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Dopo la carne, sulle nostre tavole anche il pesce coltivato in laboratorio

Fra un paio d’anni – questa è la speranza dei produttori – sulle tavole europee potrebbe arrivare un prodotto decisamente innovativo e controverso: il pesce coltivato in laboratorio. Una frontiera, quella del pesce creato dall’uomo grazie a cellule animali, che ha un grande vantaggio rispetto alla già discussa carne “sintetica”: lo potremmo ottenere con un dispendio energetico molto più basso e i prodotti, almeno teoricamente, saranno privi di inquinamento da microplastiche o metalli pesanti. Per comprendere perché l’idea della carne di pesce nata in laboratorio sta prendendo piede nel mondo e punta a un commercio anche in Europa, dopo che i primi salmoni nati in vitro sono già stati venduti nei ristoranti Usa, bisogna fare un piccolo passo indietro.

Alimentazione

Negli Usa il salmone coltivato in laboratorio servito al ristorante, ma non ovunque

26 Settembre 2025

Oggi, nel Pianeta, le proteine del pesce e dei frutti di mare sono alla base della dieta di circa il 20% della popolazione, soprattutto in mercati come l’Asia. Allo stesso tempo però, nei mari che soffrono per il riscaldamento globale, l’acidificazione, la perdita di barriere coralline e l’inquinamento da plastica, con la grande complicità della sovrapesca moltissimi degli stock ittici nelle ultime decadi si sono ridotti e impoveriti. C’è meno pesce e, talvolta, anche di minore qualità. In un mondo dove nel 2050 potremmo arrivare a 10 miliardi di persone e siamo costretti a un maggiore impegno per la tutela della natura se non vogliamo rimanere senza risorse. Servono dunque nuovi equilibri che passino anche per tecnologia e innovazione. Così è stato per esempio per la carne coltivata in laboratorio, già consumata in varie parti del mondo anche se in Italia – vedi le drastiche posizioni del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida – la produzione e il commercio dal 2023 sono vietate per legge. Anche se mancano ancora approvazioni per il commercio di carne di pesce coltivata in laboratorio in una Europa apparsa recentemente sempre più conservatrice rispetto ai nuovi prodotti del mercato (vedi la recente bocciatura di uso di nomi animali su cibi vegetali, come i burger veg) proprio all’interno del Vecchio Continente, come in Belgio o in Germania, ci sono già aziende che stanno sperimentando la coltivazione del pesce.

Queste aziende, come la tedesca Bluu Seafoods o i belgi di Fishway e altri, usando vari metodi – tra cui cellule staminali e cellule muscolari, ma anche strategie di fabbricazione che passano per stampe 3D – per provare ad ottenere il miglioramento della crescita cellulare e dei tessuti, il tutto al fine di produrre una carne di pesce coltivata in grado di ridurre significativamente la pesca eccessiva, le emissioni di gas serra e di offrire una via praticabile verso la sicurezza alimentare globale. Con lo sfruttamento globale di oltre un terzo di tutti gli stock ittici negli ultimi anni c’è stata una forte ascesa dell’acquacoltura (gli allevamenti di pesce) che è stata fondamentale per garantire una fonte alternativa, alla pesca classica, di proteine ittiche. La produzione di pesci attraverso acquacoltura secondo alcune stime raddoppierà nei prossimi 25 anni ma questo metodo non è esente, oggi, da preoccupazione per uso di risorse, inquinamento e impatti su ecosistemi ed habitat, oltre all’uso di antibiotici e fitosanitari che possono portare a rischi ambientali. Viste queste criticità l’idea di produrre pesce in laboratorio è cresciuta negli ultimi cinque anni ma ha almeno tre grandi sfide davanti: la prima è quella di ottenere una carne con consistenza, sapori e composizioni nutrizionali simili a quella del pesce selvatico, poi deve superare l’approvazione delle leggi a livello globale e infine, fattore decisivo, deve essere accettata dai consumatori.

Un’abitudine che, dagli Usa ad alcune realtà dell’Asia, comincia a prendere piede, tanto che i produttori di pesce coltivato hanno raccontato di recente a Euractiv di puntare sul fatto che entro il 2030, forse con regole già accettate nel 2027, il pesce nato in laboratorio possa arrivare sulle tavole degli europei. Il prossimo anno, dicono per esempio gli scienziati di Bluu Seafoods, a Singapore verrà lanciato il primo “caviale” nato in laboratorio. Poi sarà la volta di anguille, spigole e via dicendo. Secondo il think tank Good Food Institute Europe questo mercato globale ha il potenziale di mercato di 510 miliardi di euro entro il 2050 se l’Asia trainerà i consumi. Uno degli aspetti che rendono più sostenibile questo processo secondo i produttori è anche un dispendio energetico minore: a differenza della carne per coltivare il pesce servono infatti minori temperature da raggiungere durante la crescita. Sia Bluu che Fisheway, nella speranza di vedere i loro prodotti commercializzabili nell’Ue a breve, spiegano inoltre di non essere contrari a pesca tradizione e acquacoltura, ma di proporsi come alternativa che aiuti a colmare il divario fra domanda e offerta del futuro.

Per ora, anche le lobby della pesca sembrano accettare questa visione: Daniel Voces, direttore di Europêche, ha raccontato a Euractiv come “il pesce coltivato in laboratorio non rappresenta una minaccia per il settore: al massimo, potrebbe diventare una fonte complementare, come l’acquacoltura, per soddisfare la crescente domanda globale di alimenti blu in futuro e la pesca tradizionale avrà sempre il suo posto e un forte riconoscimento sul mercato come fonte di proteine naturale, sana e a basse emissioni di carbonio”. Uno dei possibili mercati di sviluppo del pesce coltivato in laboratorio è quello del sushi e di formati pronti al consumo: determinate specie sotto pressione, come i salmoni ad esempio, potrebbero essere selezionati proprio per questo tipo di commercio. Alcuni paesi, come Singapore, Nuova Zelanda o Australia, sembrano voler aprire le porte a questa opportunità anche se lo sviluppo del pesce in vitro su larga scala è ancora lontano per ora. Le aziende europee già attive nel settore però ci credono ma il punto è: lo accetteranno, anche in nome della sostenibilità e dell’ambiente, i consumatori?


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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