Lo aveva annunciato a settembre all’Assemblea generale dell’Onu, lo ha ribadito il 22 ottobre scorso davanti alle Camere. Così, quando Giorgia Meloni è partita per il Consiglio europeo per discutere la revisione della legge europea sul clima era già chiaro a tutti che avrebbe portato il “no” dell’Italia. Cancellato qualsiasi dubbio quando ha aperto il dossier con cui il 23 ottobre è sbarcata a Bruxelles. Conteneva una serie di paletti al Green Deal europeo che Meloni ha bollato come ”ambientalismo ideologico”. Sollecitando un nuovo approccio contro quelle che ha chiamato “follie verdi” che secondo il capo del governo danneggiano l’industria, a cominciare dall’auto. La visione italiana non è mutata nemmeno sul gas sul quale il governo punta per la politica energetica. Al centro la difesa del Piano Mattei, strategia con cui il governo vuole far diventare il Paese un hub energetico nel Mediterraneo. Accordi sono stati siglati soprattutto con l’Algeria (fino al 2021 oltre il 40% delle importazioni di gas dell’Italia proveniva dalla Russia) per far arrivare nove miliardi di metri cubi all’anno attraverso il gasdotto TransMed. Su questo nessuna marcia indietro. Il Piano Mattei è considerato dal governo come un progetto a lungo termine per posizionare l’Italia come corridoio meridionale dell’Europa per il gas e per i biocarburanti.
Con la Ue, però, ad ottobre l’obiettivo era trovare una linea comune in vista della Cop30 in Brasile a cui comunque la premier ha già fatto sapere che non parteciperà. Per quanto riguarda il taglio delle emissioni, la proposta italiana era di fissare una tappa intermedia: il 90% entro il 2040, come step verso il target finale del 100% entro il 2050. Giorgia Meloni, a questo proposito, ha parlato di “flessibilità“ e “semplificazione“. Così, se da una parte la premier ha assicurato che l’Italia continuerà a sostenere la “riduzione delle emissioni“, dall’altra ha spiegato che lo farà senza “l’approccio ideologico che impone obiettivi irraggiungibili, che producono danni al nostro tessuto economico-industriale, indeboliscono le nazioni europee e rischiano di compromettere la credibilità dell’Unione europea“.
Per il governo italiano la strada è segnata dal principio della “neutralità tecnologica” e che riguarda soprattutto il futuro dell’auto, del trasporto pesante o delle industrie di acciaio, vetro e cemento. “Non può esistere solo l’elettrificazione, bisogna restare aperti a tutte le soluzioni, come i biocarburanti sostenibili che devono essere consentiti anche dopo il 2035“, ha spiegato la premier confermando di essere contro la scelta del “tutto elettrico” post 2035. In altre parole, la linea del governo sulla transizione energetica è questa: non dobbiamo limitare la ricerca alle fonti rinnovabili, ma includere tutte le soluzioni in grado di abbattere le emissioni, dall’idrogeno al biometano, alla cattura della CO2 fino naturalmente al ritorno del nucleare chiesto a gran voce anche dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin.
E sempre sulla riduzione delle emissioni e il modo con cui realizzarla, l’Italia fa ancora appello alla “massima flessibilità” puntando sulla contabilizzazione dei tagli ottenuti dai diversi sistemi di cattura del carbonio. Oltre all’adozione di una “robusta clausola di revisione“ degli obiettivi climatici della legge clima, capace di valutare a cinque anni progressi e azioni. E poi ci sono i conteggi del “crediti internazionali”. L’Italia ha chiesto di poter conteggiare fino al 5% dei crediti, ottenuti dai progetti di cooperazione internazionale anti-emissioni di carbonio che l’Ue e gli Stati membri finanziano in Paesi terzi. Considerando che le emissioni europee valgono circa il 6% di quelle globali, “non è trascurabile – per Meloni – il valore che ha, ai fini dell’obiettivo finale, favorire un’economia sostenibile nei Paesi in via di sviluppo“.
L’Italia vuole far valere il peso del Piano Mattei e del suo focus sui progetti ambientali. Come il sostegno all’accesso all’energia elettrica “Mission 300”, i progetti dalla Costa d’Avorio al Congo, le iniziative Ascent cofinanziate con la Banca mondiale in Tanzania e in Mozambico per ampliare l’accesso all’energia da fonti rinnovabili. La posizione italiana è dunque quella di voler voltare pagina e cambiare paradigma. L’ultimo punto sollevato da Giorgia Meloni, dopo il gas e le fonti rinnovabili, il conteggio dei crediti di cooperazione internazionale anti-emissioni, il principio di neutralità tecnologica da applicare a tutta la legislazione climatica a cominciare da quella dell’auto, riguarda i fondi.
“Nessuna transizione è davvero possibile senza stanziare risorse adeguate“, ha detto Meloni che guarda ad un Quadro finanziario pluriennale, per favorire gli investimenti privati. Temi su cui la premier cerca alleati. Guarda soprattutto alla Germania del cancelliere Friederich Merz dove l’industria del Paese più “verde” d’Europa è colpita da una crisi senza precedenti.

