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Nel giro di tre anni l’Italia ha perso oltre 150 specie di piante, molte acquatiche

In termini di contabilità botanica la flora italiana conta circa diecimila specie ma oltre cento sono fantasma. Perché sono estinte. Piante segnalate magari una volta solo a inizio del Novecento o negli anni Settanta ma delle quali si erano perse le tracce. O meglio: nessuno finora si era preoccupato di verificare se fossero ancora al loro posto o meno. Quattro anni fa un gruppo di 107 tra ricercatori e amatori della Società Botanica italiana ha deciso di vederci chiaro e controllare di persona, sul campo, i casi più incerti. Un’opera monumentale di setaccio su scala nazionale, dalla provincia di Bolzano alla Sicilia, condotta per intero su base volontaria, ovvero senza finanziamenti diretti. Il bilancio è di 117 estinzioni a livello regionale con la Lombardia maglia nera della classifica. Solo nell’area di Milano, negli ultimi 250 anni, sono scomparse 305 tra specie e sottospecie autoctone: a grande maggioranza crescevano nelle aree umide o attorno agli storici fontanili della zona sud del capoluogo meneghino, pozzi e stagni artificiali per irrigare i terreni o allagarli, durante l’inverno, per risparmiarli dal gelo. Calabria e Liguria, al contrario, sono le due regioni dove ci sono state meno estinzioni di specie rare o in dubbio.

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03 Novembre 2025

Habitat naturali, zone costiere e paesaggi agricoli sono gli ambienti che hanno subito le maggiori perdite. “Le acque interne, stagni e paludi sono stati nel tempo bonificati per la lotta alla malaria e per ricavare nuove terre per l’agricoltura mentre le spiagge hanno subito modificazioni principalmente dovute al turismo. – spiega Gianniantonio Domina, coordinatore della ricerca pubblicata come monografia dalla rivista Phytotaxa e docente di botanica applicata e ambientale all’Università di Palermo – Mente per le piante alpine assistiamo ad un restringimento dell’habitat a causa del riscaldamento globale ma non emergono ancora fenomeni importanti di estinzione”.

Difficile stabilire da quanto tempo queste piante siano scomparse. La prima segnalazione della presenza di una carnivora acquatica come Aldrovanda vesiculosa, di cui la ricerca conferma l’estinzione in tutta Italia, risale alla fine del Settecento sul lago di Viverone in Piemonte, l’ultima nel 1934 nell’attuale oasi WWF del lago del pantano a Pignola in Basilicata. Qualche speranza in più poteva esserci per un’altra rara carnivora delle aree umide come l’otricolaria minore (Utricolaria minor) osservata nel 1979 in uno degli ultimi avamposti conosciuti in provincia di Pisa dove catturava piccoli crostacei per compensare l’assenza di nutrienti nelle acque in cui viveva. Mentre nelle aree costiere della Sicilia non è stata più trovata la ninfea gialla (Nuphar lutea) dai cui fiori nella medicina tradizionale si ricavava un antidoto per calmare i bollenti spiriti.

L’inventario di una flora non è mai un elenco monolitico ma una stratificazione delle diverse epoche della ricerca botanica. Le estinzioni locali spesso sono dovute a fenomeni circoscritti, come la cementificazione di un tratto di costa. In altri casi si tratta di un errore dei ricercatori del passato che non hanno identificato la pianta in modo corretto. ”La verifica puntuale in campo è il primo passo per elaborare strategie efficaci di conservazione della natura. – aggiunge il botanico siciliano – Lo studio offre un’istantanea dello stato della flora in Italia ed è la base per future ricerche sulla crescita o sul declino delle popolazioni, sulle variazioni di areale e riguardo le minacce presunte o reali alle quali sono sottoposti gli habitat nei quali vivono”.

Oltre alle estinzioni salta fuori anche qualche nuova specie. Altre verifiche condotte durante lo studio per l’inventario hanno scoperto tre specie di Dianthus, una in Piemonte e due in Calabria. A livello nazionale è stata di nuovo confermata in Sardegna la presenza di una viperina (Echium creticum subsp. coyncianum) e della peonia della Corsica. In Valle d’Aosta un ranuncolo estinto, fiorisce ancora nei prati aridi sulle colline di Brissogne. Ma non bisogna illudersi. ”Le nuove specie che vengono registrate – conclude Domina – possono essere frutto di nuove esplorazioni, nuovi arrivi o nuove descrizioni di piante che erano già conosciute ma per le quali si scopre che appartengono a gruppi tassonomici diversi di quelli che si credeva”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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