 4mila metri. Poi gli studiosi hanno continuato a piedi, con carichi trasportati da mezzi leggeri e da animali fino a raggiungere l’accampamento. Da qui è partita la missione scientifica verso la sommità del ghiacciaio, che ha richiesto strumenti appositamente progettati per mantenere la catena del freddo e impedire la contaminazione del ghiaccio.
“I tentativi precedenti sono stati ostacolati da difficoltà di accesso al sito e da una logistica complessa”, spiega Mattea. “Questa campagna è andata a buon fine perché ha superato sfide umane e tecniche, grazie a un meticoloso coordinamento organizzativo e ai più elevati standard di sicurezza”. Alla fine gli esperti hanno prelevato un paio di campioni, lunghi circa 105 metri ciascuno: uno è stato trasferito in Giappone, all’Institute of Low Temperature Science dell’Hokkaido University, dove verrà esaminato dal punto di vista chimico; l’altro sarà, invece, conservato nell’archivio Ice Memory in Antartide, presso la stazione franco-italiana Concordia, per preservare la testimonianza di un’area cruciale del Pianeta.
Dal passato al futuro
I nuclei ottenuti contengono informazioni ambientali uniche. “Ogni anno, le nevicate che si accumulano sul ghiacciaio si trasformano in nuovi strati di ghiaccio, uno sopra l’altro, creando una sequenza che conserva tracce di aria, polveri, ossigeno e idrogeno”, chiarisce il giovane glaciologo. “Analizzando la stratificazione, gli scienziati possono ricostruire con precisione le temperature, le precipitazioni e l’atmosfera nell’arco di migliaia di anni, arrivando fino a circa 10mila anni fa nel caso di questo specifico carotaggio”.
I dati permetteranno di evidenziare il motivo per cui in questa regione, a differenza di gran parte dell’arco himalayano, si osserva una sorprendente stabilità delle distese ghiacciate. Secondo le prime interpretazioni, ciò potrebbe dipendere da un insieme di fattori climatici, atmosferici, geologici: un’ipotesi che dovrà, tuttavia, essere confermata dai ricercatori. Il progetto non guarda, però, solo al passato, ma anche al futuro, cercando di prevedere l’evoluzione dei ghiacciai dell’Asia centrale, da cui dipendono le sorgenti dei grandi fiumi Syr Darya e Amu Darya, risorse vitali per milioni di persone.

