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Da Torino al Senegal, per far crescere le mangrovie

Toubacouta (Senegal) – Dall’ampia distesa di acqua salmastra spuntano, in file ordinate, i propaguli di mangrovie. Al momento sono solo lunghi steli con qualche germoglio in cima. Ma tra qualche anno – si spera – questa distesa di sabbia inondata periodicamente dalla marea sarà ricoperta di arbusti alti uno o due metri, a ripristinare quello che qualche decennio fa era un rigoglioso mangrovieto. Secondo uno studio dell’Institute of Pacific Islands Forestry degli Stati Uniti, infatti, il 35% della superficie globale delle mangrovie è andata persa negli ultimi cinque decenni a causa del cambiamento dell’uso del suolo provocato dalla specie umana, degli eventi meteorologici estremi e dell’erosione. Una scomparsa a un ritmo di cinque volte più rapido di quello di altre aree boschive del pianeta, con importanti ripercussioni ecologiche e socioeconomiche.

Siamo nel delta del Saloum, sulla costa del Senegal. Qui, nel 2002, Toubacouta, Soucouta, Sipo, Bettenti, Nema Bah, Dassilamé e altre sette comunità rurali che si affacciano sui canali del fiume, hanno deliberato all’unanimità l’istituzione della prima Area Marina Protetta Comunitaria del paese africano: 334.000 ettari, di cui 60.000 di mangrovie, che ospitano 188 specie vegetali, 114 specie ittiche e 36 specie di mammiferi selvatici. Oggi l’AMPC di Bamboung è gestita dalle autorità locali in collaborazione con le tredici comunità fondatrici. E proprio qui la ONG italiana Bambini nel Deserto ha implementato un progetto di riforestazione di questa zona costiera. I finanziamenti arrivano da dove non ti aspetti: a raccogliere 11 mila euro, di cui 5000 utilizzati a ricoprire di propaguli cinque ettari di terreno, sono state le scuole di danze popolari di Torino: Baldanza, Treedanza, Arridanza, Ritmo del blu, e la bocciofila di Alba. “Si fanno spettacoli e concerti, e gli artisti si esibiscono gratis. I contributi in denaro del pubblico arrivano qui in Senegal, per sostenere il lavoro della ONG”, spiega Nuccia Maldera, un tempo insegnante di scuola primaria nel capoluogo piemontese e ora quasi in pianta stabile in questa parte d’Africa per gestire questo e molti altri micro-progetti di cooperazione interazionale.

Delta del Saloum, Senegal. Un agente dell’Area Marina protetta di Bamboung. Tra i suoi compiti, il censimento delle specie animali e vegetali, la gestione degli incendi, il controllo delle attività illegali come bracconaggio e pesca di frodo 

Perché concentrarsi proprio sulle mangrovie? In questa regione – spiega Maldera – la crisi climatica è sotto gli occhi di tutti. La stagione delle piogge, che un tempo cominciava a giugno, ora si è spostata più in là. Le precipitazioni sono più rare e allo stesso tempo più intense. La salinizzazione del terreno, dovuta anche all’erosione delle coste e all’innalzamento delle acque salmastre, aumenta in modo inequivocabile, e colpisce anche la resa delle coltivazioni. Anche la biodiversità ne viene colpita: da dieci anni a questa parte il calo nel numero di specie di pesci e uccelli è evidente. Le sardine dei nostri mari, per esempio, non hanno bisogno di migrare da queste parti alla ricerca di acque più calde, perché quelle del Mediterraneo sono già a una temperatura simil tropicale.

Delta del Saloum, Senegal. I propaguli piantati all’interno dell’Area Marina protetta di Bamboung, per il ripristino del mangrovieto 

Ripristinare le foreste di mangrovie comporta invece moltissimi vantaggi, come si ricorda ogni anno nella Giornata mondiale per la conservazione di questo ecosistema. In primo luogo perché rappresentano una barriera naturale all’erosione delle coste, proteggendo dalle mareggiate i villaggi che si affacciano sugli ampi canali del delta e allo stesso tempo trattenendo i sedimenti dal dilavamento provocato a monte dalle piogge torrenziali. Le mangrovie sono poi un habitat fondamentale per la riproduzione di molte specie marine e terrestri, pesci, uccelli e molluschi: come le ostriche, che in questa regione crescono sulle loro radici e che, raccolte e poi vendute dalle donne delle comunità locali, rappresentano una importante fonte di sostentamento. Ma l’aspetto più rilevante è quello relativo all’assorbimento di grandi quantità di CO?: le foreste di mangrovie sono infatti tra gli ecosistemi più efficienti nello stoccaggio di carbonio, contribuendo a ridurre l’effetto serra e contrastare il cambiamento climatico.

Delta del Saloum, Senegal. Gli eco-lodge di Keur Bamboung, villaggio per il turismo sostenibile caduto in disuso durante la pandemia e ora al centro di un progetto di riqualificazione 

Ma piantare mangrovie non basta, e questo i responsabili dell’area marina protetta lo sanno bene. Serve anche coinvolgere in modo attivo le comunità locali alla conservazione di questa ricchezza naturale. “Dall’indipendenza in poi l’impegno del Senegal è stato quello di implementare aree protette in termini di co-partecipazione”, spiega Maldera. Tutte le aree marine del paese, compresa quella di Bamboung, sono rette da un comitato di gestione di cui fanno parte i rappresentanti delle comunità, la direzione dell’area protetta e il comune di riferimento. L’impegno delle comunità rurali è quello di supportare il controllo contro il bracconaggio, gli incendi boschivi, la pesca di frodo e tutto quello che mette in pericolo l’area protetta. Perché gli agenti, 9 in tutto su un’area di 7000 ettari, non bastano. Così le comunità mettono a disposizione dei sorveglianti, il cui lavoro è retribuito anche grazie all’acquisto – sempre con i fondi raccolti dalle scuole di danze popolari – di 10 “pollai solidali”.

Delta del Saloum, Senegal. Tra le attività previste per i turisti dell’eco-villaggio di Keur Bamboung ci sono le escursioni nei mangrovieti, per comprendere la ricchezza e la complessità di questi ambienti 

Risorsa turistica oltre che naturale, l’ecosistema dei mangrovieti rappresenterà il punto di arrivo delle passeggiate ecologiche che partiranno già dall’anno prossimo dall’ecovillaggio di Keur Bamboung, un campment ecologico raggiungibile solo in piroga e composto da una dozzina di bungalow su un’ansa sabbiosa del fiume. Costruito da una ONG francese, dalla pandemia in poi è rimasto inutilizzato. “Il Covid-19 ha avuto un impatto devastante sul turismo – conclude Maldera – causando una drastica diminuzione dei ricavi e accentuando la povertà locale. Ora, grazie ai fondi provenienti dall’8 per mille della Chiesa Valdese, la ONG Bambini nel Deserto sta supportando la ristrutturazione del villaggio promuovendo la partecipazione delle donne nelle attività di governance e gestione del progetto, contribuendo alla conservazione della biodiversità marina e costiera attraverso il turismo sostenibile, e stimolando l’economia locale offrendo opportunità di reddito a 90 famiglie”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/ambiente/rss2.0.xml


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