Cantare la terra, la propria. Pochi gruppi musicali ci sono riusciti come hanno fatto i Tazenda con la Sardegna, portando sui maggiori palcoscenici italiani e internazionali l’identità di una regione solo apparentemente chiusa in se stessa. Tradizioni, popoli, miti ma anche il respiro, i suoni e i profumi dell’isola felice sono entrati nelle loro canzoni. Da qualche anno i Tazenda – Gino Marielli, Gigi Camedda e Serena Carta Mantilla – hanno deciso che non era più sufficiente solo celebrare la Sardegna ed hanno iniziato a tutelarla e ad invitare tutti a rispettarla. Come? Dando vita, sono alla seconda edizione, all’Ecofestival un evento itinerante di musica e tanto green.
“Tutti i nostri idoli, i grandi che conosciamo – ci confessa Gino Marielli, portavoce del gruppo – hanno avuto un loro festival: da Bob Geldof ai tempi del Live Aid fino a Peter Gabriel — che per noi è un mito e ritorna spesso nei nostri discorsi e nella nostra musica — con il suo Womad e la sua Real World. In fondo, organizzare un festival, come fa ad esempio Paolo Fresu in Sardegna, per noi musicisti è una questione di vitalità. Arriva un momento nella carriera in cui si sente l’esigenza di condividere in modo più completo la propria esperienza e la propria passione per questo lavoro. Significa non solo sporcarsi le mani con la musica, ma anche con la produzione vera e propria, fatta di burocrazia, logistica, economia.
Com’è articolato il festival, come avete scelto le tappe?
“Il nostro problema è stato dove non andare. Abbiamo la fortuna di vivere in Sardegna. Siamo del nord Sardegna e la nostra regione, certamente, è spettacolare tutta. Noi da Sassari siamo a un’ora e mezzo da Olbia, siamo a mezz’ora da Castelsardo, siamo a un’ora e mezzo da Palau e Santa Teresa e quindi a un’ora e mezzo più un traghetto da 10 minuti per l’arcipelago della Maddalena, quindi abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Le tappe si potrebbero veramente scegliere a caso.”
Che difficoltà avete incontrato nel realizzarlo? Avete seguito un Protocollo ambientale?
“Riguardo alle difficoltà incontrate nel realizzare il progetto e relativamente al rispetto di un protocollo ambientale per il consumo di luce, la gestione dei rifiuti e gli altri aspetti ecofriendly oggi è molto più semplice documentarsi, seguendo magari l’esempio di chi ha fatto esperienza prima di noi.
Le difficoltà principali restano di natura burocratica: servono molta pazienza e ore seduti a discutere e pianificare. Chi sta alla produzione, come il produttore Luca Parodi, le collaboratrici Claudia Scanu e Claudia Soggiu e tutto il resto dello staff, passano le giornate in ufficio a parlare con assessori, organizzazioni e colleghi, coordinando tutto ciò che serve per organizzare i concerti nelle location scelte.
Insomma, le difficoltà sono simili a quelle che si incontrano per qualsiasi evento: tutta l’esperienza accumulata in tanti anni viene messa alla prova, soprattutto perché in questo caso dobbiamo rispettare un protocollo ambientale rigoroso. Si cerca di ridurre al minimo il consumo di corrente elettrica, di limitare i rifiuti e di gestire ogni aspetto nel modo più ecologico possibile. Avendo già sperimentato questo protocollo due anni fa, abbiamo potuto monitorare i nostri parametri e, ogni volta, proviamo a fare meglio, alzando progressivamente l’asticella.”
Chi è il più green del gruppo?
“I più green del gruppo sono i nostri figli. Noi — Gino Marielli, Gigi Camedda, e anche Serena Carta Mantiglia, che ha solo 35 anni, mentre noi siamo di una generazione più avanti — veniamo da un contesto diverso. La nostra generazione ha, da una parte, subito le conseguenze delle malefatte dei nostri genitori, che spesso agivano ignari, e dall’altra ha in parte perpetuato questo modus operandi sbagliato, almeno fino a quando non abbiamo preso coscienza. Siamo a fare da ponte tra generazioni.
I nostri figli, invece, che hanno tra i 20 e i 40 anni, ci hanno educato e continuano a educarci alla questione ecologica, perché sanno che dovranno vivere sul Pianeta per 30, 40, 50 anni dopo di noi. Hanno quindi una grande responsabilità: oltre a insegnarci, saranno loro a trasmettere questi valori ai loro figli, ai nostri nipoti. Detto questo, noi tre siamo certamente tutti green e per quanto riguarda Serena, essendo di una generazione più giovane, sembra proprio che sia nata con questo spirito.”
Può la musica pop ed etno, come musica tradizionale della cultura isolana e legata alla lingua sarda, parlare anche di temi come il green?
“Certo, la musica pop può e deve parlare di green, e lo stesso vale per l’etno. La musica etnica, alla fine, richiama alla terra, alla propria terra d’origine: e chi dovrebbe essere più interessato alla terra se non chi canta le proprie radici? La cultura della nostra isola, con il suo profondo legame con le tradizioni, la lingua, i balli, il cibo e tutto ciò che è natura, porta inevitabilmente a questi temi. Per noi diventa naturale e imprescindibile prenderci cura di tutto ciò che appartiene alle nostre radici, a tutto ciò che è verde.”
E tra le vostre canzoni c’è un titolo che considerate il manifesto del vostro impegno eco?
“Ne ricordo due. La prima è Chelu Nieddu, scritta in tempi non sospetti: non tanto rispetto all’impegno civile che ci ha sempre accompagnato ma in riferimento alla salvaguardia della nostra terra. La canzone affronta un problema grave della Sardegna, quello degli incendi. Chelu Nieddu, che significa “cielo nero”, racconta i danni, i pericoli, le tragedie e i lutti che un incendio può produrre. Spesso, purtroppo, le cause degli incendi affondano le radici nella responsabilità dell’uomo, non solo nella disattenzione ma anche in certa malvagità.
La seconda è Madre Terra, un vero e proprio manifesto d’amore: la canzone considera la Terra — il pianeta intero — come una madre. In particolare, la Sardegna viene spesso evocata come madre antica, quasi con una valenza spirituale o mistica. È un’immagine potente, che unisce rispetto, amore e senso di responsabilità verso il nostro pianeta.”
Se doveste individuare una canzone come importante per la salvaguardia ambientale cosa indichereste e perché?
“È difficile indicare una sola canzone, ma se devo essere sincero — e anche un po’ nostalgico — mi viene subito in mente Adriano Celentano. Già alla fine degli anni ’60 e nei primi ’70, in tempi non sospetti, aveva a cuore questi temi. Ci sono diversi brani che lo dimostrano: la storia di Serafino, che abbandona la campagna e poi, arrivato in città, si scontra con l’inquinamento e non riesce ad adattarsi; Viola, un racconto romantico ambientato proprio nella campagna; e soprattutto L’albero di trenta piani, che è una vera e propria denuncia contro lo smog e l’inquinamento.
Se dovessi sceglierne uno, probabilmente direi proprio L’albero di trenta piani: già il titolo racchiude tutto il senso del brano — non trenta rami, ma trenta piani di cemento. Viva Celentano, che su questi temi è arrivato prima di tutti noi.”
Oggi si parla molto di quello che possono fare gli artisti per lanciare messaggi di pace e di crescita sociale. Credete che si faccia abbastanza?
“Veicolare un messaggio non significa intaccare l’opera artistica o la sua narrazione: significa, piuttosto, che chiunque, indipendentemente dal genere che porta avanti — sia musica da discoteca, reggaeton o heavy metal — dia l’esempio con la propria vita, mostri di essere una persona green, attenta all’ambiente, con un cuore sociale e sensibile al destino del pianeta. Sfrutti la propria visibilità per dare l’esempio. Questa, a mio avviso, è la vera strada per pensare a come gli artisti possano lanciare messaggi di Pace.”