Mentre tutto cambia, fuori dalle finestre delle aule dell’Isola di San Servolo – dove studiano i giovani della Venice International University – si intravede un promemoria che ricorda a tutti una tendenza che non muta affatto: il livello del mare, qui, continua a crescere. In Laguna il livello del mare aumenta ogni anno, secondo uno studio dell’INGV, di quasi 0,59 centimetri: di questo passo gli esperti temono che entro il 2150 un’area di 139 chilometri quadrati della città di Venezia finirà per essere sommersa. Per questo, non a caso, proprio nel cuore della Laguna – davanti a San Marco e sull’isola di San Servolo – da giovedì centinaia di studenti, professori, esperti, policy makers, politici e rappresentanti del mondo dell’industria si sono dati appuntamento per la quarta Dolomite Conference “Global Governance del Climate Change and Sustainability – Venice Edition”, un appuntamento organizzato dal think tank Vision che mira a prendere di petto la questione climatica. L’idea base della conferenza è quella di mettere a confronto giovani ed esperti e trovare soluzioni pragmatiche da indicare e discutere in vista della COP30, la grande conferenza delle parti sul Clima che inizierà a novembre a Belem, nel cuore dell’Amazzonia.
Oltre 100 i partecipanti a confronto: il 43% ha meno di 35 anni e più di un terzo è rappresentato da donne. In sostanza, agli stessi giovani di università quali Bocconi, Polimi, Ca’ Foscari e LUISS, tutti preoccupati per il loro futuro che sarà inevitabilmente condizionato dalla crisi del clima, viene offerta la possibilità di misurarsi con il mondo delle aziende e della politica per indicare in maniera concreta le scelte necessarie “non tanto per salvare il Pianeta, ma più che altro l’umanità” ricorda il professor Francesco Grillo, direttore di Vision. Chiusi nelle stanze di San Servolo, all’interno di quelli che vengono chiamati PSGG, i giovani lavorano così per elaborare soluzioni che verranno poi inserite nel Manifesto delle Dolomiti, documento che sarà presentato direttamente alla COP30. Per esempio si ragiona – grazie a un caso studio fatto sulle città di Barcellona e Atene – su quali strumenti di finanza pubblica e privata siano necessari per migliorare l’adattamento delle persone nelle città che si riscaldano e restano senz’acqua, suggerendo come un maggior coinvolgimento della finanza privata possa portare a benefici per i cittadini. Oppure, parlando di rifiuti, ci si interroga come possano le città andare oltre la differenziazione per migliorare la circolarità e la trasparenza lungo l’intera filiera o ancora come dovrebbero essere ridisegnate e riprogettate le città in grado da poter ospitare al meglio l’evoluzione dei veicoli a guida autonoma che, in futuro, saranno un modo per “per spostare persone e merci in modo più sostenibile”.
L’evento
Verso Cop30, a Venezia la Dolomite Conference sul clima
07 Ottobre 2025
E quali incentivi servirebbero – per esempio per rendere le città più green – per riuscire a coinvolgere di più i cittadini sia nel processo della transizione energetica sia nel ristrutturare abitazioni e infrastrutture energivore e fortemente emissive che oggi peggiorano la crisi del clima?. Sono tutte domande che gli studenti si pongono, e a cui tentano di trovare risposte, dopo un periodo estremamente difficile in cui il mondo sembra aver perso fiducia (e investimenti) nella lotta alla crisi del clima necessaria proprio per scongiurare scenari drammatici come quelli dell’innalzamento dei mari a Venezia, per esempio. Se ci pensiamo bene, ricorda Oliver Morton di The Economist, negli ultimi “tre anni è cambiato tutto. Prima il mondo ha imparato a uscire da una pandemia devastante, poi ci sono state le elezioni di Donald Trump. Nel mezzo due conflitti, l’imminente crescita dell’intelligenza artificiale e un’economia stravolta. Però una cosa non è cambiata: la tendenza delle temperature a salire, tanto che gli ultimi tre anni sono stati nuovamente fra i più caldi della storia”. E allora, chiede il giornalista scientifico ad una serie di relatori della Dolomites Conference, come possiamo fare a rimettere la questione climatica al centro?. La risposta, per tutti, è che bisogna cambiare, ripartire da come il nuovo mondo è stato ridisegnato negli ultimi tre anni e trovare dunque nuove soluzioni. Per l’ex ministro dell’Ambiente del Brasile, Izabella Teixeira, il cambiamento in atto ha portato attualmente a comandare nelle stanze “la politica, e non la politica climatica, quella che servirebbe ripristinare. Se vogliamo soluzioni al problema delle emissioni climalteranti dobbiamo partire dalle differenze: ogni Paese, e soprattutto quelli inquinatori, deve impegnarsi di più nei suoi NDC (i piani climatici) e renderli fattibili. Ma ci vuole anche più ambizione e cambiare approccio, un approccio che oggi deve mettere al centro le nuove sfide, che non sono più quelle di ieri, ma sono diverse, come per esempio la corsa ai minerali critici e alle risorse naturali che si sta verificando”.
Che “qualcosa è cambiato”, parafrasando il titolo di un famoso film, è evidente anche per Carlo Carraro, ex rettore della Ca’ Foscari che ha lavorato ai rapporti dell’IPCC (Gruppo intergovernativo cambiamenti climatici). “Fra tante cattive notizie ci sono anche segnali incoraggianti – dice – come il fatto che in alcune aree, in Europa o Giappone o Gran Bretagna ad esempio, le emissioni stanno scendendo. Il problema è che la velocità a cui scendono, rispetto a quella con cui avanza il riscaldamento, è insufficiente. Però a mio parere per continuare a ridurle, per investire su questo cambiamento, abbiamo bisogno di cambiare e modificare i target, rivedendoli in maniera più realistica, dato che quello dei +1,5 gradi ad esempio ormai non lo è più. Rivedendo i target possiamo poi ripartire con nuovi obiettivi dai nuovi paesi industrializzati con strategie più concrete e fattibili. E poi, quello che servirebbe, è trovare un modo per ridistribuire i flussi di investimento: oggi sono spesso diretti verso la mitigazione, ma serviranno sempre di più per qualcosa di meno profittevole, come l’adattamento, perché la crisi del clima possiamo ridurla, ma non eliminarla”.
Infine, aggiunge l’ex ministro Enrico Giovannini, direttore dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, per trovare nuovi strumenti nella lotta alla crisi climatica bisogna anche “cambiare linguaggio, usare nuove parole e concetti che colpiscano in maniera più diretta le persone. Negli ultimi tre anni abbiamo perso una cosa molto importante: i giovani nelle strade, come quelli di Fridays for Future, che ci ricordavano l’importanza di agire. Nel frattempo a livello internazionale tendiamo a cooperare sempre meno e competere di più e in questo contesto i cittadini si sono allontanati dalla questione climatica, spesso anche perché certi aspetti appaiono poco visibili. Se però, come ha fatto l’ex governatore Arnold Schwarzenegger, si parla direttamente di danni alla salute per inquinamento, le persone allora tendono ad ascoltare e ad unirsi alla battaglia”. Perché quindi – chiede Giovannini in una Venezia che soffre proprio di inquinamento – non parlare per esempio sempre di più di come smog e crisi del clima portano a 300mila morti premature ogni anno in Europa? Forse ci aiuterebbe a cambiare”.