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Gli Usa grandi assenti, l’America di Trump guarda al passato

Quando si ascolta il suono delle gigantesche turbine eoliche spegnersi, e si osservano le torri delle raffinerie ergersi di nuovo nel mezzo di paesaggi che una volta credevamo sacri, c’è qualcosa di più della semplice politica a segnare il futuro americano. È la promessa mancata di un Paese diverso, che non guarda più al futuro. Ma al passato. Gli Stati Uniti saranno i grandi assenti alla Cop 30 in programma a Belém, in Brasile, nel cuore dell’Amazzonia, scelta simbolica perché coinvolge il “polmone del Pianeta”. Non si tratta solo di numeri – emissioni, sussidi, regolamenti – ma di valori. Donald Trump è un leader mondiale che ignora il consenso scientifico globale, disfa accordi internazionali, indebolisce le politiche ambientali. Secondo i suoi oppositori, il presidente degli Stati Uniti non crede nella salvezza del Pianeta, ma solo nella propria sopravvivenza. Vero o no, ci sono atti concreti che hanno allontanato l’America dal resto del mondo. Il 20 gennaio Trump ha firmato un ordine esecutivo (“Putting America First in International Environmental Agreements”), che prevede il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, da cui il tycoon era già uscito durante il primo mandato presidenziale, nel 2017, poi corretto dal suo successore, Joe Biden. Il ritiro non è immediato – per i meccanismi dell’accordo serve un anno – ma la direzione è chiara. Nel frattempo il dipartimento di Stato ha rimosso tutti gli esperti responsabili per i negoziati sul clima. Questo significa che a Cop30 gli Usa avranno nessuna o una modesta rappresentanza ufficiale, togiendola dalle negoziazioni multilaterali sulle politiche climatiche globali.

Verso Cop30

Emissioni, finanza, foreste: i temi in discussione in una Cop in bilico

03 Novembre 2025

Biden aveva fissato obiettivi per la diffusione di veicoli elettrici e standard più rigidi sulle emissioni nocive. Trump ha revocato il piano che prevedeva la presenza del cinquanta per cento di nuovi veicoli elettrici entro il 2030 e sta rallentando le normative sulle emissioni. Il suo predecessore aveva presentato la normativa “Clean Power Plan 2.0”, una proposta di regolamentazione per ridurre le emissioni dalle centrali elettriche, in forma più rigida in termine di gas serra e inquinanti. L’amministrazione Trump ha ordinato la revisione, cancellando molte delle restrizioni previste. Sotto la presidenza Biden sono stati approvati permessi e incentivi nei progetti solari ed eolici, sulle infrastrutture verdi e gruppi di nuova generazione per la produzione di energia pulita. Trump ha cancellato grandi progetti solari, come Esmerald 7 in Nevada, bloccato sovvenzioni e finanziamenti per programmi green, privilegiando l’industria dei combustibili fossili, da cui provengono molti generosi donatori della campagna elettorale del tycoon. È l’America del “Drill, baby, drill”, delle trivellazioni petrolifere ovunque, anche nelle riserve naturali.

Con il “Greenhouse Gas Reduction Fund” Biden stava cercando di sostenere le comunità svantaggiate, installare infrastrutture verdi, garantire incentivi per le rinnovabili e veicoli elettrici. Il suo successore ha cancellato o sospeso programmi come “Solar for All”, del costo di sette miliardi di dollari, destinati a espandere l’energia solare per le comunità a basso reddito. La politica antigreen sta diventando la normalità in un mondo in cui l’emergenza ambientale appare più evidente e le riforme sempre più necessarie. Il rischio è che con il disimpegno americano, del Paese più grande e potente al mondo, nonché tra i più inquinanti insieme alla Cina, l’azione climatica perda la sua urgenza morale anche in altre aree, e le politiche ambientali diventino un optional. Gli Stati Uniti non sono nuovi a fluttuazioni nella politica climatica, ma raramente la discontinuità è stata così drammatica. Poche volte l’Unione Europea, ma anche l’Asia, il Sud America e l’Africa hanno guardato all’America con una crescente delusione. La svolta negazionista arriva, però, da lontano: il 5 giugno 2018, in un’intervista Trump aveva parlato di “riscaldamento terrestre” come di una questione passeggera di termini: “Prima dicevano che faceva freddo, ora che fa caldo, ma forse ci vorrebbe in inverno un po’ di riscaldamento globale”.

Cinque mesi dopo, commentando la pubblicazione di un rapporto federale sugli effetti economici del cambiamento climatico, Trump disse di “non credere ai risultati”. Pochi giorni dopo, il 21 novembre 2018, sull’allora Twitter ironizzò davanti alle temperature polari registrate in America: “Che fine ha fatto il riscaldamento globale?”, scrisse. Da sempre gli Stati Uniti sono stati visti come il teatro di uno scontro tra forze più grandi: la tecnologia contro lo spirito, il potere contro l’autenticità, l’ego contro la comunità. Secondo alcuni, un uomo pubblico che nega la realtà scientifica in nome dell’ego o dell’interesse personale sarebbe la reincarnazione del “falso profeta americano”, che sfrutta la fede collettiva nel progresso per distruggere la stessa idea di progresso.

Le minacce lanciate da Trump contro la politica ambientale non gli sono costati voti. Anzi, hanno moltiplicato il consenso. Chi lo ha accusato di aver confuso il Pianeta con il suo resort è stato battuto. Chi ironizzava sul fatto che Trump considerasse la Terra solo un bene immobiliare, è stato servito. Niente di quello che sta accadendo adesso dovrebbe sorprendere, ma a vedere tutti i progetti evaporati in pochi mesi, la rivoluzione trumpiana appare imponente e devastante. Il progetto Esmeralda in Nevada era un gigantesco impianto solare che avrebbe alimentato quasi due milioni di case. Finiti nel cestino anche i ventiquattro progetti di clean energy approvati da Biden per un totale di 3,7 miliardi di dollari. Tra questi è a rischio uno di riduzione delle emissioni basato sull’idrogeno nel complesso Baytown di Exxon.

Editoriale

Cop30 – “L’ultimo appello”. Un’istituzione da difendere

03 Novembre 2025

Evaporati centinaia di migliaia di posti di lavoro in Texas, Louisiana, nel Midwest e in California. Non vedremo più gli hub di nuova generazione per l’idrogeno pulito, selezionati dall’amministrazione Biden con sussidi federali. Tra questi “Pacific Northwest Hydrogen Hub” e Arches, in California. In ballo c’erano investimenti per miliardi di dollari e impianti che avrebbero fornito carburante pulito per industria e trasporti. C’era un piano sovvenzionato dal governo con 3,1 miliardi per favorire pratiche agricole climate smart, in cui erano previste colture di copertura e gestione del suolo nel Midwest e nel sudest americano. In pausa la costruzione di parchi eolici offshore nell’area di Vineyard Sound e nel Golfo del Messico. Cancellato il programma federale per la costruzione di 500 mila stazioni di ricarica elettrica per veicoli in tutti gli Stati Uniti. E l’installazione di impianti per la cattura e stoccaggio di CO2 in Texas, Louisiana e nel Midwest. E i finanziamenti per interventi di adattamento ambientale, con la salvaguardia di barriere naturali, ripristino di paludi e protezione delle coste, oltre a progetti per la produzione di batterie e riciclo di materiale nocivo nella West Coast. L’America, soltanto un anno fa, voleva essere il Paese guida anche nella sfida al cambiamento climatico. L’amministrazione Trump ha messo in pausa o cancellato tutto.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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