Pesticidi, cambiamenti climatici, perdita del proprio habitat. Sono alcuni dei pericoli che corrono le api da miele, Apis mellifera. Un mix di fattori, di cui il responsabile – neanche a dirlo – è proprio l’uomo. Questi insetti, indispensabili per l’ecosistema e per quel prodotto “miracoloso” che è il miele, rischiano di venire decimati e di colpire duramente l’economia agricola. Negli Stati Uniti, infatti, dove è stato condotto lo studio di cui stiamo per raccontarvi, il processo di impollinazione contribuisce per circa 30 miliardi di dollari all’anno al settore agricolo. Ma tornando ai pericoli, ancora una volta è la natura ad aver trovato in se stessa le armi per difendersi. Una delle ultime ricerche, infatti, avrebbe scoperto che il segreto per salvare le api, si nasconde nel cibo: il polline.
Gli scienziati, infatti, hanno scoperto che il polline contiene una sorta di medicina naturale, batteri simbiotici chiamati Streptomyces che producono composti antimicrobici in grado di combattere e neutralizzare i patogeni mortali delle api e delle piante. Le api raccolgono i batteri insieme al polline, e li immagazzinano negli alveari, creando un sistema di difesa naturale. Grazie al polline, creano uno schermo protettivo che consente loro di difendersi da pericolose infezioni.
Fino ad oggi gli specialisti di api contano più di 30 parassiti che possono aggredire le api da miele: protisti, organismi unicellulari come la Nosema, che causa gravi infezioni intestinali; virus come quello veicolato dall’acaro Varroa; batteri che possono causare malattie come la Peste americana o europea; funghi e artropodi, principalmente gli acari, come il famigerato Varroa destructor il parassita più dannoso per l’apicoltura mondiale. Ed il numero è destinato a crescere sia per effetto della globalizzazione, che facilita la diffusione di patogeni esotici, sia per effetto dello stress ambientale.
Ma la recente scoperta ha ipotizzato che i cosiddetti endofiti, ovvero batteri e funghi simbiontici che vivono all’interno dei tessuti delle piante, a differenza dei parassiti, non causano danni al loro ospite, ma stabiliscono una relazione di simbiosi, spesso vantaggiosa per entrambi. Gli endofiti traggono beneficio quando chi li ospite viene impollinato, poiché il successo riproduttivo della pianta, assicurato dall’impollinazione, è indirettamente vantaggioso anche per i microbi che vivono al suo interno. La pianta, infatti, ha bisogno dell’impollinatore, cioè l’ape, e i microbi hanno bisogno che la pianta si riproduca. Ne consegue che i microbi potrebbero evolvere un meccanismo per proteggere il “veicolo”.
Secondo l’ipotesi degli scienziati, gli endofiti possono sviluppare e rilasciare composti bioattivi che riescono a mantenere sani gli impollinatori che visitano la pianta. Questi composti potrebbero agire come antibiotici naturali, antivirali o potenziatori immunitari che, una volta ingeriti dalle api (attraverso nettare o polline), le aiutano a combattere i loro numerosi parassiti. Si creerebbe, in sostanza, una complessa alleanza ecologica tra pianta, microbo e impollinatore.
“Abbiamo scoperto che gli stessi batteri benefici si trovano nelle scorte di polline delle colonie di api da miele e sul polline delle piante vicine”, ha evidenziato Daniel May, membro della facoltà presso il Washington College nel Maryland, che ha aggiunto: “Abbiamo dimostrato anche che questi batteri hanno prodotto composti antimicrobici simili che uccidono i patogeni delle api e delle piante, rendendoli un ottimo punto di partenza per nuovi trattamenti per i raccolti e gli alveari.”
Ma come si è arrivati a queste importanti conclusioni? Il dottor May ed i suoi colleghi si sono concentrati sui batteri del phylum actinobacteria, la fonte di circa i due terzi degli antibiotici attualmente in uso clinico. Hanno raccolto il polline da 10 specie vegetali native nella Lakeshore Nature Preserve presso l’Università del Wisconsin e il polline dalle scorte di un vicino alveare di api da miele. Dopodiché hanno isolato 16 ceppi di actinobacteria dalle piante e 18 ceppi dalle scorte di polline all’interno dell’alveare.
Il sequenziamento del genoma ha rivelato che le stesse specie o comunque strettamente correlate si trovavano in entrambi i tipi di campioni. Insomma i ceppi batterici isolati dal polline dei fiori nativi e quelli recuperati dalle scorte di polline delle arnie mostravano una straordinaria somiglianza. La maggioranza, circa il 72%, apparteneva al genere Streptomyces, la fonte di molti composti usati in medicina e agricoltura, ad esempio come antibiotici o come farmaci antitumorali e antiparassitari. Questa grande somiglianza genetica supporta l’idea che le api, durante la foraggiatura – come abbiamo detto – raccolgano involontariamente gli endofiti, che vivono all’interno dei tessuti vegetali e li portano velocemente nell’alveare, dove i batteri agiscono come un vero e proprio farmaco naturale.
La scoperta dimostra che questi Streptomyces forniscono una difesa bifunzionale, proteggendo sia la pianta che l’impollinatore. L’approccio futuro potrebbe concentrarsi sull’introduzione dei giusti ceppi benefici negli alveari per rafforzarne il sistema immunitario, riducendo la dipendenza da antibiotici di sintesi.