Cosa succederà a Belém, la sede amazzonica della trentesima Conference of the Parties (Cop), l’appuntamento annuale sul clima delle Nazioni Unite che si svolgerà nella città del nord del Brasile dal 10 al 21 novembre, è difficile da prevedere. È complicato perché ci si arriva con un quadro geopolitico ed economico molto incerto. Ai conflitti e alle tensioni in corso – fronte russo-ucraino e Medioriente – quest’anno si somma la strategia della prima potenza mondiale, gli Stati Uniti, che non solo non ha intenzione di rispettare tutti gli impegni sul clima presi negli anni passati (logica conseguenza del ritorno del negazionista Donald Trump alla Casa Bianca), ma anche di smantellare gran parte del suo sistema di ricerca e monitoraggio del clima.
E mentre il presidente degli Usa definisce il cambiamento climatico “la più grande truffa di sempre”, invitando il mondo a fermare le politiche verdi, l’Europa che cosa fa? Per ora il Green deal, l’accordo per far raggiungere al nostro continente la neutralità climatica, tiene. Le spinte a tornare indietro ci sono, soprattutto se si parla del bando della vendita di auto a motore endotermico dal 2035. Pressioni che arrivano anche dall’Italia. Ma al momento, come spesso accaduto in questi tre anni di Governo Meloni per diversi dossier, un conto sono le comunicazioni ai media a fini di consenso interno, un conto è la capacità di influenzare effettivamente le decisioni di Bruxelles. Due partite con intenzioni e successi spesso opposti.
Questo non significa che vada tutto bene per l’Europa. Soprattutto per l’assenza di una visione politica, economica e industriale unitaria. Vecchia storia, insomma. Che porta a un po’ di dichiarazioni di intenti di troppo – causate anche dai veti in tante votazioni che necessitano di unanimità – e ad alcune decisioni concrete in meno. Come nel caso dei cosiddetti Ndc, acronimo inglese che indica i Contributi determinati a livello nazionale, cioè i piani dei singoli Stati per affrontare la crisi climatica: proprio in queste ore i ministri dell’Ambiente si stanno riunendo in extremis per provare a prendere degli impegni per i prossimi anni e da illustrare a Belém. Dove la figura di prima della classe rischia di farla la Cina che – seppur con qualche rallentamento e rimanendo il più grande inquinatore del Pianeta – prosegue la sua corsa verso la decarbonizzazione con grandi investimenti nelle rinnovabili e nell’economia green in genere. Staremo a vedere.
Il principale incontro per chi ha a cuore il futuro della Terra sta per iniziare (e lo seguiremo con i nostri inviati in Brasile sul sito di Green&Blue). In molti lo considerano superato per i molti – troppi? – risultati deboli delle scorse edizioni. Forse andrebbe riformato. Però mai come oggi andrebbe rafforzato. La crisi climatica è infatti una realtà. Ma, senza le Cop e al pungolo che hanno rappresentato per tutti gli Stati in questi 30 anni, la Terra starebbe molto peggio.

