LUCCA – Sunil Amrith, 46 anni, è nato in Kenya da genitori indiani e cresciuto a Singapore, viaggiando tra India e Sud-est Asiatico. Ha studiato all’Università di Cambridge e ora insegna storia a Yale. Il suo ultimo libro, La Terra in fiamme (Laterza, 2025) racchiude 500 anni di storia dell’umanità intrecciata a quella dell’ambiente. La sua lecture all’Auditorium del Suffragio nella cornice del Pianeta Terra Festival di Lucca ha illuminato la platea.
Il racconto
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04 Ottobre 2025
“Nel 2012 ho cominciato a scrivere questo libro a Bangkok, senza saperlo. Mi hanno sempre appassionato i mix culturali e le città portuali, ma quella sera ho avuto un’illuminazione. C’era appena stata la peggiore alluvione nella storia della città, eppure passeggiando sul fiume non ne trovavo alcuna traccia. Vedevo solo, grattacielo dopo grattacielo, che la vita aveva ripreso come se niente fosse. Mi sono chiesto, resilienza o negazione? Il mio libro è nato così”.
Due le pietre miliari che danno il via al racconto. “Il 1217, quando viene redatta la Carta della Foresta per ristabilire il diritto d’uso dei boschi restituito ai cittadini”, dopo che Guglielmo il Conquistatore e li aveva fatti suoi. “Ai tempi della Magna Carta viene così affermato un diritto comune, aprendo però a possibili recriminazioni della proprietà di una porzione della foresta da parte dei singoli. Non è certo un documento di difesa dell’ambiente, quanto l’attestazione che l’umanità ne ha bisogno per sopravvivere”, ricostruisce Amrith.
“Ne troviamo conferma molti anni dopo, nel 2001 nella Carta della Terra – la seconda data – presentata da Michail Gorbacëv in un momento critico, quando l’umanità comincia a fare i conti con l’estinzione delle specie e la riduzione delle risorse”. In questo arco di tempo si svolge la storia che Amrith definisce “oblio”: “Credete che il prosperare dell’umanità dipenda da acqua, natura, specie? Diremmo di sì, eppure l’uomo non ne ha tenuto conto per anni e anni nei documenti ufficiali, una sorta di pensiero magico”.
La storia dell’umanità è costellata di conquiste, invenzioni, scoperte che sono state il presupposto di un inarrestabile sfruttamento del Pianeta, disseminato di compromessi e contraddizioni. Finché la coscienza delle proprie azioni non è diventata consapevolezza. “Ho tentato di rimettere in discussione la lotta dell’essere umano per rendere questo mondo ospitale”, continua Amrith. Spesso solo per bramosia, più che per sopravvivenza. “Pensiamo alle miniere d’argento di Potosí, in Bolivia, un’attività estrattiva inquinante che ha danneggiato la salute delle persone e l’ambiente, indiscutibilmente legata al desiderio e all’ambizione della ricchezza”.
Il progresso ha un costo. Però chi lascia un’impronta è anche capace di volare alto. E Amrith guarda oltre, mettendo in luce una moltitudine di fatti che rischierebbero altrimenti di restare nel buio. “Siamo portati a collegare la crisi climatica a concetti come l’imperialismo. Ma è planando sulle piccole storie che ci raccontano come sta accadendo e la sua storia”.
Così come “le mappe geografiche di Semyon Remezov diventano rappresentazione ecologica di un mondo in continua trasformazione per mano dell’umanità. Nel XVII secolo alberi e fiumi attraversano la Siberia disegnata per la prima volta dal cartografo: quel che vediamo altro non è che un impero di ghiaccio e di legno che si fece largo a colpi di ascia e di accetta”.
Finché lo sfruttamento diventa profitto e l’era industriale non renderà ancora più facile e veloce coltivare, estrarre, raccogliere, incanalare, costruire, viaggiare. A fine Ottocento il banchiere e filantropo francese Albert Kahn, uno degli uomini più ricchi dell’inizio del Ventesimo secolo, “tra il 1909 e il 1931 invia fotografi in 50 Paesi per documentare un mondo che sta cambiando più velocemente delle sue stesse aspettative. Proprio lui che ha investito in diamanti e oro, ma che si dichiara un pacifista” comincia ad avere uno sguardo sul mondo che stiamo prosciugando. Gli “Archivi del Pianeta” che ci ha lasciato in eredità è un’enorme collezione fotografica di paesi, mestieri, abiti, edifici dai cinque continenti. “Questi scatti a colori, che ancora rivelano la ricerca del soggetto esotico, rappresentano comunque – tra paesaggi e sfondi – una testimonianza eccezionale del danno che l’umanità stava infliggendo al Pianeta”.
“Ma è Rachel Carson ad averci illuminato sugli effetti collaterali dello sviluppo tecnologico, a cominciare da quelli devastanti dei pesticidi sugli animali. La sua ricerca infaticabile ha lasciato testimonianze dettagliate su tutto quel che osservava e studiava. Nel 1972 il suo capolavoro Primavera silenziosa lancia un messaggio inequivocabile contro ‘l’arroganza di chi vuole controllare la natura’ dando l’allarme sulle conseguenze che ci aspettano. Per questo (la biologa americana che, grazie alle sue ricerche, riuscì poi a far bandire il Ddt, ndr) diventa subito bersaglio di accuse misogine e politiche, viene definita ignorante in quanto donna e additata come comunista. A fermarla è un cancro, ma le sue idee contro l’uso indiscriminato della chimica per controllare l’agricoltura con il tempo troveranno terreno fertile in America e nel resto del mondo. Anche se la battaglia contro il Ddt ha un limite: l’insetticida ha salvato migliaia di vita in zone depresse. La malaria rema contro. Oggi celebriamo Rachel Carson come un’eroina che ha precorso i tempi, eppure la sua ricerca implica questioni morali che le sono sfuggite”.
Ci sono dei momenti salienti in cui l’essere umano si è trovato inconsapevolmente ad un bivio, costretto a scegliere tra la propria salvezza e la conservazione. Del puzzle di Amrith fanno parte Indira Gandhi, Enrico Mattei, Chico Mendes.
“A metà degli anni 80 la parola ecologia entra a fare parte del discorso politico di Chico Mendes, anche se si considerava un attivista per i diritti dei lavoratori e non certo un ambientalista.”, – prosegue lo scrittore – “Il boom della rete autostradale sta già distruggendo l’Amazzonia e Mendes porta avanti il concetto di limitazione delle aree estrattive, riconoscendo che la foresta non è una risorsa inesauribile. Viene ucciso in casa nel 1988 da un commando inviato dai latifondisti. Sapeva cosa stava rischiando e sosteneva di non avere paura. Nel 1992 il primo Summit della Terra (a Rio de Janeiro, ndr) raccoglierà il testimone delle idee di Mendes.”
Poi, una virata. Il racconto si fa intimo e Amrith torna al suo vissuto. Siamo in Indonesia, “la seconda foresta tropicale al mondo, il cielo oscurato dal fumo degli incendi. Le fioriture tardano senza la luce del Sole e i pipistrelli della frutta migrano verso gli allevamenti suini per trovare altro cibo. Da lì l’epidemia del virus Nipah (individuato nel 1999, ndr) raggiunge le città uccidendo il 46% delle persone contagiate. In quei mesi lasciavo casa per andare all’università ed è in quei giorni coperti di cenere che ho capito. Stavamo perdendo la libertà di respirare.”
Ora sappiamo che in realtà Amrith sta ancora cercando di mettere insieme i pezzi mancanti del puzzle. “Sono partito dalla Carta delle Foreste per arrivare a chiedermi: oggi quale Carta potremmo scrivere per difendere la nostra vita e quella del Pianeta, che sono così collegate tra loro? Ci servono le parole giuste per conservare e proteggere questa reciprocità che ci lega alla Terra e ritrovare il rispetto”. E la sua storia di certo è anche la nostra.
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