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Ravanelli e ortaggi si coltivano a 400 km di altezza

Coltivare ravanelli in una piattaforma spaziale, far germogliare il prezzemolo sulla Luna, seminare piccole melanzane dentro un satellite. Sembrano storie tratte da un romanzo dello scrittore Isaac Asimov, invece sono realtà. Numerose, infatti, le ricerche mirate a portare piante e ortaggi nello Spazio, dove potrebbero offrire vari benefici, tra cui fornire agli equipaggi cibo fresco ricco di vitamine, produrre ossigeno, purificare acqua e rifiuti.

Colture a ciclo chiuso in laboratorio all’università di Napoli 

“Attualmente gli astronauti ricevono regolarmente alimenti confezionati per il loro sostentamento”, dice Stephanie Schierholz, portavoce della Nasa, l’agenzia spaziale statunitense. ”Ma quando si viaggerà verso Marte o si stabiliranno avamposti lunari permanenti, gli approvvigionamenti diventeranno rari o impossibili. Perciò più riusciremo a essere indipendenti dai rifornimenti terrestri, più lontano potremo spingerci nell’esplorazione”.

Attualmente i progetti concretizzati sono soprattutto quelli in orbita, cioè nella zona più vicina alla Terra, che può arrivare fino a 400 chilometri di altezza, dove si trova la Stazione spaziale internazionale (Iss), una piattaforma creata congiuntamente da Usa, Russia, Europa, Giappone, Canada, anche se gli ultimi due Paesi non hanno ancora realizzato esperimenti di questo tipo. A fare da capofila è la nazione a stelle e strisce che, con la Nasa, ha sviluppato, nel 2014, un orto chiamato Veggie, grande quanto un bagaglio a mano, utilizzato per far crescere a bordo della Stazione lattuga, cavoli, senape. Il 10 agosto 2015, durante la missione Expedition 44, tre astronauti hanno assaggiato per la prima volta l’insalata, dimostrando la fattibilità del programma.

Su questa scia, tra il 2020 e il 2021 l’agenzia statunitense ha condotto l’esperimento Plant Habitat-04, riuscendo a coltivare peperoncini piccanti. Anche la Russia ha raggiunto traguardi significativi. Già nei decenni passati i cosmonauti sovietici hanno fatto germogliare, sulle stazioni Salyut e Mir, cereali, fiori e perfino chicchi di frumento.

Nel contesto mondiale, l’Europa fa la sua parte. L’Agenzia spaziale europea (Esa) ha, infatti, realizzato nel 2008, sulla Stazione spaziale, il laboratorio Columbus, dove sono stati condotti esperimenti chiave. Tropi ha dimostrato che, anche in assenza di gravità, le piante continuano a orientarsi verso la luce, mentre Gravi ha rivelato che è sufficiente una gravità molto bassa perché le radici crescano nella direzione corretta.

Un’illustrazione del Green Cube dell’Esa 

L’Italia ha a sua volta portato avanti ricerche di rilievo. Il 13 luglio 2022, tramite il vettore Vega-C, è stato lanciato in orbita il satellite GreenCube, sviluppato da Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile (Enea), Università Federico II di Napoli e Università Sapienza di Roma, con il coordinamento e il finanziamento dell’Agenzia spaziale italiana (Asi). A bordo c’era il primo orto spaziale in miniatura: una piccola serra pressurizzata in cui venivano coltivate micro-verdure, monitorate da sensori ad alta tecnologia. L’esperimento prevedeva un ciclo di crescita di circa 15-20 giorni, ma il satellite ha continuato a funzionare per oltre 14 mesi, fino alla disattivazione nel febbraio 2024.

L’unico Paese al mondo ad avere concretizzato un progetto che va al di là del perimetro orbitale è la Cina. Il gigante asiatico ha, infatti, avviato una coltivazione sulla Luna, satellite che presenta varie difficoltà, come gravità circa sei volte più bassa rispetto alla Terra, intensa radiazione cosmica, suolo ostile e povero di nutrienti. Ebbene, nel 2019 una sonda cinese ha portato sulla superficie lunare un seme di cotone che è poi riuscito ad attecchire, anche se è sopravvissuto per pochissimo tempo. In particolare, il germoglio comparve dopo appena 22 ore dall’irrigazione, ma il ciclo vitale fu presto interrotto dalle escursioni termiche estreme: di giorno la temperatura interna superava i 36 gradi, mentre di notte scendeva fino a meno 50.

Sulla scia dei risultati positivi ottenuti in queste missioni, la ricerca si concentra ora su nuovi traguardi, progettando a Terra sistemi che un giorno potranno essere messi alla prova nello Spazio. La Nasa si è cimentata nella sfida con l’esperimento Lunar Exploration Analog Farm (Leaf). Si tratta di una piccola serra sigillata contenente i semi di tre specie di piante che dovrebbe essere portata prossimamente sul suolo lunare dagli astronauti di Artemis III.

A livello europeo, l’Esa coordina da anni il programma Micro Ecological Life Support System Alternative (Melissa), volto a creare nello Spazio un sistema chiuso autosufficiente. In pratica, grazie ai cicli naturali, batteri, alghe, piante dovrebbero riuscire a trasformare rifiuti e anidride carbonica in ossigeno, acqua, cibo fresco.In Italia è, invece, in fase di sviluppo il progetto Microx2, realizzato da Enea, Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Università Federico II di Napoli e Università Tor Vergata di Roma, con il finanziamento dell’Asi, che prevede la realizzazione di un impianto innovativo per la coltivazione di micro-ortaggi ricchi di fitonutrienti, adatto per future basi lunari o marziane.

Sempre l’Enea, insieme all’Università di Firenze, ha ideato Horto i-Tech, un piccolo orto tecnologico portatile, testato nel 2021 durante la missione simulata Amadee-20 nel deserto del Negev, in Israele. L’esperimento ha dimostrato che è possibile coltivare verdure fresche senza terra, utilizzando solo acqua e sostanze nutritive, in un ambiente simile a quello di Marte.

Oltre a garantire un menù per gli astronauti, le coltivazioni nello Spazio possono trasformarsi in vere e proprie fabbriche di molecole utili per la salute. Sulla Stazione spaziale internazionale, gli studiosi del centro di ricerca americano Casis hanno fatto germinare in orbita semi di piante officinali per valutare un’eventuale alterazione delle caratteristiche in condizioni di microgravità. L’obiettivo, in prospettiva, è fornire agli equipaggi farmaci e integratori direttamente a bordo, riducendo il peso e il volume dei carichi provenienti dalla Terra.

Questi studi, però, non hanno un impatto positivo solo per chi vive in orbita. La coltivazione di erbe terapeutiche in condizioni estreme può, infatti, offrire nuove conoscenze da applicare anche sul nostro pianeta. Per esempio, un team di esperti dell’Università del Kentucky, negli Usa, ha analizzato il cataranto del Madagascar, da cui si ricavano composti anti-tumorali, e la valeriana, pianta sedativa e ansiolitica, per verificare se la concentrazione dei principi attivi potesse essere aumentata dalla crescita in microgravità. Molti vegetali sottoposti a stress incrementano, infatti, la produzione di sostanze difensive, un meccanismo che potrebbe aprire la strada a terapie più efficaci contro molte malattie.

Un caso particolare sono le ricerche biotecnologiche, a metà strada tra nutrizione e medicina, con applicazioni sia nello Spazio sia sulla Terra. In quest’ambito, l’Enea ha sviluppato piccoli pomodori viola ingegnerizzati, ironicamente chiamati San Marziano, arricchiti di antocianine, sostanze antiossidanti capaci di proteggere le cellule dell’organismo, particolarmente utili per gli astronauti esposti a radiazioni cosmiche. Questi speciali ortaggi sono stati modificati anche per produrre anticorpi monoclonali ricombinanti, farmaci di nuova generazione utilizzati contro tumori e patologie autoimmuni. Così l’umanità si prepara a mettere, letteralmente, radici su nuovi mondi, costruendo un ponte verde tra la Terra e le stelle.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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