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Perché ancora sprechiamo più di 130 kg di cibo all’anno

Se vogliamo ridurre gli sprechi di cibo non basta comprare meno, comprare meglio, programmare i pasti e riutilizzare gli avanzi. Servono sforzi a più livelli, che non riguardano solo i consumatori. E questi sforzi dovrebbero essere diversi a seconda dei contesti sociali ed economici: perché lo spreco di cibo è un riflesso di queste condizioni, e ogni paese potrebbe ridurlo agendo, con priorità diverse, su fattori diversi. A discutere di tutto questo, sottolineando come il problema dello spreco di cibo stia diventando sempre più pressante nei paesi a reddito medio-basso, è un commento apparso sulle pagine di Cell Reports Sustainability, che anticipa di pochi giorni la Giornata internazionale della consapevolezza delle perdite e degli sprechi alimentari del 29 settembre.

Il rapporto

Nel mondo un miliardo di tonnellate di cibo va discarica ma in Italia lo spreco diminuisce

25 Settembre 2025

Il nodo delle discussioni di Emiliano Lopez Barrera e di Dominic Vieira della Texas A&M University è l’assottigliamento dello spreco alimentare tra i paesi ad alto reddito e quelli a basso e medio reddito. I dati sullo spreco alimentare riportati dagli autori arrivano da un rapporto delle Nazioni Unite e dicono questo: mediamente sprechiamo 132 kg di cibo ogni anno a testa, di cui la gran parte (circa il 60%) avviene a livello casalingo (e in misura minore nella ristorazione, 28%, e tra i rivenditori, 12%). E proprio a livello casalingo, in base ai dati disponibili, non si osservano grandi differenze a livello di sprechi tra paesi a reddito alto, medio-alto e medio-basso. E questo perché negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescente urbanizzazione nei paesi a medio reddito – come India, Cina e Brasile – e “lo spreco alimentare è un problema cittadino”, stressa il report.

I motivi sono diversi. Il processo di urbanizzazione, legato alla crescita economica, cambia il rapporto con il cibo, scrivono gli autori, a partire dal suo approvvigionamento: si compra più spesso, di più, in confezioni più grandi, anche grazie alla diffusione dei supermercati. Inoltre, la vita cittadina a differenza di quella rurale, incoraggia il consumo di cibi processati e confezionati, e scoraggia il riutilizzo di avanzi. Anche la maggiore diffusione delle catene del freddo, laddove avvenuta a livello di distribuzione, rischia di diventare un boomerang per gli sprechi, spiegano Lopez Barrera e Vieira. Lo diventa nel momento in cui l’accesso a cibi deperibili a livello del consumatore non è accompagnato da pratiche adeguate di conservazione ed educazione.

Ecco allora che combattere gli sprechi significa sia incentivare la diffusione di sistemi adeguati di conservazione e confezionamento, laddove questi ancora manchino, che incentivare acquisti adeguati alle esigenze e riutilizzo degli avanzi, scrivono gli autori. Ma anche altre soluzioni che non coinvolgano direttamente i consumatori, come programmi di donazione di cibo o riutilizzo in modi diversi – per esempio in strategie di bioenergia – potrebbero contribuire a ridurre gli sprechi e valorizzare le risorse alimentari, si legge ancora nel commento. L’essenziale, concludono gli autori, è agire, in maniera mirata, a più livelli, e coinvolgendo tutti: non solo i consumatori, ma anche le istituzioni, i produttori e i distributori.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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