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I Paesi insulari senza territorio saranno ancora considerati Stati?

Tra le tante questioni che pone la crisi climatica, ce n’è anche una che riguarda il diritto internazionale: se una nazione vedesse sparire il suo territorio, magari perché sommerso dall’innalzamento dei mari, potrebbe anche essere considerata uno Stato? “E’ fondamentale che gli Stati riconoscano che la sovranità e i diritti sulle zone marittime devono essere preservati anche in caso di perdita di territorio causata dal cambiamento climatico”, risponde Francesca Mingrone, esperta di diritto climatico a Ginevra presso il Center for International Environmental Law (Ciel). Il quesito, sollevato da due giuristi della University of East Anglia in un articolo pubblicato su The Conversation, è tutt’altro che accademico. Alcune nazioni insulari, come Tuvalu, Kiribati, le Maldive o le Isole Marshall, rischiano effettivamente di finire sott’acqua a causa del riscaldamento globale. Sarebbe un disastro per gli abitanti, che perderebbero la casa, il lavoro, ma anche il loro patrimonio culturale e di tradizioni. Ma se a tutto questo si aggiungesse anche la perdita del riconoscimento di Stato, “queste nazioni potrebbe essere private del controllo sulle loro preziose risorse naturali e persino perdere il loro posto in organizzazioni internazionali come l’Onu”, scrivono gli studiosi Zana Syla e Avidan Kent.

L’intervista

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Alcuni governi stanno correndo ai ripari. Quello di Tuvalu, per esempio, ha firmato un trattato con l’Australia perché sia garantito il riconoscimento come Stato, indipendentemente dall’impatto del cambiamento climatico sulle isole: “la sovranità e la statualità di Tuvalu continueranno… nonostante l’impatto dell’innalzamento del livello del mare dovuto al cambiamento climatico”. Ma l’Australia si è anche impegnata ad accogliere i cittadini tuvaluani che desiderano emigrare e ricominciare una nuova vita su un terreno più sicuro. Al netto però degli accordi bilaterali tra vicini, c’è il diritto internazionale che lega il riconoscimento dello Stato a quattro requisiti fondamentali: l’esistenza di una popolazione, di un territorio, di un governo indipendente e della capacità di gestire relazioni internazionali. Nel caso una nazione insulare venisse sommersa per l’innalzamento dei mari, non sarebbe solo il territorio a venir meno, ma, evidentemente, anche gli altri tre requisiti. “Tuttavia”, fanno notare Syla e Kent, “il diritto internazionale riconosce che uno Stato, una volta istituito, continua a esistere anche se alcuni degli elementi che lo caratterizzano sono compromessi. Ad esempio, i cosiddetti ‘Stati falliti’ come la Somalia o lo Yemen sono ancora considerati Stati nonostante la mancanza di un governo efficace – uno degli elementi fondamentali richiesti”.

L’appello

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Si potrebbe obiettare che la mancanza di un governo può essere transitoria, mentre la perdita di territorio per innalzamento dei mari rischia di essere definitiva. In questo dibattito già acceso da tempo, si è inserita il recente parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia (Cig). “La Corte ha confermato che le delimitazioni marittime concordate non devono essere modificate a seguito della perdita fisica di terre emerse”, sostiene Mingrone. “Ha inoltre affermato che la completa scomparsa del territorio di uno Stato non comporta necessariamente l’estinzione di quello Stato. La perdita territoriale non deve essere considerata una condanna a morte per le piccole nazioni insulari”. Non tutti però concordano su questa interpretazione secondo Zana Syla e Avidan Kent, il passaggio in questione nel testo della Corte internazionale di giustizia è “piuttosto criptico”: “una volta che uno Stato è stato istituito, la scomparsa di uno dei suoi elementi costitutivi non comporterebbe necessariamente la perdita della sua statualità”. Ma, come detto, la perdita del territorio quasi sempre porta via con sé anche popolazione, governo e relazioni internazionali. “Il pronunciamento della Corte ha evitato la dichiarazione definitiva in cui molte nazioni vulnerabili avevano sperato”, concludono Zana Syla e Avidan Kent. “Il futuro legale delle isole che affondano rimane incerto”. Una alternativa c’è, per Francesca Mingrone: “Soluzioni scientifiche per contrastare la crisi climatica — a partire dall’eliminazione dei combustibili fossili — esistono già e rimangono il mezzo più efficace per prevenire danni irreversibili. Questi sforzi devono essere accompagnati dalla volontà politica e da un forte impegno a tutelare i diritti umani delle popolazioni colpite. Solo così potremo preservare la sovranità e la dignità delle nazioni più a rischio”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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