Chi a bordo di zattere, chi di battelli o piccole imbarcazioni, chi via terra con i mezzi che trova: dal cuore dell’Amazzonia migliaia di indigeni e rappresentanti dei popoli tradizionali si sono già messi in marcia verso la sede della Cop30 a Belém. Emanuela Evangelista, biologa italiana di Lanuvio che da 12 anni vive in Amazzonia nel villaggio di Xixuaù ed è impegnata a proteggere il Parco nazionale dello Jauaperi, la definisce la “Flottila della Cop”, la mobilitazione dei brasiliani per portare un messaggio: “Per salvare l’Amazzonia, non bisogna solo fermare la deforestazione, ma dare più potere e aiuti economici a chi la custodisce, la conosce e la abita. Magari con nuove soluzioni basate proprio sul ripristino della natura“.
Oltre 25 anni fa la biologa e conservazionista italiana iniziò ad esplorare il territorio amazzonico per studiare lontre e altri ecosistemi, poi “decisi di fermarmi qui. Oggi mi sento una di loro, appartenente ai popoli tradizionali, perché vivo come loro, mangio dalle stesse risorse della natura e con loro – pur essendo sempre europea di nascita – condivido le stesse battaglie“, come quelle “contro la deforestazione, l’inquinamento da estrazione dell’oro o gli impatti della crisi del clima“. A lei abbiamo chiesto come in Amazzonia viene vista la Cop30 e perché è così importante questo evento per i popoli originari.
Come stanno vivendo la Cop30 i popoli dell’Amazzonia?
“C’è un grande desiderio di protagonismo e tanta aspettativa: le persone sanno che finalmente hanno un palcoscenico a casa loro, in Amazzonia, per poter farsi sentire. Per molti abitanti qui è persino difficile lasciare la foresta o raggiungere una città del Brasile, c’è chi non lo ha mai fatto, e finora era logisticamente impossibile poter pensare di partecipare a un vertice mondiale. Si tratta di un evento ‘una volta nella vita’. Per questo da mesi i popoli tradizionali si stanno organizzando per raggiungere Belém in ogni modo: in molti arriveranno via fiume usando barche che poi trasformeranno in alloggio. Vogliono esserci”.
Lei, ha detto, ormai si sente “una di loro”. Perché è così importante per voi questo evento?
“Perché faremo sentire la nostra voce come non mai. Immaginate che alla Cop28 di Dubai le delegazioni e i rappresentanti indigeni di tutto il mondo erano circa 300: qui si stima saranno oltre 1000. Significa attivismo, partecipazione, pressione. Finalmente un palcoscenico per la rivendicazione dei diritti sociali, per fare luce sulla deforestazione e anche per proporre le soluzioni dei popoli originari, a partire da quelle basate sulla natura. Soluzioni di ripristino e protezione delle terre che non valgono solo per l’Amazzonia, ma anche a livello globale: ricordiamoci che l’Europa prima dell’industrializzazione era foresta. Qui è ancora foresta e solo qui, forse, sanno ancora davvero come proteggerla”.
Quali sono le richieste che verranno fatte davanti ai leader del mondo?
“Oltre alle questioni sociali il primo punto è ovviamente che si fermi la deforestazione ma anche che si riduca l’inquinamento da mercurio nei fiumi, un problema legato ai cacciatori di oro che purtroppo sono in aumento. Poi verrà fatta pressione per ottenere garanzie sulla rigenerazione: riforestare è fondamentale per il futuro. Infine, e direi anche soprattutto, si chiede una partecipazione economica dei Paesi industrializzati, un richiamo alla responsabilità del proprio debito ambientale. Non devono lasciarci soli”.
Vivendola, come ha visto cambiare l’Amazzonia in un quarto di secolo?
“L’Amazzonia è molto cambiata dal punto di vista climatico. Io vivo in una zona ancora abbastanza intatta, dove il problema principale è il bracconaggio. Se però parliamo di clima, anche qui gli eventi estremi e gli squilibri ambientali sono evidenti e si trasformano in una forte insicurezza alimentare. I frutti maturano fuori stagione, i pesci non ci sono più, gli uccelli o le tartarughe depongono le uova dopo o prima. Come sapete tutti questi cambiamenti in natura sono interconnessi e questo influenza l’alimentazione delle persone, una alterazione dovuta appunto al clima. Gli ultimi quattro anni poi sono stati drammatici: prima allagamenti straordinari, poi un’enorme siccità. Il che significa animali e piante che muoiono e trasporti impossibili via acqua”.
Infine, cosa si aspetta personalmente da questa Cop?
“Che ci siano più dialogo e risorse sulle soluzioni basate sulla natura e che, sarebbe bellissimo se accadesse proprio qui, si arrivi ad accordi più robusti per l’uscita dei combustibili fossili che sono la causa della crisi climatica. E poi che il mondo capisca un concetto: tutti ci dicono che i popoli tradizionali sono i guardiani dell’Amazzonia, benissimo, ma non lasciateci soli perché – ricordiamocelo – con questa foresta respiriamo tutti noi”.

