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Ecco come rimuoviamo la CO2 dall’atmosfera risparmiando energia

Ha inventato una tecnologia che aspira la C02 dal cielo. L’ha trattata come un rifiuto industriale da gestire e smaltire in sicurezza. Ha aperto così la strada a un nuovo settore ad altissima innovazione. È un astrofisico: Giuliano Antoniciello, founder di CarpeCarbon, la prima azienda italiana che sviluppa e commercializza sistemi di rimozione della CO2 atmosferica. Tramite una tecnologia nota come Direct Air Capture (DAC). «La nostra missione – dice Antoniciello – è rendere economicamente sostenibile la rimozione della CO2 su larga scala: la catturiamo direttamente dall’aria e la destiniamo in parte a stoccaggio permanente e, quando ha senso ambientale, a usi industriali». CarpeCarbon nasce a Torino nel 2022 e vuole essere la prova che non è mai troppo tardi. «Uno degli argomenti del negazionismo climatico è la rassegnazione. C’è chi è convinto che ormai sia troppo tardi, che non abbia più senso impegnarsi nella transizione energetica perché il danno è fatto. Noi vogliamo dimostrare che non è vero. Oggi abbiamo gli strumenti per riparare agli errori del passato e riportare indietro le lancette del cambiamento climatico. È un invito all’azione. Da predatori dell’ambiente possiamo diventarne giardinieri».

Fisico teorico, Antoniciello si laurea all’Università di Torino e poi consegue un dottorato in astrofisica a Padova. Studia pianeti extrasolari e Teoria della Relatività Generale quando tra il 2017 e il 2018, ha un’intuizione che non ha nulla a che fare con l’astrofisica. «Riflettevo sulla fisica della cattura della CO2 e mi sono reso conto che era possibile risolvere il vero problema della DAC, ossia i grandi consumi di elettricità. Così, un giorno mentre passeggiavo tra i boschi delle Alpi piemontesi, ho deciso di scommettere tutto su questa idea. Le Alpi per me sono un luogo del cuore e in montagna gli effetti dei cambiamenti climatici sono molto evidenti. In quel momento mi sono detto che valeva la pena dedicare se stessi non solo per preservare la bellezza della natura ma anche per riparare i danni del passato». «Partivamo da zero e i nostri mezzi erano molto limitati. Oggi, due anni dopo, stiamo iniziando la costruzione dell’impianto pilota che dimostrerà l’applicabilità del nostro processo su scala industriale. L’impianto avrà una capacità di cattura di circa una tonnellata di CO2 al giorno, Per finanziare la costruzione dell’impianto stiamo raccogliendo 5 milioni da diversi investitori. Stiamo già ricevendo richieste per l’acquisto dei crediti di carbonio che produciamo con la nostra DAC e abbiamo anche un accordo con una grande multinazionale per l’acquisto della nostra CO2 per uso industriale».

Come funziona la vostra tecnologia? «Abbiamo risolto il principale collo di bottiglia della DAC: il consumo di elettricità. Nell’aria c’è una molecola di CO2 ogni 2.300: catturarla significa filtrare volumi enormi di aria. Nella DAC convenzionale si usano grandi ventole elettriche per aspirare l’aria, con un grande dispendio di energia. Noi riduciamo quasi a zero il consumo di elettricità: invece delle ventole, sfruttiamo il calore del sole o il calore di scarto da processi industriali per convogliare l’aria attraverso grandi filtri, che abbiamo brevettato, che trattengono la CO2 come un “velcro” molecolare. Per semplificare, immagina un grande aspirapolvere all’aperto. Ha dieci sacchetti, che sono i moduli del nostro impianto. Ogni sacchetto aspira tramite i filtri la C02 dal cielo e poi la concentra in un serbatoio. Dagli scarichi dei nostri impianti esce aria pulita, che raccogliamo in serbatoi per il trasporto e lo stoccaggio. Di fatto, si tratta di depuratori d’aria».

Anche se azzerassimo oggi le emissioni, l’anidride carbonica fossile in atmosfera è già troppa. «Oltre a tagliare drasticamente le emissioni, dobbiamo anche rimuovere la CO2 emessa in passato». Non c’è più tempo da perdere. «I nostri impianti potranno essere installati ovunque, e sono anche completamente autosufficienti, sfruttano zone desertiche o nei pressi di stabilimenti industriali e centrali a biomassa, per valorizzare il calore di scarto che altrimenti andrebbe perso». Difficoltà tantissime, tipiche dei first-mover. «Costruire una nuova filiera industriale in tempi così brevi è una sfida. La crisi climatica sta peggiorando, ma sono più ottimista oggi di quando abbiamo cominciato. Davanti abbiamo grandi problemi e grandi pericoli ma opportunità ancora maggiori. Se coordinate da scelte intelligenti, le industrie possono trasformarsi da causa del problema a contributo per la soluzione».


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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