Fibre liberiane. Bioreattori. Macerazione. No, non è un test delle associazioni verbali di Jung, ma i tre ingredienti chiave della startup milanese Sylfib. “Semplicemente estraiamo da lino, canapa e altre piante la fibra nobile che può essere reimpiegata nel tessile, nell’edilizia per pannelli termoisolanti, nell’industria cartaria e nel ramo bioplastico. Il tutto abbinando anche una personalizzazione che incide sulle prestazioni finali”, spiega Emanuele Bertolotti, co-fondatore e Ceo di Sylfib. Potrebbe essere uscito dall’universo di Star Trek, ma il primo prototipo avrebbe ricordato di più la vasca da bagno di Fred Flintstone.
Le fibre liberiane sono le fibre tessili vegetali che si ottengono dalla corteccia interna del fusto di alcune piante, come lino, canapa, ortica, ginestra, kenaf e ramiè. Sono caratterizzate da resistenza e versatilità, e grazie alla lavorazione di Sylfib possono acquisire ulteriori attributi. “Oggi riforniamo soprattutto società di filatura o direttamente aziende tessili, nonché cartiere. Però questa seconda materia prima può essere in ogni ambito dove si punti su biocompositi”, aggiunge Bertolotti. Sylfib sta per System Luxury Fiber, “perché secondo noi è un lusso poter utilizzare delle fibre realmente sostenibili, realmente naturali e che effettivamente possano in qualche modo sostituire la plastica”.
Come funziona il bioreattore di Sylfib
Un bioreattore genericamente è un dispositivo in cui si inducono e gestiscono reazioni biologiche, principalmente tramite l’azione di microrganismi, cellule o enzimi, in un ambiente controllato. La versione di Sylfib, grande come un container di 4 x 2,5 metri (comunque modulare), non solo è dotata di sensori avanzati che ne consente anche la gestione in remoto, ma può essere impiegata per occuparsi totalmente della fase di macerazione delle piante che consente poi di ottenere la fibra per i successivi usi. Il tutto ovviamente con un procedimento naturale, senza enzimi e additivi, a differenza di quanto avviene ad esempio in Cina dove la soda caustica domina il processo. E così si spiega perché il lino low-cost è bianco e fine.
“Normalmente la macerazione rientra nella catena di approvvigionamento di cui fa parte il mondo agricolo. Molti agricoltori specializzati coltivano, poi attuano la stigliatura – liberano quindi fibre librose dal nucleo legnoso degli steli, e infine vendono il semilavorato. Il problema è che tutto è molto legato alla condizione ambientale e il cambiamento climatico non aiuta perché la finestra temporale europea va solo da settembre a ottobre”, spiega Bertolotti. In pratica i grandi coltivatori di piante liberiane – concentrati soprattutto nel nord della Francia e in Belgio – si affidano a metodi di macerazione molto tradizionali dove quantità e qualità del risultato dipendono dalla situazione atmosferica.
“Noi siamo riusciti a impiegare un metodo naturale, che consuma anche il 95% in meno di acqua, dove la ‘ricetta’ è guidata da parametri analitici. Ogni raccolto e fibra ha caratteristiche specifiche e per ottenere risultati allineati con i bisogni dei clienti stabiliamo temperature, umidità e altri parametri”. Hai bisogno di una fibra più resistente a causa dei tuoi macchinari? Oppure più elastica? Non è un problema, secondo Bertolotti.
Ecco quindi la prospettiva di diversi modelli di business. Uno è quello in cui Sylfib riceve la materia prima dal mondo agricolo, si occupa del trattamento e vende la fibra alle aziende che poi la elaborano. Un altro invece è quello dove il bioreattore (in licenza) entra direttamente nelle imprese clienti e il processo, sebbene in controllo remoto, avviene direttamente all’interno della catena del valore. “Ma devo ammettere che stiamo riflettendo sulle strategie. Per ora abbiamo clienti che ricevono la fibra”, ammette Bertolotti.
Il caso della carta di canapa, a Fabriano
Uno dei clienti più importanti della startup è una cartiera di Fabriano. Grazie alla fibra ricevuta produce carta di canapa, che essenzialmente – come spiega l’esperto – è più sostenibile rispetto a quella tradizionale e può essere usata anche per il packaging. Il tema di fondo è che la canapa cresce sei volte più velocemente rispetto ai comuni alberi e in secondo luogo richiede poca acqua, un uso ridotto di pesticidi e fertilizzanti, e rigenera anche i terreni. Senza contare che può essere impiegata totalmente senza alcuno scarto.
“Un ettaro di canapa è in grado di assorbire da 9 a 15 tonnellate di CO2, una quantità analoga a quella sequestrata da una giovane foresta, con il vantaggio che le piante di canapa crescono in soli cinque mesi”, sottolinea Bertolotti. “Poi la carta di canapa è più forte, più flessibile e non ingiallisce nel tempo”. Non a caso un taccuino al 100% realizzato in canapa può essere riciclato fino a venti volte rispetto alla carta, che si ferma a cinque volte.
Tutorial
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06 Novembre 2025
Tre soci e grandi prospettive per il “riuso”
Sylfib è nata ufficialmente nel gennaio 2024, ma in realtà i tre soci fondatori – Bertolotti, il direttore operativo Marco Errani e il tecnico Flavio Cammi – hanno iniziato a collaborare dal 2021, quando il progetto è passato dalla carta CAD al primo prototipo. “Quello che normalmente viene considerato uno scarto, per noi diventa materiale da riuso; ci piace chiamarlo così. E ci stiamo concentrando su lino e canapa perché sono di facile reperimento, ma c’è del potenziale anche in altre piante”, sottolinea il Ceo della startup.
“Il nostro sistema controlla e velocizza quello che fa la natura, perché è un processo 100% naturale che non prevede l’uso di chimica ma solo il controllo di parametri attraverso dei sensori, degli algoritmi. La nostra è pura macerazione microbiologica, non inseriamo dentro niente nel nostro bioreattore. C’è chi lavora con enzimi, chi con chimica, chi con enzimi e chimica. Noi no, solo natura controllata”.
Prossimo obiettivo? Scalare a livello industriare con un impianto più grande nel 2026, anche perché con lo stesso bioreattore si possono fare tutti i tipi di fibra. Non c’è bisogno di componenti diversi. “E poi abbiamo fiducia nelle prospettive di crescita del biocomposito. Bmw sta lavorando alla fibra di canapa per realizzare la carrozzeria e gli interni in tessuto. Un po’ come la prima utilitaria di Ford, la Model T del 1908”. A volte anche le idee si possono riusare.

