I rifiuti scaricati dalle attività minerarie in acqua profonde rappresentano una grave minaccia per il già delicato equilibrio degli ecosistemi marini. A lanciare l’allarme è oggi un nuovo studio coordinato dall’Università delle Hawaii a Manoa, secondo cui appunto l’estrazione dei minerali nelle profondità nell’oceano Pacifico potrebbe compromettere la vita marina nella cosiddetta zona crepuscolare, o mesopelagica, un’area compresa tra i 200 e i 1.500 metri sotto il livello del mare che ospita una sorprendente varietà di forme di vita, dai minuscoli krill ai pesci, calamari, polpi e meduse. Lo studio è stato pubblicato su Nature Communcations.
I rischio dell’attività mineraria
Per valutare gli effetti dei rifiuti minerari sugli ecosistemi marini, i ricercatori si sono focalizzati sulla Clarion-Clipperton Zone (Ccz), un’enorme area dell’oceano Pacifico diventata nota ultimamente per la presenza sul fondale di grandi giacimenti minerari, e in particolare di noduli (concrezioni) polimetallici, ossia ricchi di minerali critici, come rame e cobalto. Un’area, quindi, che potrebbe essere destinata all’estrazione mineraria in acque profonde, processo che consiste appunto nel prelevare i noduli polimetallici, producendo al contempo sedimenti di scarto, contenenti acqua e le particelle dei noduli polverizzate, che una volta rigettati in mare danno vita a pennacchi torbidi che possono avere impatti significativi sulla vita marina.
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I sedimenti diluiscono le particelle cibo
Analizzando campioni d’acqua raccolti nella zona mesopelagica in cui sono stati scaricati i rifiuti minerari nel 2022, durante una sperimentazione mineraria nella Ccz, i ricercatori hanno scoperto che le particelle di scarto hanno le stesse dimensioni delle particelle di cibo che normalmente vengono ingerite dallo zooplancton che nuota a quelle profondità. L’esposizione ai rifiuti, quindi, porterebbe a una denutrizione di questi piccoli organismi che costituiscono i principali elementi nutritivi dell’oceano, con il potenziale di sconvolgere l’intera catena alimentare.
“La nostra ricerca suggerisce che i pennacchi minerari non solo creano acqua torbida, ma alterano anche la qualità del cibo disponibile, soprattutto per gli animali che non riescono a nuotare via facilmente”, ha spiegato il co-autore Jeffrey Drazen. “È come riversare calorie vuote in un sistema che ha funzionato con una dieta ben calibrata per centinaia di anni”.
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Dagli oceani alla nostra tavola
I risultati del nuovo studio sollevano preoccupazioni sugli effetti a lungo termine che potrebbero verificarsi se l’attività di estrazione mineraria proseguisse su larga scala in assenza di adeguate misure di salvaguardia ambientale. Senza considerare che la pesca del tonno del Pacifico opera proprio sulla Ccz, e potrebbe quindi avere un impatto negativo sui pesci che finiscono sulle nostre tavole. “L’estrazione mineraria in acque profonde non è ancora iniziata su scala commerciale, quindi questa è la nostra occasione per prendere decisioni consapevoli”, ha commentato Brian Popp, tra gli autori dello studio.
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La speranza, quindi, è che lo studio possa contribuire a orientare le decisioni normative attualmente in fase di elaborazione da parte dell’International Seabed Authority e della statunitense National Oceanic and Atmospheric Administration. “Prima di avviare l’attività mineraria commerciale in acque profonde è essenziale valutare attentamente la profondità a cui vengono scaricati i rifiuti minerari”, ha concluso Drazen. “Il destino di queste colonne di rifiuti minerari e il loro impatto sugli ecosistemi oceanici varia a seconda della profondità, e uno scarico improprio potrebbe causare danni alle comunità, dalla superficie al fondale marino”.

