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Daniel Gros: “Non saranno i dazi di Trump a fermare la globalizzazione”

LUCCA – “La globalizzazione è finita?”. “No.”, risponde secco il professor Daniel Gros sul palco della Sala Tobino di Palazzo Ducale ospite, con Marianna D’Aprile, del Pianeta Terra Festival di Lucca, un incontro a cura di Sofidel. E sgombra subito il campo dai dubbi: “Non lo ha fatto la Brexit e non lo farà Donald Trump: la globalizzazione non si fermerà. Perché conviene. Alla fine si torna sempre a scambiare le merci e le idee per guadagnare in efficienza e vivere tutti un po’ meglio”.

L’economista tedesco dirige l’Institute for European Policymaking dell’Università Bocconi di Milano ed è consulente del Parlamento europeo. Ha lavorato presso il Fondo Monetario Internazionale e si può dire che ha visto nascere l’Euro, come consulente del Comitato Delors, che introdusse la moneta unica in circolazione dal 2002.

Nel 2001 ci fu il G8, ricorda Marianna D’Aprile al professore, sul palco per spiegare gli effetti e la vitalità della globalizzazione in un contesto geopolitico ed economico profondamente mutato. Allora i No Global misero a ferro e fuoco Genova per protestare contro un nemico. Oggi la globalizzazione non lo è più? “In realtà non si sapeva bene cosa sarebbe accaduto. Le grandi multinazionali non erano quelle di oggi. Il mondo non ha mai uno sviluppo lineare.”, spiega Gros – “Guardando indietro, abbiamo avuto venti anni di cambiamenti tutto sommato lenti, ad eccezione della Cina, che ha visto una crescita esponenziale, diventando in poco tempo una potenza economica pari alla somma di Stati Uniti ed Europa”.

Il racconto

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Poi, ci siamo accorti che il mondo stava cambiando davvero, tra guerre commerciali, dazi americani e sovranismi. Ma qual è il meccanismo che ci ha portato a questo? Il consumismo è la leva principale. “I giganti Tech di oggi, ad esempio, lo sono diventati perché ciascuno di noi li usa. È su questo ‘egoismo’ individuale che si basa il successo di pochi”. Facebook si è fatto largo senza lasciare posto a nessun altro social network, fino a diventare Meta e ad assorbire i “nani” come Whatsapp e Instagram. Lo stesso vale per il monopolio di Google. Ma avrebbero potuto essere altre aziende, e comunque non sappiamo quanto ancora durerà questa ribalta. Sostanzialmente, la ricetta del successo globale di Mark Zuckerberg, come quello di altri nati e cresciuti a dismisura nella Silicon Valley, si basa su un ingrediente fondamentale: il tempismo.

Quello che spaventa ora, però, è che questi Big Tech con i loro investimenti siedono a cena con Donald Trump. Quanto incide la finanza sulla politica? La domanda sarà anche ingenua ma porta dritta alla questione dei dazi imposti dal presidente tycoon, in un quadro geopolitico sempre più offuscato dai conflitti permanenti e in continua trasformazione.

La strategia dei dazi di Trump? Un autogol

L’ultimo annuncio di Trump interessa la pasta, bene primario del paniere nostrano sul quale calerà la mannaia americana del 106,67%. Ma che effetto hanno avuto finora i dazi e cosa dobbiamo aspettarci? “Trump sarà anche un peso massimo negli Usa e avrà anche un ruolo cruciale nella guerra in Ucraina”, ma per quanto riguarda i dazi, Gros non ha dubbi: “Possiamo ignorarlo. Perché non è con i dazi che incide sulla bilancia dei commerci internazionali. Certo, potrà accadere forse negli States, perché i prezzi aumentano sulle produzioni ormai dismesse da anni (come l’automobile, ndr). Ma per tutti gli altri Paesi dobbiamo calcolare una media effettiva del 10-15%, mentre per la Cina tocca il 60%. Se pensiamo alle auto cinesi esportate in America, allora sì: questo può avere un impatto”.

Quanto alla tassa sul grano duro che spaventa gli italiani, stando a Gros non va considerata più di uno spauracchio che rientra nella strategia trumpiana per restare ben saldo al centro dell’attenzione globale. “Nei dazi, in realtà, vedo più opportunità che pericoli per noi”, insiste il professore rimandando alla questione mediatica. Perché tutto sommato mass media e istituzioni fanno il suo gioco, amplificano la sua strategia, anche solo trasmettendo i rischi collegati a una misura economica che sembra a tutti gli effetti adottata “contro tutti”. Così l’opinione pubblica tende a percepire un danno prima ancora di averlo subito. “Se invece vedessimo nei dazi il potenziale danno al Paese di origine, il punto di vista economico cambierebbe radicalmente. Trump ha dato forma a questa follia, ma nessuno ha intenzione di imitarlo nel mondo. Basta non seguire l’esempio e attendere. Penso che prima o poi ci andrà a perdere”.

Il dibattito

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Nella bilancia commerciale l’Europa può stare (quasi) tranquilla. “Cifre alla mano, paghiamo già per i servizi, anche se con flussi finanziari opachi. L’unico deficit reale che abbiamo nei confronti dell’America è sulla proprietà intellettuale. Va considerato anche che si tratta di un Paese con una lunga tradizione di isolazionismo economico, che in parte può ancora permettersi. Per esempio, grazie all’indipendenza energetica”.

“L’Europa? Non si sa vendere”

“L’Europa – che un suo peso politico ma non lo sa vendere – poteva svegliarsi prima, certo, ma almeno possiamo dire che non ha commesso gli errori di Trump. Il motivo è che la crescita economica è legata agli interessi degli Stati membri, che hanno sempre una visione a breve termine. Sulla geopolitica posso dire che l’Ue viene molto sottovalutata, perché è una forza in grado di mantenere un mercato aperto, soprattutto rispetto alla Cina. Mentre la guerra in Ucraina sarà determinante per il futuro dell’Europa che si gioca tanto, avendo fatto quanto l’America per gli aiuti economici, e che quindi continua a pagare”.

E i sovranismi che spaccano l’Ue? “L’economia insegna appunto, che ciascuno fa i propri interessi. Questi possono convergere in caso di crisi. Dal punto di vista economico più che di crisi parlerei del famoso piano inclinato. La crisi del 2012 ha dimostrato che i Paesi sanno muoversi assieme quando serve. Gli ostacoli sono a livello nazionale ed è lì che bisogna convincere gli Stati come il loro interesse possa convergere con quello comune, perché conviene a tutti”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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