La vita trova sempre un modo per prosperare, anche nei luoghi più inospitali. Come può essere, ad esempio, un deposito di armi sottomarine abbandonate nel Mar Baltico al termine della Seconda Guerra Mondiale, ritenuto estremamente pericoloso per via delle sostanze tossiche emesse dagli armamenti e per la presenza di ordigni inesplosi. E che invece ospita un ecosistema fiorente, con maggiore biodiversità rispetto ai vicini fondali marini, stando a uno studio del Senckenberg Research Institute pubblicato su Communications Earth & Environment.
Armi e relitti negli oceani
Prima della Convenzione di Londra del 1972, accordo internazionale nato con lo scopo di prevenire l’inquinamento marino, le armi e munizioni venivano spesso smaltite in mare. La Seconda guerra mondiale, così come altri conflitti passati, hanno quindi lasciato un profondo segno negli oceani, con le armi, gli esplosivi e i relitti delle navi che rientrano tra le principali cause di contaminazione, in quanto rilasciano sostanze tossiche nocive e mettono a rischio gli ecosistemi acquatici. Per rendersi conto, le sole acque tedesche contengono circa 1,6 milioni di tonnellate di armi abbandonate, principalmente risalenti alle due guerre mondiali, mentre i relitti abbandonati possono contenere residui nucleari, chimici ed esplosivi, come il Tnt (trinitrotoluene).
La biodiversità esplode
Nel nuovo studio, grazie a un veicolo a comando remoto (Rov) i ricercatori sono riusciti a raggiungere le profondità della Baia di Lubecca, al largo della costa tedesca, e filmare anemoni, stelle marine, granchi, molluschi e altre forme di vita sottomarina insediati tra i resti della bomba volante Fieseler (nota come V1) utilizzata dalla Luftwaffe della Germania nazista. E, nonostante le concentrazioni di Tnt vicine alla soglia di tossicità per gli organismi acquatici, questi ultimi erano in quantità molto maggiore rispetto ai fondali marini circostanti. Nel dettaglio, hanno scoperto che era presente una media di circa 43.000 organismi per metro quadrato rispetto a circa 8.200 organismi per metro quadrato nei sedimenti vicini. “Eravamo preparati a vedere numeri significativamente inferiori di tutti i tipi di animali”, ha commentato Andrey Vedenin, autore principale dello studio. “Ma è successo il contrario”.
Le possibili spiegazioni
Tra le diverse ipotesi avanzate dagli autori dello studio sulla presenza abbondante e diversificata di organismi marini c’è per primo il fatto che le creature possano essere attratte dalle superfici dure, e quindi riuscire a tollerare alti livelli di composti tossici. Basta pensare che le concentrazioni di Tnt nell’acqua variavano notevolmente, da un minimo di 30 nanogrammi per litro fino a un massimo di 2,7 milligrammi per litro, un livello stimato per essere potenzialmente tossico e letale per la vita marina. L’area, inoltre, è oggi isolata dalle attività umane per via, appunto, della presenza di sostanze chimiche nocive, e ciò potrebbe aver creato una sorta di bolla protettiva che consente alle creature marine di prosperare nonostante l’inquinamento delle acque. Studi come questi, ha commentato David Johnston, biologo marino della Duke University e autore di un recente studio sul tema pubblicato su Scientific Data, evidenziano come la natura si approfitti dei detriti derivanti dai conflitti umani, capovolgendo la situazione per sopravvivere e fornire habitat per la fauna selvatica.