“Il cambiamento climatico ha reso più probabili e intense 213 ondate di calore nel periodo 2000-2023”. Non solo: al fenomeno “ha contribuito in modo sostanziale ciascuna delle 180 principali fonti di carbonio”, (aziende statali e private che estraggono combustibili fossili o producono di cemento). Le durissime affermazioni che posano una nuova pietra miliare nella “scienza dell’attribuzione”, la disciplina che calcola quanto le emissioni umane di gas serra contribuiscano all’innesco dei singoli eventi meteo estremi, sono contenute in uno studio che è diventato la copertina di Nature e condotto da un team dell’Eta, il Politecnico di Zurigo.
“A causa del riscaldamento globale dal 1850 al 1900, la media delle ondate di calore nel periodo 2000-2009 è diventata circa 20 volte più probabile e circa 200 volte più probabile nel periodo 2010-2019”, scrivono gli autori della ricerca. “Nel complesso, un quarto di questi eventi sarebbe stato praticamente impossibile senza il cambiamento climatico”.
Sul “banco degli imputati” emettitori grandi e piccoli: “I principali produttori di carbonio (l’ex Unione Sovietica, la Repubblica Popolare Cinese per il carbone, Saudi Aramco, Gazprom, ExxonMobil, Chevron, National Iranian Oil Company, BP, Shell, l’India per il carbone, Pemex, CHN Energy, la Repubblica Popolare Cinese per il cemento) rappresentano il 30% delle emissioni totali cumulative di CO? di origine antropica, circa quanto le altre 166 principali aziende del carbonio messe insieme (27%)”.
Secondo i ricercatori svizzeri, “nel periodo 2000-2009 il cambiamento climatico ha aumentato l’intensità media delle ondate di calore di 1,36 °C, di cui 0,44 °C sono attribuibili ai principali emettitori di carbonio e 0,22 °C alle altre 166. Nel periodo 2010-2019 invece, l’influenza del cambiamento climatico è aumentata a 1,68 °C, con 0,47 °C (28%) dalle principali emissioni di carbonio e 0,38 °C (22%) dalle altre 166: tali emissioni dunque hanno contribuito a circa la metà dell’aumento dell’intensità delle ondate di calore dall’epoca preindustriale”.
Ma oltre ad accrescerne l’intensità, i principali produttori di carbonio hanno anche aumentato la probabilità di tutte le ondate di calore: “Per i produttori di carbonio con emissioni più basse, i contributi sono limitati a un aumento del 10% della probabilità preindustriale. Tuttavia, ci sono ondate di calore che i principali produttori di carbonio hanno reso almeno 10.000 volte più probabili rispetto ai livelli preindustriali, e che sarebbero state praticamente impossibili senza l’influenza antropica”.
Perché è così importante questo studio? Perché consacra su una rivista prestigiosa come Nature la scienza dell’attribuzione, creando un legame diretto tra le emissioni di singole aziende e il verificarsi di eventi meteo estremi. “Gli studi precedenti hanno preso in considerazione principalmente le emissioni di persone e paesi. Questa volta ci concentriamo sui grandi emettitori di carbonio”, spiega Yann Quilcaille, co-autore dell’articolo. Si tratta di aziende che hanno una responsabilità particolare: hanno perseguito principalmente i loro interessi economici, pur sapendo fin dagli anni Ottanta che bruciare combustibili fossili avrebbe portato al riscaldamento globale”.
“Il collegamento – dagli eventi meteorologici ai cambiamenti climatici, e dai cambiamenti climatici ai singoli emettitori – che studi come questo definiscono ridisegneranno il modo di intendere la responsabilità, e potrebbe diventare la base per le azioni legali e politiche volte a responsabilizzare gli inquinatori”, commenta Davide Faranda, direttore di ricerca presso il Cnrs di Parigi e fondatore di Climameter, un consorzio internazionale di scienziati specializzato nell’attribuzione degli eventi meteo estremi. “Questa disciplina ha fatto grandissimi progressi dal suo esordio, nel 2003 dopo l’ondata di calore che colpì l’Europa, e in particolare la Francia”, continua il ricercatore italiano. La procedura che si segue, ormai consolidata, consiste nel cercare eventi simili a quello da ‘attribuire’, che si siano verificati con le emissioni attuali di gas sera e con emissioni a livello pre-industriali. Il risultato di queste analisi sono statistiche molto robuste, che permettono di valutare l’impatto delle attività umane sulle ondate di calore, ma, più di recente, anche su perturbazioni atlantiche e tempeste tropicali”.
Basterà a inchiodare i pero-Stati e le compagnie dell’oil&gas alle loro responsabilità storiche nelle aule di tribunale? “Vedo almeno due problemi”, risponde Faranda. “Il primo punto su cui ho delle riserve, come altri colleghi, è il seguente: l’evento preso in considerazione si sarebbe verificato comunque anche solo con quella fetta di emissioni relative a una specifica azienda? Perché se invece è l’insieme delle emissioni ad aver innescato l’ondata di calore, non si potrà fare causa al singolo emettitore ma a tutti quelli che hanno contribuito. L’altro aspetto controverso riguarda la gestione locale del territorio, che può contribuire enormemente ai danni arrecati da un evento meteo estremo. Nell’alluvione di Valencia del novembre 2024, per esempio, le persone sono morte certamente perché il riscaldamento globale ha aumentato l’intensità delle piogge, ma anche perché l’argine era solo su una sponda del fiume e l’allarme è stato dato in ritardo”. E qui la questione smette di riguardare gli scienziati per investire legislatori e giuristi climatici.