BELÉM (Brasile) – All’improvviso, proprio mentre stava iniziando la Cop30, in Brasile un tornado è passato sulla città di Rio Bonito e l’ha letteralmente rasa al suolo. Nel frattempo, nelle stanze dei negoziati, i delegati filippini con gli occhi lucidi ricevevano notizie del bilancio mortale del tifone Fung-wong. Il clima uccide, in ogni istante e ovunque. Nessun Paese è risparmiato dall’intensificazione degli eventi meteo estremi causati dalla crisi climatica e l’Italia lo sa bene. Per gli effetti della siccità in Sicilia o Sardegna, le alluvioni dall’Emilia Romagna alle Marche, per le frane e i distacchi dei ghiacciai sulle Alpi l’Italia è oggi al sedicesimo posto nella classifica degli stati del mondo più colpiti dalla crisi climatica nell’ultimo trentennio (1995-2024). Il nostro anno peggiore è stato il 2023, ma anche le ondate di calore del 2024 sono state altamente mortali e in Europa attualmente per impatti siamo dietro soltanto alla Francia (dodicesima).
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A rivelarlo è il Climate Risk Index, l’indice realizzato dall’organizzazione umanitaria e ambientale Germanwatch che attraverso i dati storici e accessibili relativi a 9700 fra gli eventi climatici più impattanti degli ultimi trent’anni ha definito il rischio di esposizione delle nazioni davanti agli eventi di quel riscaldamento globale che, ad esclusione di Stati Uniti, San Marino e Myanmar, tutti i delegati del mondo stanno ora provando ad affrontare cercando soluzioni concrete a Belém. Solo relativamente a quasi 10mila eventi meteo estremi avvenuti negli ultimi trent’anni sono morte oltre 830mila persone. La causa principale sono le ondate di calore, seguite da tempeste e alluvioni, fenomeni diventati più intensi e frequenti per le emissioni antropiche e tali da aver causato danni economici per 4500 miliardi di dollari in tre decadi. Ci sono condizioni – come in Italia – in cui sono posizione geografica o fragilità dei territori a rendere gli stati più vulnerabili, ma è soprattutto nel Sud del mondo e nelle aree popolose meno sviluppate dove il clima diventa spesso più letale.
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Il 40% di tutte le persone del globo vive infatti attualmente negli undici Paesi più duramente colpiti da eventi estremi, quasi sempre realtà meno abbienti. Per esempio in India (9°posto) o Filippine (7°) e al momento sul podio di questa sfortunata classifica in vetta c’è la Dominica seguita da Myanmar e Honduras. Anche le grandi potenze mondiali però sono nella parte alta della lista: la Cina che oggi va a trazione rinnovabile e sta diventando leader nella battaglia climatica è all’11esimo posto, mentre gli Stati Uniti del negazionista Donald Trump, convinto che il global warming sia una “truffa”, sono diciottesimi. Trump non intende affrontare la questione climatica, ma gli stati americani sì: ieri è arrivato a Cop il governatore della California Gavin Newsom per ricordare che l’atteggiamento della Casa Bianca è semplicemente “stupido” e pericoloso. Se ovunque sta avvenendo una intensificazione, alcuni stati sono “colpiti ripetutamente” rileva inoltre il rapporto, come per esempio Haiti “impattato con tale regolarità che intere regioni riescono a malapena a riprendersi dagli impatti fino all’evento successivo” afferma Vera Künzel, coautrice del report.
E spesso, sono proprio le realtà insulari le più a rischio. L’intero indice fa riferimento a impatti avvenuti poco prima, nel 2024, del superamento di una soglia critica, quella dei famosi +1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Ora che siamo già oltre se non troveremo il modo di fermare le emissioni gli eventi diventeranno più devastanti e toccheremo punti di non ritorno come la perdita delle barriere coralline, lo sconvolgimento di Antartide e Groenlandia, la decaduta della foresta amazzonica. Non a caso, domani, migliaia di indigeni arriveranno a Belém con ogni tipo di imbarcazione: l’obiettivo è ricordarci che la crisi del clima uccide la natura e le persone, a cominciare dall’Amazzonia.

