Sui pendii della montagna più alta dell’Africa, il Kilimangiaro, ci sono sempre meno specie di piante. A lanciare l’allarme è oggi un nuovo studio dei ricercatori dell’Università di Bayreuth, in Germania, secondo cui nell’ultimo secolo la perdita delle specie vegetali naturali sulle pendici inferiori del Kilimangiaro è stata pari al 75%. Un preoccupante declino della biodiversità che, secondo gli autori, non sarebbe stato direttamente causato dai cambiamenti climatici, bensì da pressioni antropiche, e in particolare dai cambiamenti nell’uso del suolo. I dettagli sono stati pubblicati sulla rivista Plos One. Il Kilimangiaro e i suoi ecosistemi Milioni di persone che vivono nelle aree vicine alla montagna dipendono dai suoi ecosistemi, ad esempio per il legname, il cibo e le risorse idriche. Tuttavia, come già suggerito da ricerche precedenti, la biodiversità presente in questi ecosistemi è gravemente minacciata da molteplici fattori, come i cambiamenti climatici, l’inquinamento, l’introduzione di specie invasive, l’estrazione di risorse e il cambiamento nell’uso del suolo. Comprendere non solo quali siano gli effetti ma anche le cause dirette del calo della biodiversità sul Kilimangiaro, così come su altre montagne tropicali, è quindi fondamentale per orientare al meglio gli sforzi di mitigazione.
L’analisi
Ed è proprio in questa direzione che si sono focalizzati gli autori del nuovo studio. Hanno, infatti, analizzato mappe storiche, dati di censimento, immagini satellitari e un set di dati ad alta risoluzione spaziale di circa 3 mila specie vegetali presenti in diverse parti della regione. Dai loro risultati è emerso che la principale causa diretta della perdita di biodiversità vegetale nell’ultimo secolo (1911-2022) è stata il cambiamento nell’uso del suolo, come per esempio l’espansione delle aree urbane, dovuta a una rapida crescita demografica, e la conversione degli habitat della savana in terreni agricoli, derivata dallo sviluppo economico. In questo periodo, infatti, le pendici inferiori del Kilimangiaro hanno registrato una perdita del 75% delle specie vegetali naturali per chilometro quadrato. I cambiamenti climatici, invece, non sono risultati essere una causa diretta significativa del calo delle specie vegetali su questo vulcano.
Il cambiamento nell’uso del suolo
Il nuovo studio, il primo nel suo genere ad aver collegato la densità della popolazione umana a quella delle specie vegetali su una scala così piccola (1 km²), rappresenta quindi un’ulteriore conferma che la perdita di biodiversità sia una conseguenza diretta delle attività antropiche. “La nostra ricerca rivela che il cambiamento nell’uso del suolo, causato dalla rapida crescita demografica – non il cambiamento climatico – è stato il principale fattore diretto della perdita di biodiversità sul Monte Kilimangiaro nell’ultimo secolo”, spiegano gli autori. “È stato sorprendente scoprire che, contrariamente a quanto si pensa comunemente, il cambiamento climatico non ha avuto effetti misurabili sulle tendenze della biodiversità locale, il che sottolinea l’urgente necessità di affrontare fattori socioeconomici come l’uso del suolo nelle politiche di conservazione”. Anche le specie animali sono in declino e perdono “potenza”. Rimanendo nel continente africano, anche gli ecosistemi della fauna selvatica sono in pericolo. A riferirlo è stata una nuova ricerca pubblicata su Nature e coordinata dall’Università di Oxford, a cui ha collaborato anche Luca Santini del dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin della Sapienza Università di Roma, che si basa su un approccio energetico per mostrare non solo il declino della biodiversità animale, ma anche come questo influisca sul funzionamento degli ecosistemi. Secondo l’analisi, infatti, gli ecosistemi africani hanno perso oggi, rispetto all’epoca pre-coloniale e pre-industriale, oltre un terzo della potenza, in ciò che gli esperti chiamano flussi di energia trofica. La causa di questa perdita, come suggeriscono i ricercatori, è in gran parte dovuta al declino della megafauna, ossia le specie di grandi dimensioni, come leoni, elefanti e rinoceronti, che ha appunto il potenziale di alterare la funzionalità degli ecosistemi.

